1. Premessa
La ricerca intorno alle corde del passato, per quello che io conosco, prende piede probabilmente dopo gli anni ‘70 dello scorso secolo: nel periodo precedente infatti questo problema non sembra essere ancora emerso sia perché si era indirizzati principalmente alla prassi esecutiva e sia perché le corde di budello generalmente reperibili in qualche modo svolgevano comunque il loro dovere: a nessuno veniva in mente che quelle del passato potevano essere forse realizzate in modo diverso né si aveva una precisa documentazione circa i diametri di corda usati nei secoli passati.
Era opinione comune -non suffragata da documentazione comprovante- che le sonorità degli strumenti ad arco del passato dovevano essere esili e i diametri di corda molto sottili.
A partire dagli anni ‘70 tuttavia, approfondendosi via via lo stato della ricerca in tema di esecuzioni e strumentazioni storiche l’attenzione comincia a porsi anche sulla problematica delle corde: si era cominciato infatti a scoprire della documentazione riguardante i diametri di corda utilizzati nei secoli passati e relative tipologie di montatura; cominciavano a venire inoltre alla luce quali erano le zone più importanti di produzione cordaia, i nomi con cui le varie tipologie di corda venivano chiamate nei secoli passati (Catlins, Lyons, Pistoys, Minikins, Gansars etc etc); si introdussero infine nuove ipotesi e relativi dibattiti soprattutto per le corde nel range dei bassi (loaded strings; roped etc).
Grazie alla documentazione via via ritrovata si cominciò così a capire che i diametri di corda in uso nel passato negli archi non erano in realtà così sottili come si credeva e che le corde moderne, con questi diametri più spessi, non riuscivano a rispondere ai requisiti acustici richiesti da una montatura così ricostruita: ad esempio non si riusciva ad accedere ad una terza corda in solo budello per violino o per violoncello come invece era nei secoli addietro; non si aveva accesso ai bassi in puro budello nella la famiglia delle viole da gamba e dei liuti. Le corde moderne erano infatti troppo rigide, pertanto erano di difficile e lenta emissione al contatto con l’arco e di povera qualità acustica. Compaiono in questi anni anche alcuni articoli che cominciano a descrivere il ciclo produttivo storico del passato relativo soprattutto all’Italia e alla Francia del dopo la seconda metà del XVIII secolo (quando finalmente il Secolo dei Lumi comincia a manifestarsi: le informazioni dei secoli precedenti sono infatti molto lacunose).
Il periodo compreso tra gli anni ’70 dello scorso secolo fino ad oggi si è infine contraddistinto anche per alcuni cambiamenti incorsi nella manifattura delle corde di budello moderna conseguenti al ritrovamento della documentazione storica e si assiste anche più di recente alla comparsa dei cordai amatoriali.
2. La mia esperienza
Lo scrivente ha cominciato la sua ricerca a metà anni ’80 da semplice appassionato, spendendo una decina di anni sulla problematica dei bassi in budello del Liuto elaborando teorie, facendo prove pratiche presso una corderia e infine misurando accuratamente i fori dei ponticelli di liuti dei musei.

Mi sono in seguito indirizzato a proseguire il tema delle corde musicali cercando documentazione in biblioteche europee, archivi di stato, musei di strumenti musicali e privati (compresi i lavori di altri ricercatori) arrivando a raccogliere una discreta mole di documentazione storica (che per la maggior parte non ho ancora avuto il tempo di pubblicare) assieme a qualche centinaio di misurazioni eseguite in campioni di corde in budello e rivestite che definisco semplicemente ‘antiche’ trovate negli strumenti musicali presenti nei musei (soprattutto in quelli non restaurati) rilasciando poi una relazione e i calcoli al museo.


La mia professione di cordaio invece deriva da ciò che mi è stato totalmente tramandato tra il 1991 e il 1992 da Arturo Granata, un cordaio di professione che ha lavorato, se ricordo bene, 30 anni alla Savarez per poi arrivare in Italia introducendo molta tecnologia cordaia moderna e altre novità nella corderia italiana ferma ancora ai vecchi metodi e aprendo quindi una sua attività di cordaio nei pressi di Milano indirizzata a fabbricare a livello industriale corde da musica, tennis e sutura secondo le tecniche moderne (corde rigide, simili d un filo di Nylon).

Quello che mi è stato tramandato però era centrato nel come fare le corde ‘alla moderna’ (budello bovino, processo chimico moderno, uso costante di sali indurenti, rettifica meccanica, corde rigide e verniciate).
La documentazione da me e da altri ritrovata, le corde antiche dei Musei, e il fatto che sono chimico mi permise di introdurre alcune modifiche tecnologiche al fine di realizzare cosi corde di budello più attinenti alla via storica senza però rinunciare ai vantaggi del metodo moderno (velocità, quantità e affidabilità): le corde ora prodotte sono molto più elastiche, hanno maggior torsione; mi basavo ancora sull’uso di strisce di budello bovino tuttavia passavo talvolta indifferentemente a quelle di ovino (non trovo differenze apprezzabili se si parte da strisce). Cambiai infine il modo di rettificarle: non più al grado di liscio tipico della corderia moderna bensì parzialmente levigato: questa idea mi venne in mente dopo aver toccato e misurato le corde del Paganini; maneggiato centinaia di corde vecchie e avendo scoperto alcune fonti scritte.

Cantino per violino di Paganini (.71 mm) Genoa 2004

Giuseppe Antonelli, Venezia, Nuovo dizionario universale 1846: i cantini di violino non si levigavano
Queste modifiche hanno finalmente permesso di poter finalmente installare senza problemi una terza in budello nudo per violino e cello; si poterono finalmente proporre diametri storici e il risultato fù che la resa acustica di una formazione orchestrale cominciò a cambiare in meglio. Questa fase non fù facile: quando iniziai, il diametro medio della prima del violino era una rigida 52-54. Non risultava possibile passare bruscamente ad una corda di diametro 66-68 -come da fonti storiche e reperti- a causa delle resistenze opposte dai musicisti ma soprattutto da parte dei liutai. Qualche strumento inoltre non era adatto a sopportare diametri più grossi (in genere il problema era nell’angolo troppo acuto formato dalle corde sul ponticello)
Decisi allora di aumentare anno dopo anno il diametro delle corde da noi offerte facendo in modo di passare dal 52 iniziale via via al 56… 60… 62 sino agli attuali 64-66. Procedendo in questa maniera si evitò il conflitto e notai anche che altre corderie seguirono l’esempio di aumentare i diametri a vantaggio della qualità acustica generale.
Comunque sia, già in precedenza diversi cordai erano già passati ad una produzione di corde in alta torsione.
Giunto a questo punto ho realizzato che avevo quanto segue:
a) ero in possesso di una notevole documentazione storica sia personale che di altri ricercatori
b) avevo effettuato centinaia di rilievi/misure di spezzoni di corde antiche
c) possedevo ormai una forte esperienza professionale come cordaio
d) ho modificato il nostro ciclo produttivo in una strada che fosse maggiormente ‘storica’ (corde in alta torsione, non impiego di sali indurenti, rettifica molto leggera ad imitazione della levigatura manuale antica)
e) Grazie al punto d) avemmo finalmente accesso alle terze in budello nudo per violino e cello, alla quarta del basso di viola e, naturalmente, finalmente ai diametri storici, che erano generalmente più grossi con grande beneficio per le esecuzioni di Musica Antica.
Giunto a questo punto pensai quindi che era arrivato probabilmente il momento di provare a recuperare il metodo manufatturiero che fu utilizzato in Italia: e’ noto infatti a tutti la grande reputazione goduta dalle corde prodotte in Italia tra la seconda metà del XVI secolo fino agli anni 20-30 del secolo- scorso. Mi sono chiesto più volte se questo casa era una moda o se vi erano invece delle motivazioni concrete.
3) I quattro punti chiave fondamentali da sviluppare furono:
A) ricostruzione del ciclo produttivo storico italiano (abruzzese)
B) recuperare la formula della preparazione della potassa base e suo corretto modo di utilizzo nel ciclo produttivo;
C) risolvere il dilemma del budello intero tipicamente usato nella corderia italiana;
D) recuperare i criteri di scelta della materia prima budello in uso nel passato.
A) Ricostruzione del ciclo produttivo storico italiano
1) Confronto tra tutte le fonti storiche che lo descrivono
2) Interviste ai cordai anziani di Salle/Musellaro/Bolognano/Napoli (Abruzzo/Campania)
-Confronto tra tutte le fonti storiche che lo descrivono
La maggior parte delle fonti che descrivono il ciclo produttivo delle corde riguardava l’Italia e la Francia: essere un artigiano e chimico (non solo un puro ricercatore) mi ha certamente avvantaggiato: ho confrontato pertanto tra loro tutte le fonti storiche che lo descrivono (ho tenuto conto anche dei preziosi inventari di bottega concernenti le attrezzature e prodotti ‘chimici’ di corderie romane del XVI-XVIII secolo reperiti dal ricercatore Patrizio Barbieri giusto per capire se vi erano sostanziali variazioni/novità).
La conclusione è stata che abbiamo un sostanziale allineamento tra tutte le fonti (con poche diversità, comunque di poco conto) arrivando finalmente a comprendere la funzione delle varie fasi. Le fonti più attendibili sono certamente quelle posteriori al 1760, tuttavia anche quelle precedenti, seppur sommarie, hanno confermato un sostanziale allineamento (per esempio la presenza nelle botteghe del tavolo di scarnatura, dei ditali di sgrassatura, della solforazione, dei telai mobili, della cenere/fecce per fare la potassa o Tempra; dei torcitori o ruote; degli scaffali per disporre le scodelle, dello sfumature dove disciogliere la cenere per la potassa; dei paraspruzzi per gli operai etc etc.)
–Interviste ai cordai anziani di Salle (Italia)
In questo lavoro di ricostruzione mi sono state risolutive le interviste filmate che riuscii a fare a diversi anziani cordai del villaggio di Salle in Abruzzo prima della loro scomparsa (alcuni erano semplici operai ma in un paio di casi almeno erano invece i titolari o Mastri) dove mi fu insegnato nel pratico quanto segue:
-Come distinguere il budello adatto di agnello/pecora/montone e come estrarlo dal corpo dell’animale;
-Come gestire correttamente il bagno di fermentazione;
-Come si costruisce la tavola e la cannuccia per la scarnatura e come si lavora per scarnare correttamente il budello;
-Come si costruisce il ditale sgrassatore; come si utilizza e come suddividere e organizzare le varie fasi;
-Come si costudisce il cornetto per tagliare il budello e come si utilizza correttamente;
-Come si costruiscono i telai mobili e perché sono migliori di quelli fissi e lunghi;
-Come si costruisce la cordella di crine di cavallo; come si utilizza e a cosa serve;
-Come si devono seccare le corde stese al telaio e con quale tecnica vanno essiccate;
-Lo speciale movimento che devono avere le mani per realizzare correttamente la fase di levigatura (altrimenti le corde vengono false) e materiali/utensili utilizzati per lo scopo e come sceglierli;
-Come si deve eseguire la solforazione;
-Quando fù introdotta la rettifica meccanica,
-Da chi e quando si passò al budello bovino e relativa chimica (metodo industriale francese).
-Notizie varie riguardanti i cordai locali, la loro vita etc etc
Sottolineo quanto sia importante che il passaggio di informazioni sia avvenuto sia da tecnico a tecnico e soprattutto sul pratico (non lette sui libri insomma). Una conoscenza e una abilità artigiana si trasmette notoriamente per apprendistato diretto e lunga pratica in bottega: la sola visione/descrizione in un testo antico della canna per la scarnatura o del ditale di ottone non definisce nulla anche ad un tecnico del settore come me, non solo ad un ricercatore accademico. Ecco un esempio: la canna per scarnare e il ditale sgrassatore che avevo preparato esaminando le immagini delle fonti storiche mi furono da subito scartati dicendomi che con quelli non avrei fatto alcuna corda. Anche la sola scelta dell’essenza legnosa adatta alla tavola di scarnatura era una scelta che partiva da criteri precisi, tramandati di padre in figlio. La tavola di abete che portai fu infatti subito contestata.

Scarnatura

Passaggio al ditale e bagni di potassa

Levigatura con olio di oliva ed erba equisetum
Da queste interviste mi resi totalmente conto che il metodo di fare le corde in Abruzzo era rimasto fortunatamente cristallizzato agli inizi del XIX secolo; i termini tecnici ancora in uso presso questi anziani cordai erano gli stessi dei documenti storici anche di quelli letti negli inventari del tardo cinquecento. Loro non dicevano ad esempio che il budello andava ‘tagliato ma ‘spaccato’ a metà (esattamente come è scritto negli statuti dei cordai di Roma del tardo cinquecento); Il torcitore lo chiamano semplicemente ‘ruota o rota’ come nelle fonti storiche.
Le sole differenze notate durante queste interviste riguardavano l’utilizzo di potassa pura al posto della cenere vegetale e l’ abbandono del budello intero in favore del taglio in due strisce così come avveniva tradizionalmente fuori italia (sembra partire dalla metà del XVIII secolo). Di questi anziani cordai solo uno, Astro Di Russo, che fu il titolare, ricordava che quando era bambino si usava ancora la cenere di vite per ottenere la potassa (Savaresse verso la seconda metà del XIX secolo invece usava già la potassa pura chimicamente prodotta).
Nessuno tuttavia aveva mai sentito parlare dell’uso del budello intero tantomeno dei rigidi criteri di selezione della materia prima così come viene copiosamente descritto nelle fonti storiche.
Nessuno inoltre sapeva infine raccontarmi qualcosa circa concentrazione del bagno di potassa base di partenza: questa preparazione era infatti nelle mani del Mastro o maestro (il titolare insomma). Nei documenti del XIX secolo si riporta che la potassa era preparata dal Mastro soltanto in un grosso barile mescolandola con un palo e che a fianco ve ne era un altro identico barile riempito con sola acqua per le varie diluizioni utilizzate nel ciclo produttivo: ho trovato una foto che lo mostra:

Il maestro con le due botti e il bastone per mescolare la soluzione di Potassa nel 1930’s (from the La Bella website)
Corderia italiana, anni 1920 etc (cortesia di Daniel Mari, New York)

Fasi di passaggio al ditale e, in fondo, il taglio del budello: A sinistra: le due botti con la potassa.

Stanza di solforazione

La fase di torcitura e, in primo piano, il tavolo ‘rinfrescatore’ con le scodelle

Levigatura e oliatura finale: da notare i telai smontabili e rimontabili al momento

Pinaroli, Rome 1718

Corderia francese, metà XIX secolo: taglio del budello; scarnatura; vasca di trattamento

Pinaroli, Rome 1718
In conclusione, la sola apparente differenza tra il ciclo produttivo dei paesi di lingua tedesca e quello in uso in Italia sembra riassumersi nell’impiego del budello intero di agnello; la particolare qualità della materia prima e forse (forse) l’utilizzo di bagni di potassa particolare (fecce di vino invece che ceneri da piante). Non appaiono infatti particolari differenze nelle varie fasi del ciclo produttivo se non che talvolta si riscontrano talvolta telai fissi (tipici della corderia moderna) invece di quelli mobili:

1678 Germany (Wenger)

Diderot 1765 ca
Il ciclo produttivo abruzzese si può così riassumere:
1. Raccolta delle budella presso i macelli locali (da parte della figura del ‘mazziere’) e vuotatura manuale presso il macello stesso dell’interno il più presto possibile dopo l’abbattimento. Se il macello non è vicino il budello veniva vuotato, scarnato già sul posto, salato e poi spedito alla corderia)
2. Fermentazione controllata: le budella raccolte in mazze si mettono a mollo in acqua fredda per alcuni giorni al fine di avviare una leggera fermentazione che permette una facile azione di scarnatura. La durata del bagno dipende dalla stagione: 1-2 gg in estate; 3-5 giorni in inverno. L’acqua và ricambiata di frequente
3. Trattamento di scarnatura mediante passaggio su tavola inclinata di una canna appositamente realizzata: rimane la sola membrana utile. Questa operazione asporta le membrane inutili e il grasso ma non totalmente
4. Passaggi al ditale: in questa fase ciascuna budella di lunghezza intera (20-25 metri) viene dapprima lasciata a bagno da alcune ore fino a mezza giornata nella soluzione più diluita di potassa e poi sottoposta al processo di ‘strisciatura’ mediante un ditale infilato nell’indice che lo raschia dalle quattro alle sei volte al giorno (dipende dalle fonti storiche) e per circa otto- 10 giorni. Tra una giornata e la seguente si aumenta la concentrazione del bagno di potassa fino ad arrivare alla potassa pura (in qualche fonte si menziona che l’ultimo bagno è invece a concentrazione doppia ma non si hanno differenze sostanziali nella corda finale). La concomitante azione abrasiva meccanica e alcalina a concentrazione via via crescente elimina le ultime tracce di grasso e submucose residue ma và a modificare anche la natura del budello rendendolo atto a diventare una buona corda da Musica.
5. Selezione del diametro delle budella: questa operazione -molto importante- comincia già al macello ma è eseguita in maniera molto più accurata nella fase che immediatamente precede l’abbinamento delle budella a cui segue la torcitura ed è detta ‘capatura’
6. Torcitura: le budella selezionate vengono tagliate al fine di avere la giusta lunghezza per il telaio e quindi abbinate assieme a seconda del diametro di corda che si vuole produrre. La regola generale adottato nelle corderie è la seguente: corde sottili; si usano budelli di piccolo calibro; corde grosse; si usano budello di calibro maggiore. L’impiego di pregiato, robusto e di maggior costo di budello di agnello acquistato e lavorato nei mesi estivi soltanto veniva riservato alle corde più sollecitate: i cantini.
7. Prima torcitura: le protocorde subiscono la prima torsione sul telaio appoggiato sopra il tavolo apposito che contiene anche le scodelle ricolme di budelli detto ‘rinfrescatore’ mediante la ruota o torcitore. Il numero di giri vari da fonte a fonte dipende anche dal rapporto di giri tra la ruota e l’uncino rotante
8. Sfregamento con una treccia di crine di cavallo bagnato di potassa (strisciatura con crine): questo trattamento non serve affatto a levigare ma per eliminare mediante strizzatura le bolle interne al budella intere, per eliminare la maggior parte dell’acqua contenuta all’interno delle budella migliorando così il legame tra le fibre. Alcuni documenti lo indicano per la levigatura ma è una errata interpretazione.
9. Solforazione: i vari telaio mobili ricolmi di corde appena ritorte vengono portati nella camera di solforazione la quale ha il pavimento completamente bagnato e si accende lo zolfo
10. Seconda torcitura (detta ‘ribattitura’): le corde solforate perdono trazione e quindi si ripristina mediante una azione di ritorcitura e rimesse nella stanza allo zolfo
11. Terza e ultima ritorcitura: le corde quasi secche subiscono la terza e ultima fase di torcitura e lasciate seccare completamente all’aria; le corde più grosse si ritorcono semplicemente a mano
12. Levigatura finale: Le corde ben secche vengono levigate (ad esclusione talvolta dei cantini di violino: dipende dal manifattore e dalla fonte storica) mediante uno sfregamento realizzato con polvere di pomice o erba secca detta Equisetum umettati di olio di oliva messi in un pezzo di feltro rigido. La perfetta manualità di questa fase risulta molto critica-
13. Oliatura: le corde levigate vengono passate con uno staccio bagnati di olio di oliva )Italia) oppure mandorle (Germania, Austria, Inghilterra etc). Non vengono mai menzionati oli siccativi. Nel XIX secolo qualche autore dice che l’oliatura distrugge i crini e consiglia di evitarla (Heron Allen, 1890 ad esempio)
14. Taglio e confezionamento: le corde vengono tagliate dal telaio e confezionate, a partire dalla metà del XVIII secolo, secondo un profilo circolare tramite un attrezzo chiamato ‘Bussolotto’; in precedenza si preferiva la forma a mazzetto realizzata con un attrezzo chiamato ‘Forma’; ‘Banco da ingavettare’ o anche ‘Forchetta’).
Note:
1. le anime da rivestire con fili di argento o rame argentato non venivano mai sottoposte a solforazione
2. i cordai producevano in concomitanza anche corde per usi diversi quali ad esempio: per battere il cotone; come elementi di trasmissione meccanica; per capellai; per orologiai; per uso sportivo; per frustini da cavallo.
3. Le corde venivano a volte colorate mediante pigmenti naturali sciolti in acqua
4. Allume di Rocca: esso viene menzionato intorno 1670 da Skippon durante una sua visita ad una corderia padovana; nel tardo Settecento lo si trova descritto come ingrediente anche enclopedie francesi e italiane spiegando che forse la possibile funzione e quella di precipitare le impurezze presenti nella potassa da ceneri vegetali. Solo verso la seconda metà del XIX secolo il cordaio francese Savaresse chiarisce che l’allume di rocca viene talvolta utilizzato qualora si desideri avere corde più rigide. Questo sale è oggi largamente usato nel ciclo moderno. Noi non lo abbiamo utilizzato (non risulta fosse in uso nella corderia abruzzese, napoletana e romana).
A) La potassa base (chiamata anche; acqua forte; griepoli; liscia; ranno; tempra): il lavoro ricostruzione della formula base.
Uno degli elementi più importanti -se non proprio quello più fondamentale- ha riguardato la ricostruzione della formula preparativa della potassa base: il ciclo cordaio moderno utilizza una chimica differente e più complessa. Se non si ha la fase chimica giusta la sola ricostruzione del ciclo storico non porta ad avere corde di qualità (esse si rompono, sono rigide anche se molto ritorte, le fibre non sono ben legate tra loro etc) Le fonti storiche che descrivono come prepararla non sono molte; inoltre, essendo scritte da non cordai, vi è sempre il ragionevole dubbio di errori, incomprensioni se non veri e propri depistaggi messi in atto dai cordai stessi.
Un ulteriore elemento di difficoltà sono le unità di misura utilizzate e il fatto che non si ha conoscenza del contenuto percentuale di potassa nelle ceneri vegetali usate le quali andavano dal prodotto migliore, che erano le fecce di vino bianco, a quello peggiore in termini di concentrazione di potassa, che erano le comuni ceneri di piante opportunamente passate al gravello/clavello (il setaccio cioè) dette gravellate/clavellate (cioè settacciate). Nel XIX secolo inoltre si distingueva la potassa in diversi indici di purezza (la migliore era la cosiddetta Perlassa, menzionata però solo a partire dagli inizi del XIX secolo). Insomma le incertezze sono diverse.
La comparazione di tutte le fonti del tardo XVIII e quelle del XIX secolo in nostro possesso ha riservato però una gradita sorpresa: la variazione della concentrazione del bagno di potassa base ricavata dai calcoli era comunque compresa entro un range di tolleranza piuttosto ristretto (+- 15%) , tale da far concludere non solo che le fonti erano invece attendibili ma che il ciclo produttivo cordaio, almeno a partire dalla metà del XVIII secolo, era già altamente standardizzato e così arrivò tale fino al 1920’s.
L’analisi approfondita del perché si usavano concentrazioni via via crescenti durante le fasi di passaggio al ditale fino ad arrivare alla potassa pura si spiega facilmente (è una metodologia che viene utilizzata anche in certe fasi preparative della chimica moderna): si parte inizialmente con una bassa concentrazione di agente alcalino il quale và a rimuovere la porzione di grasso più facilmente asportabile riservando la massima concentrazione di potassa alla quantità minoritaria residua più tenace. Il trattamento alcalino comunque non serve soltanto a rimuovere il grasso: esso và alterare anche la struttura del budello rendendolo più elastico, morbido e più ‘legante tra le fibre. Una corda ottenuta direttamente dal del budello perfettamente sgrassato ma senza trattamento alcalino è rigida, fragile, secca con scarso legame tra le fibre di budello.

Fecce di vino

Cenere di feccia
- Il budello intero
Nel ciclo produttivo italiano del XVI, XVII, XVIII e XIX secolo gli animali il cui intestino veniva comunemente utilizzato nelle corderie era sia quello di capra (principalmente a Napoli) che quello di ovino (nel Settecento: agnelli di 7-8 mesi, agnelloni fino ad arrivare alla pecora adulta. Viene menzionato di frequente anche il montone e il castrato) Nei macelli si abbatteva in realtà di tutto e sempre per soli motivi alimentari; stava poi al cordaio selezionare le budella (provenienti da fonti diversificate e talvolta anche molto lontane) a seconda del loro diametro seguendo la regola a noi pervenuta e già citata che i budelli di minor diametro e di miglior qualità e alto costo dovevano essere usati solo per le corde più sottili (segnatamente: i cantini per Violino) e viceversa.
La situazione comune che si ritrova in numerosi documenti italiani e del XVIII e XIX secolo è che con tre/quattro budelli interi si deve ottenere il range di diametri tipici del cantino del violino (65-73 mm di diametro approssimativamente riassumendo le fonti storiche) : gli intestini di partenza dovevano dunque essere davvero piuttosto sottili. In taluni casi si riusciva a realizzare i diametri prima menzionati anche con 4 budelli: in questo caso il costo del prodotto era superiore (si aveva una maggior robustezza, regolarità del diametro e durata di vita)

Tipica curva a gaussiana di una produzione di cantini per violino da tre budelli interi di agnello

De Lalande, 1765 Parigi
L’utilizzo del budello intero fu dunque la regola in quei paesi (come la Spagna, Portogallo ma soprattutto l’Italia) dove si disponeva di animali di piccola taglia il cui numero di tre, talvolta quattro budelli accoppiati e ritorti, forniva il range di diametri adatti come prima di Violino.
All’estero invece (Francia, Austria, Germania ecc.) la situazione era ben diversa: i loro agnelli, vuoi per la razza, vuoi per il clima o il tipo di alimentazione avevano dimensioni maggiori di quelli italiani e spagnoli; inoltre non venivano mai abbattuti in tenera età al contrario di quanto accadeva in Italia perché quegli animali erano pregiati per la lana. A causa del budello di maggior sezione non si riusciva pertanto ad ottenere il diametro adatto al cantino del Violino, bensì maggiore: questo è il motivo principale delle ingenti ordinazioni di cantini per Liuto e Violino rivolti a Roma e a Napoli dalle varie nazioni europee nel XVII, XVIII e XIX secolo. Vi sono diversi documenti del XVIII e XIX secolo, soprattutto francesi che analizzano bene la situazione arrivando alla conclusione che a causa della loro tipologia di ovini risulta impossibile riuscire ad imitare la qualità dei cantini di Napoli.
Da questo tipo di problema venne pertanto la ingegnosa soluzione di fendere a metà e per lungo l’intestino in modo da ottenere delle strisce più sottili in modo da aggirare così l’ostacolo, tecnica usata anche oggi praticamente da tutti i cordai, sia che si tratti di budello di mucca che ovino: da alcune fonti storiche sembrerebbe che questa tecnica sia stata introdotta in Germania solo nel tardo XVIII secolo (l’inventore, tale Israel Kampfe, si guadagnò nel 1785 persino un premio in denaro da parte della municipalità di Vogtland e l’accettazione nella corporazione dei cordai tedeschi) mentre in realtà se ne conosce indirettamente l’uso almeno dalla seconda metà del XVI secolo: negli statuti dei cordai di Roma del 1587; 1591; 1642 e 1678 viene infatti proibito, pena multe salate, frusta e galera, di fabbricare corde a partire da budelli ‘spaccati nel mezzo’; termine usato ancor oggi con me dagli anziani cordai Abruzzesi.

Prima pagina dello Statuto dei cordai romani, 1642

Statuto dei cordai romani, 1642 cap VII, 1642: è proibito tagliare a metà le budella
Anche negli statuti dei cordai di Lisbona del 1679 è parimenti scritto che il cordaio che venisse scoperto a mescolare budelli interi con budelli tagliati in strisce verrà costretto a pagare una multa salata:
‘Nessun artigiano dovrà fare corde di budello di pecora o anche di capra. Ogni corda che essi fanno, sottile o grossa, dovrà essere fatta con budello di agnello. E non dovranno farle con budello tagliato/spaccato (longitudinalmente). Quelli che non faranno così pagheranno mille reais, che saranno destinati per metà a chi lavora in città e per metà all’accusatore. E quelle corde saranno considerate false (frode) e difettose e saranno tutte bruciate.’

Statuto dei cordai Portoghesi 1679: è proibito tagliare a metà le budella
La realizzazione di corde a partire da strisce e non da budello intero viene in definitiva considerata una gravissima frode commerciale e non pochi furono probabilmente i cordai italiani che agivano illegalmente.
Un documento italiano, ancora nel 1846, afferma infatti che l’uso di strisce per realizzare le corde invece che usare il budello intero è da considerare come tale e insegna anche come smascherarla:

Giuseppe Antonelli, Venezia: Nuovo dizionario universale 1846
Ma perché in Italia e Portogallo erano così severi contro chi tagliava/utilizzava il budello in strisce? Non era forse un sistema ingegnoso per poter utilizzare anche dell’intestino più grosso e quindi maggiormente disponibile? Il paradosso è che mentre in Italia e Portogallo si puniva severamente la frode in Germania del tardo Settecento si premiava il (ri)scopritore della tecnica per fendere le budella in due strisce distinte permettendo quindi la realizzazione dei cantini per Violino e Mandolino liberandosi dal giogo di doverli importare dall’Italia (problema particolarmente sentito dai francesi i quali, agli inizi del XIX secolo incaricarono degli studiosi come il Labarraque di capire come; si andò avanti per quasi tutto il XIX secolo a discutere di questo problema risolto definitivamente con i Savaresse da una parte e con la caduta della corderia italiana dall’altra).
4) Il problema della materia prima e della stagione migliore per lavorare le corde
Fino a pochi mesi fa si riteneva comunemente (ma solo a livello deduttivo) che una corda realizzata in budello intero dovesse avere le stesse proprietà acustiche di una ottenuta da strisce. Purtroppo i vari tentativi eseguiti da i vari cordai di oggi -noi compresi- per realizzare cantini di Violino o di Liuto ha sempre fallito: le corde si presentavano molto irregolari e con un carico di rottura piuttosto ridotto. Nelle corde molto più grosse questo problema in realtà non sussiste ma, si sa che la professionalità di un cordaio si misura in primis nella tenuta meccanica del cantino del Violino. Insomma nessuno è mai riuscito nell’impresa.
La soluzione del problema è arrivata ancora una volta sia dall’esame delle antiche fonti e sia dalla biologia animale: sin dal tempo di Mersenne (1636) si fa leva sul fatto unico della razza, il tipo di alimentazione ed età degli ovini e caprini italiani il cui budello è utilizzato per fare le corde: tutto questo non era disponibile in nord Europa.
Attanasio Kircher /Roma 1650) tratta questo argomento in modo interessante e così pochi altri nel corso del XVIII e XIX secolo che però spesso ripetono concetti in realtà già ribaditi da altri autori precedenti e semplicemente riportati. Fino a pochi anni fa ritenevo che questa questione fosse irrilevante (lavorando con le strisce di budello il problema non si evidenzia molto) ma una approfondita indagine durata un paio di anni mi ha fatto cambiare decisamente idea: gli esseri viventi sono plastici, essi si adattano sia alle condizioni ambientali che al cibo e così anche il loro intestino (che l’erba sia inquinata o no o anche l’uso di eventuali medicine non ha invece importanza alcuna). Le caratteristiche descritte da Mersenne e Kircher e da altri autori sono quindi vere.
Cosa dire invece circa in merito alla stagione più opportuna per realizzare le corde?
In Italia si distingue in maniera molto chiara che la produzione cordaia fatta in inverno è la più scadente in termini di resistenza alla trazione rispetto a quella realizzata in estate e più segnatamente tra Giugno, Luglio, Agosto e Settembre e inizi Ottobre (i mesi più adatti per i cantini di Violino). Alcune fonti del XIX secolo citano per esempio il fatto che i napoletani dedicavano l’inverno per la fabbricazione di qualunque genere di corda – seconda del Violino inclusa – ad esclusione dei soli cantini di Violino, i quali venivano esclusivamente prodotti tra la metà dell’estate e il primo autunno. John Dowland (1626) riprende anche lui il punto che riguarda la stagione migliore di quando comprare le corde (e il Paganini anche: Agosto). La spiegazione è semplice: il foraggio nella stagione secca nelle zone montagnose e aride è duro e scarso mentre durante l’inverno la pastura è verde con abbondanza di acqua: il budello si modifica a seconda della situazione alimentare.
5) Caratteristiche meccaniche e acustiche riscontrate nelle corde in budello intero rispetto alle omologhe provenienti da strisce di budella.
Le corde di budello intero realizzate sono state fatte seguendo il metodo storico da noi ricostruito, usando la procedura chimica corretta, utilizzando del budello intero di agnello selezionato accuratamente (come si parla di ‘abete di risonanza’ particolarmente indicato per le tavole armoniche, si potrebbe introdurre il concetto di budello di risonanza adatto cioè particolarmente adatto a fare le corde in budello intero), superfice delle corde levigata a rettifica lasciando però una superfice ancora leggermente ruvida (abbiamo scelto questa strada: ai giorni nostri risulta totalmente improponibile una levigatura manuale sia per i costi, per i tempi di attesa, per il rischio di corde false ma soprattutto per l’impossibilità di garantire la scalatura dei diametri come oggi comunemente in uso) hanno mostrato una realtà completamente diversa da quanto sinora teoricamente supposto (cioè invarianza rispetto a quelle realizzate da strisce): le corde di questo tipo presentano maggiori prestazioni acustiche, raggiungono velocemente una stabile accordatura, sono più resistenti alla trazione e anche molto più stabili ai cambi climatici rispetto alle omologhe realizzate a partire da strisce. Non manifestano perdite di tensione nel tempo come accade con le omologhe realizzate da strisce.
Questi risultati sono notevoli tenendo conto che non abbiamo ancora sperimentato il trattamento di sbianca mediante solforazione (a partire dalla metà del XIX secolo le rinomate corderie di Padova lo omettevano).
Questa serie di riscontri spiegherebbe definitivamente perché le corde prodotte in Italia godettero di quella reputazione da sempre decantata nei documenti europei dal tardo XVI sino prima metà del XX secolo e spiegano in modo esaustivo anche il motivo per cui si vigilava così attentamente che non ci fossero iniziative fraudolente da parte dei cordai di questa nazione.
Ci siamo chiesti in cosa più consistere la ragione di questa miglior sonorità, stabilità e resistenza meccanica: se realizziamo infatti due corde identiche a partire dallo stesso budello (ma di cui una sia ottenuta da strisce) otteniamo dei risultati piuttosto diversi, sia sotto il punto di vista meccanico che acustico.
Una possibile spiegazione è legata alla conformazione naturale dell’intestino, il quale presenta da un lato una sorta di robusto e sottile ‘laccio’ longitudinale su cui aderisce la sottile e delicata ‘tubazione’ dell’intestino.

Durante la fase di torcitura essa si spalma intorno al suddetto laccio che, al contrario, risulta in trazione ai suoi estremi quasi a realizzare una ipotetica corda rivestita la cui anima risulta il citato ‘laccio’.
Vivi felice