Il mistero delle corde basse per liuto

(english: coming soon)

 

di Mimmo Peruffo

tratto da Il Liuto Rivista della Società del Liuto  Numero 19, novembre 2019

 

 For we see, that in one of the lower strings, there soundeth not only the sound of the treble, nor any mixt sound, but only the sound of the base. 1

Introduzione

Riguardo ai bassi in solo budello impiegati nei liuti del XVI, XVII e agli inizi del XVIII secolo vi sono, ancor oggi, questioni non risolte.

I problemi cominciano ad emergere quando, verso la seconda metà del XVI secolo, viene aggiunto al liuto un settimo ordine grave accordato una quarta (talvolta una quinta) al di sotto del sesto:

The Lutes of the newe invention with thirtene strynges, be not subiecte to this inconvenince, where of the laste is put be lowe: whiche accordyng to the maner now abaies, is thereby augmented a whole fowerth 2

(Fig. 1)

Fig. 1: ADRIAN LE ROY, An Instruction to set all Musicke in Tablature for the Lute, f. 33v.

Una domanda si pone sopra le altre: ma questi nuovi bassi furono davvero così efficienti e potenti come alcune testimonianze e fonti storiche vorrebbero farci credere? E, se fosse vero, come fecero ad ottenere quel risultato?

Il quesito è ancor più lecito visto che già nel primo Cinquecento ci si lamentava, e non poco, della qualità acustica dei bassi del liuto a sei ordini: è cosa infatti nota anche alla maggior parte dei liutisti di oggi che una normale corda di budello, anche se ritorta ai massimi livelli (al fine di guadagnare la massima elasticità e quindi ottimizzare la sonorità) oltre certi diametri non suona affatto bene, producendo una sorta di sordo ‘rumore’ di breve durata dal quale si intuisce appena la nota prodotta.

Per quella data frequenza e lunghezza vibrante si ha in altre parole un elevato grado di ‘inarmonicità’ in virtù dell’elevato coefficiente di smorzamento interno. 3

Questo fenomeno è direttamente proporzionale alla sezione della corda per cui non è possibile scendere ulteriormente verso il grave.4

Se già non erano per nulla soddisfatti dei bassi del liuto a sei ordini, come mai tutto ad un tratto si comincia ad aggiungerne altri ed esserne anche soddisfatti?

Comunque essi abbiano operato, il segreto sta esclusivamente nel contrastare la rigidità della corda (in altre parole nel ridurre la sua ‘inarmonicità’).

Ad oggi ci sono soltanto due ipotesi che tentano di risolvere il dilemma. La prima immagina l’uso di budello intrecciato secondo il sistema utilizzato per le gomene da imbarcazione (sia che si mantenga visibile la tipica struttura ‘nodosa’, sia che si arrivi ad una superficie levigata). Questo secondo i ricercatori permetterebbe di giungere alla massima elasticità consentendo così di arrivare al limite di un intervallo di quarta (talvolta una quinta) al di sotto del sesto ordine.

La seconda ipotesi prevede invece che il budello allo stato fresco abbia subito un particolare trattamento di ‘carica’ per mezzo di metalli pesanti ridotti in polvere finissima (o suoi composti insolubili come ad esempio solfuri ed ossidi) al fine di incrementare la densità finale della corda. Così appesantita, una corda perde una buona parte del suo diametro (densità e diametro sono inversamente proporzionali) diventando pertanto molto più sonora e può essere realizzata sia in ‘alta torsione’ che secondo la struttura a gomena (con finitura liscia o ‘nodosa’) incrementando pertanto ancora di più la sua resa acustica (densità ed elasticità lavorano qui in sinergia).

In questo lavoro esaminerò le due ipotesi alla luce dei sette requisiti che ho identificato e che derivano direttamente dalla lettura delle fonti storiche e/o da considerazioni tecniche, sempre però legate ad una base di natura storica.

I sette requisiti sono i seguenti:

  • i diametri dei fori per i bassi, nei ponticelli di molti liuti originali sopravvissuti, presentano misure veramente ridotte rispetto a come dovrebbe essere se si usassero delle normali corde di budello;
  • il netto miglioramento delle qualità acustiche dei bassi a partire dalla seconda metà del XVI secolo, rispetto a quelli in uso nel periodo storico immediatamente precedente, così come registrato dalle fonti del tempo;
  • eguale tensione/eguale sensazione tattile di tensione: implicazioni generali riguardo ai diametri delle corde;
  • il colore delle corde gravi nei quadri dell’epoca;
  • quando fu veramente introdotta la struttura che imita una gomena marina/ fune nelle corde sonore;
  • i bassi del liuto e la loro superficie: finitura liscia o nodosa?
  • dipinti che testimoniano il grado di flessibilità/morbidezza dei Bassi.

 

1) I diametri dei fori per i bassi nei ponticelli di liuti originali

 Agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso Ricardo Brané5  prima e quindi io, osservammo che i fori al ponticello per le corde dei bassi dei liuti sopravvissuti erano troppo stretti per poter installare delle corde di budello naturale che avessero diametro sufficiente al raggiungimento di una tensione di lavoro ragionevole (vale a dire maggiore di 2,5 Kg).6 Indipendentemente dal fatto che sappiamo molto poco circa le ‘tensioni di lavoro’ usate dai liutisti del passato, si constata che a valori inferiori a circa 2,5 Kg, in un tipico liuto rinascimentale in Sol, la corda non può più essere controllata dal pollice della mano destra. Si perde vistosamente in potenza acustica e comincia a manifestarsi una notevole distorsione di frequenza quando questa viene premuta sui tasti.7

In tema di fori va tenuto in debita considerazione il modo in cui venivano realizzati: nella maggioranza dei casi risultavano infatti leggermente conici, non cilindrici.

Risulta evidente che non siano stati fatti nel modo impiegato oggi, cioè con una punta da trapano. Penso piuttosto che gli antichi liutai utilizzassero una serie di tondini di ferro, leggermente conici, dotati di punta resa rovente alla fiamma.

Infatti, su diversi ponticelli da me esaminati, si presentavano degli aloni bruciacchiati sia intorno al foro che all’interno di esso.

Comunque, in forza delle prime scarse evidenze, raccolte da Branè nel Museo degli strumenti musicali e all’Accademia Filarmonica di Bologna, cominciai una lunga ricerca, durata più di un decennio, che mi portò a studiare i ponticelli di numerosi liuti originali, disseminati in almeno una dozzina di musei musicali europei (Figg. 2-4), con l’intenzione di raccogliere sistematicamente tutte le misure dei diametri passanti al ponte per le corde basse. In totale sono riuscito a rilevare i diametri di più di 100 strumenti.

 

Fig. 2: Misurazione del diametro di un foro al ponticello. Rilievi eseguiti dall’autore, nel 1994, al Kunsthistorisches Museum di Vienna, su un liuto a sei ordini di Georg Gerle, A35, 1580 ca.

 

Fig. 3: Radiografia del ponte del Liuto a 11 ordini di Johann Seelos (notare come i fori dal lato dei bassi – sulla destra dell’immagine siano stretti e di natura conica).

 

Fig. 4: Liuto tenore costruito da Hans Frei, Bologna, 1597. Particolare del ponte e della serie dei fori.

Alla conclusione delle osservazioni ho però preso in considerazione soltanto una metà degli strumenti rilevati: quelli che conservavano serie evidenze che il ponte fosse originale. In seguito ho scritto alcuni articoli che riportano tutte le misurazioni e i relativi calcoli.8

 

Dopo questa prima indagine riuscii ad effettuare ulteriori misurazioni su strumenti di collezioni private. Nel 2005 ho avuto modo di visitare il monastero benedettino di Kremsmünster (Austria) dove ho potuto analizzare alcuni interessanti liuti in re minore a 11 e 13 ordini,9 di proprietà del monastero stesso (Figg. 5-9), che mi hanno confermato ancora una volta la presenza di fori troppo stretti per corde basse di budello naturale calcolate con una ragionevole’ tensione di lavoro. (Fig.10) In questi strumenti si osservano, ben visibili sulla tavola armonica, i segni delle posizioni delle dita della mano destra, aprendo così spazio per altre interessanti indagini e testimoniando quanto intensamente questi strumenti siano stati suonati.

 

Fig. 5: Liuto costruito da Magno Dieffoprichar, 1604, Monastero di Kremsmünster.

 

Fig. 6: Liuto costruito da Hans Frey, Bologna/Fux, 1683, Monastero di Kremsmünster.

 

Fig. 7: Liuto attribuito a Jacob Weiss, Monastero di Kremsmünster

 

Fig. 8: Liuto costruito da Matthias Brummel, 1678, Monastero di Kremsmünster.

 

 

Fig. 9: Liuto di costruttore anonimo, Monastero di Kremsmünster

 

 

Fig. 10: Esempio di scheda con relativi rilievi e note, Kremsmünster, 2005.

 

Vale la pena di sottolineare che il diametro del foro al ponte non coincide certamente con quello della corda passante. In altre parole i fori devono avere, per forza di cose, un certo empirico sovradimensionamento rispetto alla corda stessa, altrimenti questa si incepperebbe e non lo attraverserebbe con facilità.

Basandosi su tutti i miei dati, il ricercatore e fisico Ephraim Segerman calcolò quindi il range di tensioni che avrebbero posseduto i bassi del tempo. Queste risultarono comprese tra 1,1 e 1,8 Kg.

Nel suo lavoro egli considerò corde con un diametro pari all’85% del massimo diametro passante per quel dato foro del ponte e ritengo che questo sia stato un buon criterio.10

 

È importante che quei calcoli siano stati fatti da lui e non da me. Egli è infatti il ricercatore che negli anni ‘70 ha introdotto la teoria che le corde gravi per il liuto e per gli archi, al fine di poter essere sonore, fossero rese più elastiche mediante la tecnica di torsione utilizzata nelle gomene marine e nelle funi. Segerman ancora oggi ritiene che l’ipotesi dell’appesantimento del budello non abbia alcuna evidenza storica.

Il fatto che questi fori presentino dei diametri così piccoli apre però una questione importante: potrebbero, nel passare dei secoli, essersi via via contratti?

Chiesi pertanto un parere ad alcuni famosi restauratori di oggetti d’arte in legno qui in Italia (Firenze e Milano per precisione) e la risposta fu che il legno, con il passare del tempo, tende piuttosto ad erodersi ed a diventare debole e inconsistente sotto l’attacco batterico, dei cambi climatici e del tempo. In altre parole ci si deve semmai aspettare che dopo secoli e secoli i fori siano andati via via ad allargarsi, non a restringersi.

Altra questione che potrebbe porsi è la seguente: cosa possiamo dire circa l’eventuale traccia di polvere presente all’interno dei fori? Potrebbe contenere tracce di metalli pesanti o relativi ossidi/solfuri rilasciati dall’antica corda? Ho preso però la decisione di non svolgere questo tipo di indagine. Infatti dopo tutti questi secoli è probabile che una notevole contaminazione porti a false conclusioni.

Ho scoperto comunque una importante imprecisione nel lavoro di Segerman: egli considera, nei suoi calcoli, una densità del budello pari a 1,30 gr/cm3, che è però quella tipica di una corda realizzata in bassa torsione, (che risulta molto rigida, compatta, totalmente inadatta quindi a realizzare delle efficienti corde per i bassi).

Avrebbe invece dovuto utilizzare come valore di densità quello di 1,10 gr/cm3, che è il valore medio tipico di una corda di budello realizzata come una gomena marina con superficie nodosa (la teoria, appunto, da lui sostenuta).11

Dopo le mie correzioni, il range di valori di tensione che si ricava risulta quindi compreso tra 0,9 e 1,5 Kg.

Forse non tutti hanno una chiara idea di cosa ciò significhi.

Fate da voi il seguente test: abbassate l’intonazione del vostro liuto (che risulta probabilmente tarato intorno ai 3,0 Kg medi: il valore più comune oggigiorno) o anche di una sola corda grave, di 9, fino a 11, semitoni e così potrete avere una idea precisa di cosa significhino questi valori di tensione. Risulterà ancora possibile suonare uno strumento in queste condizioni? Che qualità acustica globale e che controllo delle dita sulle corde ancora avremo? Sarà infatti evidente a chiunque che le corde diventino come elastici di gomma, con scarsa potenza sonora, scarsa prontezza di attacco, scarso controllo da parte del pollice della mano destra, rumore piuttosto che suono e infine, come se non bastasse, avremo molto pronunciato il fenomeno della pitch distorsion (le corde premute crescono di frequenza al minimo spostamento laterale e/o cambio di pressione sulle stesse sopra i tasti).

 

 

Fig. 11: Aspetto risultante dall’alta o dalla bassa torsione.

 

Fig. 12: Fune con superficie nodosa.

 

Fig. 13: Corda avvolta a gomena con superficie lisciata.

 

Suggerirei di fare questo test pratico almeno una volta, specialmente se si è avversi per principio alla teoria dell’appesantimento del budello.

Per essere realmente indicativo, il test dovrebbe essere però condotto usando corde in solo budello intrecciate secondo la tecnica della gomena marina, e non con corde moderne rivestite, o in fluorocarbonio, o gimped12 etc., le quali hanno in comune il fatto di possedere un peso specifico maggiore di quello del budello naturale. Nonostante questo, effettuandolo anche con tali tipologie di corde, si arriva a comprendere nettamente cosa significhi lavorare con questi bassi valori di tensione.

La mia domanda è: perché i liutai di allora non hanno fatto i fori semplicemente più grossi? Questa operazione è in sé molto facile; diversi liutisti oggi provvedono ad allargare i fori del lato bassi del ponticello nel caso intendano passare dalle tradizionali corde rivestite ai bassi in solo budello. Se all’epoca li hanno fatti invece così ridotti un motivo preciso deve ben esserci. Considerando che i fori per i bassi furono dimensionati così dai liutai del tardo XVI e del XVII secolo, per qualunque marca di corda grave, quale altra spiegazione ci è consentita se non il fatto che la matrice comune dei Lyons, dei Pistoys e forse, nel caso di Dowland, delle Venice Catlins,13 fosse l’appesantimento del budello?

Conclusione: se le corde dei bassi non sono in qualche modo densificate non si può raggiungere un adeguato valore di tensione di lavoro.

2) Il netto miglioramento delle qualità acustiche dei bassi a partire dalla seconda metà del XVI secolo, rispetto a quelli in uso nel periodo storico immediatamente precedente

 Vi sono diversi scritti che testimoniano come le corde gravi del liuto del XVII secolo (dal sesto ordine compreso fino all’XI /XII ordine grave, per un liuto in re minore e/o con tratta corta) avessero migliori performance acustiche rispetto a quelle in uso tra la fine del XV secolo, fino al 1560’65 circa.

Johannes Tinctoris scrisse:

Un arrangiamento di cinque, qualche volta sei corde principali fu prima adottato, credo da parte dei tedeschi: cioè, due interne accordate per terza e le altre per quarta […]. Inoltre, al fine di ottenere una sonorità più forte, un altra corda accordata una ottava sopra fu addizionata alle principali, eccetto le prime.14

 

Fig. 14: SEBASTIAN VIRDUNG, Musica Getutsch

 

Sebastian Virdung (Fig. 14):

[…] a tutti e tre i bassi (prummer) sono addizionate corde di spessore medio […] una ottava più alta. Perché si fa questo? Perché le corde più grosse non possono essere udite così forte alla distanza come quelle più più sottili. Perciò le ottave sono aggiunte, così che possano essere udite come le altre.15

 

Fig. 15: VINCENZO GALILEI, Fronimo, 1584, p. 105

 

Dalla figura 15 potere vedere cosa Vincenzo Galilei scrive nel 1584:16

Qui si sta riferendo ai primi bassi aggiunti dopo il sesto. Il suo commento è decisamente sarcastico e anche di natura puramente conservativa (non amava che il liuto adottasse bassi ulteriori). Tralasciamo di commentare la soluzione proposta dal Galilei di aggiungere una ulteriore corda, ancora più acuta del cantino, che tecnicamente è una mission impossible (le ‘Colonne d’Ercole’ vale a dire l’Indice di Rottura del cantino esistono anche per Vincenzo!).

Fig. 16: Ritratto di English Gaultier. Questo è probabilmente lo strumento provvisto di tratta (piuttosto corta) menzionato nel Mary Burwell Lute Tutor.

 

Contrariamente alle fonti comprese tra il tardo Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, sia il Burwell Lute Tutor (verso il 1670)17 che Thomas Mace (nel 1676)18 documentano che i bassi in puro budello del loro tempo, anche se installati su di un liuto provvisto di tratta molto corta, (Fig. 16) erano talmente efficienti da arrivare persino a coprire e confondere il suono delle corde superiori, consigliando infine di tornare indietro allo strumento tradizionale sprovvisto di estensione per i bassi.

 

Mary Burwell Lute Tutor:

[…] the confusion that the length of sound produce it alsoe. […] every basse sound make a confond with every string […]

Fig. 16 a: The Burwell Lute Tutor, 1670 ca: descrizione della sonorità delle corde gravi del Liuto

e, parlando dell’XI ordine:

[…] the lutemasters have taken away that great string because the sound of it is too long and smothis the sound of the others.19

Fig. 16 b: The Burwell Lute Tutor, 1670 ca: descrizione della sonorità delle corde gravi del Liuto

 

Thomas Mace:

This inconvenience20     is found upon French Lutes, when their heads are made too long; as some desire to have them […].21

Fig. 16 b: Thomas Mace, 1676: descrizione della sonorità delle corde gravi del Liuto

 

Bisogna essere qui ben consapevoli di una cosa molto importante: quanto riportato dai due trattati non costituisce opinione soggettiva bensì comparazione di natura oggettiva tra le corde superiori e i bassi. Lo stesso tipo di confronto può essere fatto in altre parole anche da noi. Producendo una valutazione di tipo comparativo e non di natura assoluta ci poniamo fuori da un giudizio personale, che sarebbe potuto essere improntato al gusto e alla sensibilità del tempo.

Chiunque oggi può infatti tranquillamente verificare come anche il miglior basso di budello fatto secondo una struttura a gomena non sia assolutamente in grado di coprire e confondere il suono delle corde più acute; la sua sonorità, viceversa, è invece sorda e debole, se comparata a quella delle corde superiori.

 

Ci sono ulteriori testimonianze, in termini questa volta soggettivi, che ci danno un’idea del tipo sonorità dei bassi del liuto alla loro epoca:

[…] L’altro è che potendosi trovare un leuto à otto ordini, come li suol fare perfettissimi un Maestro Tedesco ch’è in Padova nomato Mastro Venere Alberti faria piacere à S. Altezza [Alfonso d’Este] di presentarglielo: il qual leuto havendo poi à servir per me, desidero che sia delli ordinarij, in quanto alla grandezza, et que’ dui ordini bassi più delli sei costumati siano li bordoni fermi, et sonori d’una corda per ciascuno, et non di due, et infine che ‘l leùto sia armonioso et argentino, cioè con suono chiaro et sonoro, et che i bassi rimbombino il più che si può.22

For we see, that in one of the lower strings of a lute, there soundeth not the sound of the treble, nor any mixt sound, but onely the sound of the base.23

[…] still torturing the deep mouth’d Catlines till hoarse thundering diapason should the whole room fill […].24

 

Fig. 17: MARIN MERSENNE, Harmonie Universelle, Parigi, 1636.

Mersenne scrive che il suono/la vibrazione della corda più spessa del liuto (nel suo caso è il XI ordine) durava almeno venti secondi (Fig. 17). Personalmente non ho mai sentito qualcosa del genere, sia che si trattasse di una corda in budello ritorta come una gomena marina, ma anche nel caso di un basso moderno rivestito su anima in multifilamento di nylon (che presenterebbe in assoluto il sustain maggiore). Ritengo che questa affermazione sia esagerata, non attinente al reale oppure riferita alla durata della vibrazione più che alla sonorità propriamente detta. Una presunta vibrazione di almeno venti secondi da parte una corda di budello risulta in ogni caso lontana dalla realtà.

Conclusione: facendo un esperimento con una corda in budello nudo, ritorta come una gomena marina, ne risulta che essa non è affatto in grado di raggiungere la performance dei bassi in budello descritta dalle fonti del XVII secolo rispetto a quelle superiori. Al contrario, la sonorità risulta debole, povera di armonici, di scarsa durata e certamente non in grado di prevaricare le corde più acute.

 

3)      Eguale tensione/sensazione tattile di tensione: implicazioni generali riguardo ai diametri delle corde

 

Se si considerasse un profilo di eguale tensione (o, più storicamente parlando, di eguale ‘sensazione tattile’ di tensione)25 ammettendo che i bassi davvero lavorassero con questi ridotti valori di tensione,26 la prima corda arriverebbe ad avere un diametro compreso tra 0,26 e 0,32 millimetri soltanto; quelle del secondo ordine intorno 0,36-0,38 millimetri mentre quelle del terzo ordine attorno 0,48-0,50 mm

Non ho mai visto in tutta la mia esperienza di ricercatore e cordaio una prima corda così sottile e, per quello che conosco, non credo che esista in natura un intestino intero di agnello che possa raggiungere calibri simili.

Il diametro più sottile che sono riuscito a produrre è di circa 0,34-0,42 millimetri (dopo una leggera levigatura manuale si riduce di un poco)27 partendo appunto da un singolo budello intero di agnello di circa un mese di età.28

Per la precisione, il range di diametro che ho potuto ottenere da diversi campioni di budello intero di agnello, di diversa provenienza, è il seguente: 0,38 – 0,46 mm. Conclusione: in base alla mia esperienza, non si trovano intestini di agnello che siano così sottili da produrre cantini di diametro inferiore a 0,38 mm. Questo fatto porta all’impossibilità di mantenere per l’intera montatura i valori di tensione calcolati da Segerman. Viceversa, considerando il range dei valori di diametro che si ottengono realmente da un singolo budello di agnello (0,36-0,46 mm) la tensione di lavoro balza a valori compresi tra 3,5 e 4,5 Kg.

Dovendo assicurare, per forza di cose, una eguale sensazione tattile di tensione tra tutte le corde del liuto (come sempre indicato dalle fonti storiche) ecco di conseguenza che la tensione di lavoro dei bassi si deve attestare anche essa intorno a valori di 3,0-3,5 Kg, non certo di 0,9-1,5 Kg come calcolato da Segerman e da me corretto.

 

Fig. 18: ATHANASIUS KIRCHER, Musurgia Universalis, Roma, 1650, Liber VI, Caput II, p. 476.

 

4)         Il colore delle corde gravi nei quadri dell’epoca

 Molti ritengono che la questione del colore delle corde basse sia l’evidenza primaria che supporta la teoria dell’appesantimento del budello.

Ma questo non è vero. Il colore infatti rappresenta in realtà l’ultimo punto nella scala delle evidenze e ci suggerisce che questi bassi fossero lavorati in modo tecnologicamente avanzato. I colori, aventi una mera funzione estetica, per i Treble e i Mean menzionati dalle vecchie fonti29 sono i seguenti: blu chiaro, verde chiaro, giallo e rosso chiaro.

In taluni dipinti del tempo è possibile talvolta osservarli tra il primo e il quinto ordine, su entrambe le corde del coro o anche soltanto su una. Corde colorate sono talvolta visibili come ottave associate ai bassi.30 Invece, nei bassi rappresentati dai dipinti, quando sono colorati, è possibile osservare soltanto toni cromatici che variano dal giallo canarino, all’arancio scuro, al rosso cupo fino a tutte le variazioni del marrone e infine al nerastro. (Figg. 19-30)

Ci sono cose ulteriori da osservare: queste colorazioni partono dal sesto ordine compreso fino all’ultimo basso e presentano la stessa medesima gradazione di tonalità tra tutti i bassi del dipinto: in altre parole si trovano esattamente là dove oggi utilizziamo corde di nylon rivestito, o fatte a gomena, o in fluorocarbonio.

Esse infine sembrano piuttosto sottili.

 

Fig. 19: Angelo musicante, Anonimo, 2a metà del XVI secolo? Particolare.
Fig. 19 b: suonatrice di Liuto, Anonimo probabilmente veneziano, 1590-1600? Collezione privata

 

Fig. 19 c: suonatrice di Liuto, Anonimo probabilmente veneziano, 1590-1600? Collezione privata: dettaglio

 

 

Fig. 20: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, Siena, 1624. Particolare.

 

 

Fig. 21: Liutista francese del XVII secolo, Anonimo, 2a metà del XVII secolo, Hamburger Kunsthalle.

 

 

Fig. 22: Liutista francese del XVII secolo, Anonimo, 2a metà del XVII secolo, Hamburger Kunsthalle: dettaglio

 

Fig. 23: EGLON VAN DER NEER, A Lady Tuning a Theorbo, 1678, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera.

 

Fig. 24: EGLON VAN DER NEER, A Lady Tuning a Theorbo, 1678, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Particolare.

 

Fig. 24 b: EGLON VAN DER NEER, A Lady Tuning a Theorbo, 1678, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera. Particolare.

 

Fig. 25: EGLON VAN DER NEER, Suonatrice di Liuto, 1677 ca., Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe.

 

 

Fig. 26: Suonatore di liuto, Anonimo, scuola francese XVII secolo.

 

 

Fig. 27: Suonatore di liuto, Anonimo, scuola francese XVII secolo. Particolare.

 

Fig. 28: FRANÇOIS DE TROY, Ritratto del liutista Charles Mouton, 1690 ca., Museo del Louvre, Parigi. Particolare.

Fig. 28 a: FRANÇOIS DE TROY, Ritratto del liutista Charles Mouton, 1690 ca., Museo del Louvre, Parigi. Particolare.

 

Fig. 29: FRANÇOIS DE TROY, Ritratto del liutista Charles Mouton, 1690 ca. Museo del Louvre, Parigi. Particolare delle corde sulla rosa (notare i bassi rosso cupo).

 

Fig. 30: LOUIS DE SILVESTRE, Ritratto di Anna Costanza Contessa di Cosel (1680 – 1765), 1710 ca., Collezione privata. Particolare.

 

Fig. 30 b: ENGLON HENDRIK van der NEER, Ritratto di liutista, 1677. Colocazione ingota all’autore (notare i bassi rosso cupo).

 

Fig. 30 c: ENGLON HENDRIK van der NEER, Ritratto di liutista, 1677. Colocazione ingota all’autore (notare i bassi rosso cupo)

 

Volendo raggiungere una densità doppia rispetto a quella del budello (più in là, sempre in questo articolo, spiegherò perché questa cosa è di una certa importanza)31 risulta indispensabile utilizzare qualche sostanza che possieda un elevato peso specifico e abbia la caratteristica di essere insolubile e macinabile in forma di polvere molto sottile.

 

Fig. 31: Ossidi e solfuri dalle diverse colorazioni che richiamano quelle delle corde gravi per liuto

 

Bene, tra le sostanze più pesanti, insolubili, largamente in uso nel XVI/XVII secolo, proprio quelle dotate di peso specifico superiore a 8-9 gr/cm3 (pigmenti minerali come ossidi, solfuri, rame metallico, risotto in polvere etc) possiedono un range di colorazioni che sono esattamente sovrapponibili a quelli riscontrati nei bassi dei dipinti e di alcune fonti storiche, variando essi infatti dal cupo rosso, al giallo, a tutte le gradazioni di marrone fino al grigio scuro: una pura coincidenza? (Fig. 31) Nessuna traccia è presente, in questi dipinti del XVII secolo, di gradazioni di verde o di blu nell’intera sequenza di bassi  rappresentati come descritto invece dai trattati per le corde colorate come i Trebles e i Meanes.

 

Fig. 32: Litargirio giallo (ossido di piombo) e cinabro rosso (solfuro di mercurio).

 

 

 

 

 

 

 

 

Questi pigmenti pesanti e insolubili, comunemente in uso nel XVI e XVII secolo, sono ossidi e solfuri di piombo e mercurio (Fig. 32) oltre alla polvere di rame metallico parzialmente ossidato (si sono ritrovate alcune ricette delle metà del XVI secolo che spiegano come ottenerlo).

 

Per completare il discorso è importante chiarire che è possibile caricare del budello allo stato fresco con litargirio giallo, minio di piombo marrone chiaro oppure ossidi di mercurio, sempre marrone chiaro. Questo avrebbe consentito a un pittore dell’epoca di dipingere i bassi ancora della stessa gradazione cromatica delle corde superiori in budello naturale non caricato (giallo/marrone chiaro):

 

Fig 31 b: PETER PAUL RUBENS,  Suonatore di Liuto (1609-1610): corde gravi giallo/maroni

In altre parole non è affatto detto che una corda appesantita debba necessariamente avere una colorazione diversa da quella realizzata soltanto in budello naturale. Una corda può essere pertanto caricata anche in maniera piuttosto generosa e presentare ancora una colorazione del tutto simile a quella del budello naturale.

Vi è ora una considerazione finale: i deep dark red color menzionati da Thomas Mace per i Pistoy possono essersi ottenuti intenzionalmente addizionando del colorante rosso a delle corde in budello fresco già caricate con qualche agente di colore differente così da avere una colorazione di brand riconoscibile a vista dal cliente.

Conclusioni: la colorazione che si riscontra sulle corde gravi rappresenta l’ultimo punto nella scala delle evidenze che ci portano a credere che i bassi del liuto subissero una lavorazione particolare. Risulta interessante la coincidenza che le poche sostanze del tempo aventi pesi specifici molto elevati, come gli ossidi e i solfuri di alcuni metalli pesanti in uso allora, possiedano la stessa gamma di colore dei bassi (rosso cupo, arancio, diverse gradazioni del marrone fino al nerastro). Non esiste alcuna menzione, nei trattati, di corde gravi verdi, blu etc. E’ possibile infine caricare il budello con pigmenti aventi la sua stessa colorazione naturale, rendendolo pertanto esteticamente simile alle corde superiori non caricate.

 

5) Quando fu veramente introdotta la struttura che imita una gomena marina/fune nelle corde sonore

Fig. 33: Bassorilievi di Epoca Imperiale Romana. Le corde qui raffigurate evidenziano il sistema di torcitura tipico di una fune/gomena marina e non una struttura liscia

Alcuni ricercatori, ancor oggi, ritengono che le corde gravi con un intreccio simile a quello delle gomene marine/funi (le Catline, per Segerman) siano state introdotte intorno al 1565-70 e questo abbia permesso al liuto quella decisiva espansione verso il grave avvenuta mediante l’aggiunta del settimo ordine, accordato una quarta/quinta sotto al sesto. Questo punto di vista deve però essere aggiornato. Alcuni anni fa il ricercatore Patrizio Barbieri scoprì alcune fonti risalenti alla seconda metà del XV secolo dalle quali risulta finalmente chiarito che le corde con questo tipo di manifattura erano già in uso negli strumenti da musica32. In realtà corde di questo tipo venivano già usate durante il tardo periodo imperiale di Roma. (Fig. 33)

Fig. 34: Orditore

Barbieri evidenziò inoltre la presenza di macchine avvolgitrici, chiamate ‘orditori’ (Fig. 34) e usate comunemente per realizzare funi marine e cordami in genere, già in alcune fonti riguardanti i cordai romani del XVI secolo.33

Considerando queste nuove fonti, si può dunque ritenere che le corde avvolte a gomena (anche lisce) menzionate nella seconda metà del XV secolo, grazie alla loro miglior elasticità rispetto a quelle tradizionali in altra torsione, permisero l’addizione del sesto ordine al liuto e agli strumenti ad arco coevi.

In questo modo il nuovo limite acustico raggiunse le due ottave piene.

Un particolare: la grande elasticità presentata dalle corde di questo tipo rende molto contenuto quello che gli inglesi definiscono fret sharpness (la crescita di frequenza che si manifesta quando delle corde di un certo spessore e con maggiore rigidità vengono premute sui tasti). Nessun trattato per liuto, dal primo Cinquecento in poi, espone lamentatele per questo fenomeno mentre si arriva a trattare il problema di una presunta differenza di diametro tra i due estremi di una corda (vedere Capirola 151734 e Vincenzo Galilei 156835 ).

Ecco il punto: se le corde dei bassi fossero realizzate semplicemente in alta torsione questo fenomeno risulterebbe molto presente rendendo lo strumento costantemente stonato, anche tra il basso e l’ottava all’interno dello stesso ordine.

Chiunque può infatti verificare da sé che tastando un coro grave in alta torsione si verifica una stonatura che è anche di natura ‘interna’ al coro/ordine, vale a dire tra la grossa corda del basso e quella sotti le dell’ottava appaiata, e può concludere che un liuto montato in questo modo non è per nulla funzionale.

Può la non menzione di questo problema nei trattati di allora essere una evidenza indiretta circa l’uso, nel liuto a sei ordini, di bassi realizzati con la struttura tipica della fune/gomena?

Dando quindi per dimostrato che le corde realizzate come le gomene (non sappiamo se con superficie liscia o nodosa) fossero già conosciute a partire dalla seconda metà del XV secolo, cosa realmente capitò verso la seconda metà del secolo seguente, quando nel giro di poco tempo venne addizionato al liuto un basso accordato direttamente una quarta, talvolta una quinta al di sotto del sesto? E cosa fece diventare quei bassi aggiunti, come per magia, potenti e sonori?

La questione è cruciale e ancora una volta ci chiediamo quale novità tecnologica possa essere intervenuta.

Conclusioni: ci sono chiare evidenze storiche che testimoniano che le corde di budello con struttura a gomena erano già in uso almeno dalla seconda metà del XV secolo. Di conseguenza non può essere stato questo tipo di tecnologia a determinare l’espansione delle corde gravi del liuto che avvenne nella seconda metà del Cinquecento. La nuova tipologia di bassi in puro budello risulterà molto performante rispetto a quelli precedenti, la cui resa acustica risultava al contrario deficitaria tanto da provocare delle lamentele e rendere indispensabile l’impiego di una ottava appaiata.

 

5)       I bassi del liuto e la loro superficie: finitura liscia o nodosa?

Soltanto ai nostri giorni si ritiene che la superficie delle corde basse del tempo fosse nodosa come una fune o una gomena marina: invece tutte le fonti storiche in nostro possesso mettono in chiaro che le corde erano lisce, oppure non dicono nulla in merito. Questa evidenza documentaria può essere considerata come una risposta garbata a Charles Besnainou, un ricercatore francese che considera basate su criteri di storicità le corde da lui realizzate che presentano appunto una superficie nodosa.

Per realizzare le suddette corde uno dei metodi è quello di prendere una lunga corda, piegarla a metà e ritorcerla su se stessa in opposta direzione rispetto alla fibra di partenza. Più precisamente uno dei lati della corda vien lasciato per un tratto di pochi centimetri non ritorto così che uno dei due capi possa passare attraverso il foro del ponticello e quindi andare ad annodarsi al di sopra con l’altra porzione di corda.

Questa soluzione, secondo la sua opinione, era la via usata al tempo direttamente dai suonatori stessi e può giustificare il diametro ridotto dei fori dei ponticelli storici.36

 

Fig. 35: MARIN MERSENNE, Harmonie Universelle, Livre 4, pag 51.

Ma ecco in realtà cosa abbiamo trovato nei documenti del tempo in riferimento alla superficie delle corde: Mersenne afferma (Fig. 35) che le corde si presentano in generale come lisci cilindri la cui superficie viene levigata per mezzo di un’erba di natura abrasiva (Equiseto). Egli però non dice nulla che ci possa far credere che questa procedura fosse impiegata soltanto per le corde più sottili.37

Thomas Mace afferma con chiarezza che i Pistoy dal colore rosso cupo (per lui i bassi migliori) erano lisci:

They are indeed the very best, for the basses, being smooth and well-twisted strings […].

Questa affermazione non implica tuttavia automaticamente che gli altri bassi da lui menzionati, i Lyon, non lo fossero. In realtà Mace non dice proprio nulla in merito alla loro superficie.38

James Talbot scrive che ‘i Lyons’ del violino erano lisci:

Best strings are Roman 1st & 2nd of Venice catlins: 3rd & 4th best be finest & smoothest Lyons, all 4 differ in size […].39

Il Mary Burwell Lute Tutor, indica quali fossero le migliori corde per liuto (Romans per gli acuti e Lyons per i bassi e le rispettive ottave) e spiega che un importante aspetto delle corde era quello di presentarsi libere da irregolarità della superficie (libere cioè da knotte e rugged). I bassi tipo Lyons sono chiaramente inclusi.40

Thomas Mace, in aggiunta, scrive che le Venice Catlin per i Mean erano lisce, così quando aggiunge che ‘i bassi di Pistoia’ non erano per lui altro che grosse Venice Catlin, intende che anche questi fossero lisci.41

Nel quadro di Rutilio Manetti (Figg. 36a-36e) possiamo vedere un liuto e una cetra. Questo dipinto è realizzato veramente in maniera molto accurata: è possibile infatti osservare che i bassi del liuto si presentano lisci mentre le corde della cetra appaiono di metallo ritorto. Tutto questo nello stesso dipinto. Se i bassi del liuto fossero stati di aspetto nodoso, come quelli della cetra, il pittore lo avrebbe certamente rappresentato così come ha fatto per la cetra stessa.42

 

 

Fig. 36a: L’autore di questo scritto davanti al quadro di Manetti.

Fig. 36b: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, particolare di liuto e cetra. [Foto dell’autore]

 

Fig. 36c: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, Siena, 1624, Dublin, National Gallery of Ireland

Fig. 36d: RUTILIO MANETTI, La vittoria ell’Amore terreno, Particolare della cetra. [Foto dell’autore]

 

Fig. 36e: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, particolare del ponticello del liuto.

 

La grande precisione di molti dei pittori del tardo Cinquecento e dell’intero Seicento la si ritrova anche in altre opere. Ecco ancora due esempi (Figg. 37-38 e 38 a) in cui è fedelmente riprodotta la tipica struttura a trecciola (data da due fili metallici intrecciati assieme) delle corde usate per queste Cetre.

Conclusione: le fonti storiche in nostro possesso testimoniano che tutte le corde dei liuti, bassi compresi, avevano una superficie liscia, non nodosa. Se non fosse stata tale i pittori del tempo lo avrebbero sicuramente evidenziato esattamente come hanno fatto per le Cetre.

 

Fig. 37: EDWARD COLLIER, Natura morta, 1696, Tate Britain, London. Particolare.

 

Fig. 38: Attribuito a ANTIVEDUTO GRAMATICA (1571-1626), Santa Cecilia.

 

Fig. 38a: Attribuito a ANTIVEDUTO GRAMATICA (1571-1626), Santa Cecilia: dettaglio

 

 

1)       Dipinti che evidenziano la morbidezza e la flessibilità dei bassi in puro budello del liuto

 

Fig. 39: JAN DE BAEN, Johanna le Gillon, moglie di Hieronymus van Beverningk, 1670, olio su tela, Rijksmuseum, Amsterdam. Particolare. In questo dipinto sembrano rappresentate delle corde gravi rivestite in argento, data la loro apparente sottigliezza, il colore biancastro e il contrasto cromatico con le rispettive ottave che appaiono invece giallo marrone

In diversi dipinti risalenti al XVII secolo le corde gravi del Liuto appaiono piuttosto sottili rispetto a quel che ci si potrebbe aspettare se fossero realizzate in budello naturale. Inoltre sono all’apparenza lisce e molto flessibili: per nulla simili all’aspetto di una fune o gomena marina. (Fig. 39)

In alcuni casi (Figg. 40, 41) è possibile avere una approssimativa idea di quanto fossero flessibili questi bassi.

Conclusione: alcuni dipinti del XVII secolo mostrano le corde gravi del tempo come flessibili, lisce e più sottili di quello che ci si aspetterebbe se fossero state in normale budello.

 

Fig. 40: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, dettaglio delle corde gravi lisce e flessibili.

 

Fig. 41: JAN DAVIDSZ DE HEEM:  mazzetto di corda rossa (1660-1665)

Fig. 41b: JAN DAVIDSZ DE HEEM: dettaglio sull matassina di corda rossa (1660-1665)

Conclusioni

Esiste soltanto una spiegazione che possa comprendere assieme tutti e sette i requisiti descritti sopra: le corde di budello dei bassi del tempo dovevano avere una struttura simile a quella delle funi (ma con superficie lisciata) e dovevano essere appesantite con un qualche agente di carica al fine di incrementarne la densità. La carica doveva essere piuttosto generosa così da raggiungere il limite di una quarta/ quinta al di sotto del sesto ordine. L’agente di carica doveva essere di natura minerale, dotato di elevatissimo peso specifico, insolubile e ridotto in polvere molto sottile (se non impalpabile).

Va sottolineato che la combinazione tra l’elevata densità e l’elasticità data dalla struttura a gomena è in assoluto la via migliore per assicurare la massima resa acustica dei bassi, soprattutto quelli di uno strumento così complesso quale è il liuto

 

Fig. 42: DANIELLO BARTOLI, Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito, Roma, 1679, pp. 243, 252.

Un processo di ‘incorporazione’ in somma. Non vi è nulla di strano nel ritenere che il budello per le corde gravi possa aver subito un processo di incorporazione di materiali estranei al fine di incrementare la densità. Vi sono diverse evidenze documentarie che testimoniano come gli antichi fossero ben consapevoli che la densità del materiale con cui è fatta la corda assuma un ruolo fondamentale per il raggiungimento delle frequenze gravi. (Figg. 42, 43)

Soffermandoci su questo passaggio di Mersenne, (Fig. 43) si comprende bene come l’idea di incorporare nel budello dei «corpi più terresti e più pesanti» come i metalli, al fine di rendere le corde «più len te a muoversi» (Bartoli: Fig. 42) sia un processo perfettamente in linea con la cultura di allora, basata sui principi Aristotele e la teoria dei ‘quattro elementi’.

Mi fermo qui e passo volentieri la mano a coloro che sono più esperti di queste tematiche invitandoli ad approfondire la questione.

Ritenendo credibile l’ipotesi dell’appesantimento sorge ora spontanea una domanda: ma quale incremento di densità si doveva raggiungere?

Ho sviluppato intorno a questo quesito la seguente ipotesi: grazie alle ‘lamentele’ di Virdung, Galilei ecc, deduciamo che il diametro del sesto ordine rappresentasse in qualche modo, empiricamente, il massimo limite acustico verso il grave al limite dell’accettabilità, uditiva ed estetica, per quel tempo. Questo nonostante un ‘aiutino’ fosse dato dall’ottava appaiata. Per una serie di considerazioni tecniche riguardanti il tipo di budello allora utilizzato, possiamo identificare per il sesto ordine di liuto rinascimentale un range di diametro compreso tra 1,35 e 1,45 mm.

Per le leggi della Fisica, se si lavora sul medesimo tipo di materiale e con analoga struttura manifatturiera della corda, lo stesso diametro limite attribuito al sesto ordine del liuto risulta il limite massimo anche per l’ultimo basso dei Liuti a 7, 8 o 10 ordini (così come anche quello in Re mi nore con 11 ordini). Tutti questi strumenti hanno infatti la caratteristica comune di possedere un’escursione (detta open range), tra il cantino a vuoto e l’ultimo basso, di due ottave e una quarta, talvolta anche una quinta.

Secondo i calcoli, volendo dunque scendere di un intervallo di quarta e non superare il diametro del basso al sesto ordine del ‘vecchio’ liuto a 6 cori (1,35-1,45 mm), la densità della corda deve essere almeno il doppio di quella del budello natu rale (che è di 1,3 gr/cm3).

Tutto questo trova conferma nei diame tri dei fori per i bassi nei ponticelli dei liuti sopravvissuti.

È interessante osservare come il nuovo open range di due ottave ed una quarta/ quinta rimanga lo stesso anche nel liuto ad 11 ordini in re minore. Esso si espande so lamente con la comparsa del modello a 13 ordini (con cavalletto per gli ultimi 2 bassi per quello a collo di cigno la questione è ancora aperta) che utilizzava però, come ormai sufficientemente accertato, bassi di tipo rivestito (siamo nel 1718/19 ca.). L’escursione di due ottave più una quarta/ quinta veniva incidentalmente raggiunta anche da uno strumento ad arco la cui pri ma menzione risale, guarda la coincidenza, intorno al 1580: la viola bastarda (o ‘alla bastarda’).43

Ho eseguito naturalmente alcuni test pratici per verificare se queste considera zioni, riguardanti il grado di densità, pos sano essere tecnicamente raggiungibili ed, in effetti, si riesce a caricare il budello fresco fino a poco più del doppio del suo peso specifico (ma non oltre: la corda perde infatti la sua integrità fisica).

Nei test ho utilizzato alcuni pigmenti molto pesanti ed insolubili, come ad esempio il minio di piombo, per arrivare infine alla polvere di rame metallico, ben conosciuta anche nell’antichità. Tempo addietro avevo infatti ritrovato alcune ricette, (Figg. 44a-44c) risalenti alla metà del XVI secolo, in cui veniva spiegato come ottene re la polvere di questo metallo, ma anche quella di oro e argento.44

Qualunque ipotesi oggi avanzata per risolvere il mistero di come i bassi del liuto venissero realizzati, non può non tenere conto di tutti e sette i requisiti sopra men zionati. Qualunque critica è sempre benvenuta, ma alla condizione che nessuno di questi punti sia omesso. Essi derivano infatti da chiare evidenze storiche, non da idee generiche e non supportate.

 

Fig. 44a: ALESSIO PIEMONTESE, I secreti, ristampa del 1603.

 

Fig. 44b: ALESSIO PIEMONTESE, Ricetta per ottenere la polvere di rame, Libro VI, p. 141.

 

 

Fig. 44c: ALESSIO PIEMONTESE, Ricetta per ottenere la polvere di oro o argento, Libro VI, parte II, p. 182.

Cosa viene opposto a queste conclusioni:

  1. Le corde dei bassi erano fatte a gomena e venivano realizzate dai liutisti stessi direttamente sullo strumento

Nella conferenza presentata a ‘Corde Factum’ nel maggio del 2008,45 Charles Besnainou espone la sua idea che è quella che si utilizzasse una ordinaria corda di budello, di sufficiente lunghezza e diametro, che potesse passare attraverso i fori dei ponticelli storici per poi venir piegata a metà e ritorta su se stessa direttamente sullo strumento. Un lato della treccia così realizzata verrebbe lasciata per alcuni cen timetri con i due capi di corda non intrecciati in modo che solo una corda delle due possa attraversare il foro del ponte ed annodarsi con l’altro tratto che sta fuori dal detto foro. Un’alternativa a questa operazione, secondo lui realizzata dal liutista stesso, vedrebbe invece il cordaio realizzare il suddetto basso lasciando aperti i due capi liberi per la successiva annodatura. C’è da notare che una corda di questo tipo presenterebbe necessariamente una super ficie non liscia, ma nodosa, come una fune.

Le nostre considerazioni:

  • Questa ipotesi scarta la più banale delle domande: perché i liutai del tempo non hanno semplicemente fatto dei fori più grandi (esattamente come si fa oggi quando si vogliono montare bassi in solo budello di un certo diametro)?
  • Un’ipotesi come quella descritta richiede che le corde siano prima inumidite per poi essere accuratamente ritorte sopra lo strumento utilizzando una speciale attrezzatura che esegua questo lavoro alla Poi andrebbero lasciate accuratamente essiccare prima di poterle annodare al ponte. Nessun trattato del tempo ha mai accennato ad una simile procedura, né alla suddetta attrezzatura, né alla necessità di procurarsi un lunga corda dei medi per poter realizzare i bassi.
  • La teoria di Besnainou, se comparata ai sette requisiti sopra menzionati non arriva a soddisfarli tutti.

Esattamente come accade per l’ipotesi formulata da Ephraim Segerman, concernente una possibile struttura a gomena con conseguente nodosità della superficie della corda.

Risulta in qualche modo interessante ricordare che la connessione etimologica tra la parola catline ed un possibile termine nautico (‘line’ in inglese significa anche ‘gomena’) non sia in realtà mai stata supportata da alcuna fonte storica, come sottolineato da diversi altri ricercatori.46

Ricordiamo qui che l’ipotesi della struttura a gomena fu, negli anni ‘90 del secolo scorso, rifiutata dallo stesso Segerman il quale, avendo realizzato che la vihuela poteva ‘permettersi’ i bassi in unisono (ipotesi oggi contrastata da mie recenti ricerche) considerò da quel momento valida una possibile connessione del termine catline con la Catalogna.

Proprio la Catalogna fu invero nel passato un centro produttivo di corde di budello, ma, ancora una volta, non esistono affatto evidenze storiche che supportino questo legame linguistico. Si sa invece che la Spagna importava da Monaco ingenti quantità di costose corde armoniche.47

In realtà, quel poco che sappiamo delle ‘Catlines’ è che furono fabbricate in Italia intorno all’area Bolognese, mandate a Venezia (e questo spiega la dicitura Venice Catlins di Dowland) e da qui spedite poi in Inghilterra. Non sappiamo però come gli italiani chiamassero questo tipo di corda e soprattutto i dettagli tecnici di come venissero realizzate.

Ecco ora, nella lista che segue, il rias sunto di tutto quello che considero lontano sia dalle evidenze storiche che dalla mera funzionalità dello strumento.

  1. Può un liuto lavorare con tensioni di 0-1.5 Kg? Poco probabile (provate da voi calando di 9-11 semitoni la frequenza delle corde del vostro strumento).
  2. E’ possibile ottenere un cantino di budello da 0,26-0,32 mm? No, non è possibile: non esistono – in base alla mia esperienza – ovini che possano produrre questo diametro partendo da un singolo budello
  3. Corde basse in budello con superficie nodosa come una fune furono mai menzionate nelle fonti storiche? No, non esiste alcuna evidenza e sarebbe comunque stato descritto nei trattati e visibile nell’iconografia. Mersenne è un buon esempio: egli scrive che le corde metalliche più grosse per la Cetra si ottenevano prendendo un lungo filo che si piegava nel mezzo e le due metà si torcevano assieme come per realizzare una fune. Inoltre specifica che questa operazione aveva la finalità di ottenere una sonorità migliore e più Nel caso delle corde di budello invece non descrive questo metodo bensì il fatto che venissero tutte levigate fino al liscio per mezzo di un’erba abrasiva.

Vi è in questa evidenza un ulteriore fatto interessante: Mersenne è ben consapevole, e lo scrive, che una corda intreccia ta come una fune produce un suono migliore rispetto ad una derivante da un filo semplice. Nonostante questa sua consapevolezza, tale tecnica, nel caso delle corde di budello, non è menzionata anche se riteniamo che fosse utilizzata, ma non partendo da due corde secche già realizzate. Dubito però che Mersenne abbia mai visitato una corderia del suo tempo.

Le attuali corde di budello intrecciate come una fune sono potenti abbastanza da coprire e confondere la sonorità di quelle superiori? Assolutamente no: basta provare (facendo però il test con uno strumento a tratta corta come quello di ‘Gaultier l’inglese’ e usando delle corde di budello, visto che le fonti storiche a questo si riferiscono).

I bassi dei liuti furono corde nodose come funi ottenute intrecciando su se stessa una lunga corda dei ‘medi’ che sia stata prima piegata nella sua metà? Le fonti maggiormente dettagliate del XVII secolo concernenti le corde del liuto48 descrivono tre tipologie base: Treble; Mean; Bass. I ‘bassi’ furono chiamati: ‘Lyons’, ‘Venice Catlines’, ‘bassi di Norimberga e Strasburgo’, ‘i rosso cupo Pistoys’. Se questa ipotesi del ricercatore Besnainou fosse valida dovremmo aspettarci che il terzo sort di corde, i ‘bassi’ cioè, non esista: si dovrebbero infatti ottenere in situ intrecciando su se stessa una lunga corda adatta ai mean. Non dovremmo inoltre aspettarci alcun nome proprio per questi bassi, come invece, al contrario, accadde. Infine dovremo trovare da qualche parte menzione del fatto che il liutista dovesse ritorcere da se le corde per i bassi e trovare traccia del ‘torcitore da casa’ che sarebbe necessario a compiere questa delicata operazione: nulla di tutto questo è mai stato descritto dalle fonti storiche.

Esistono dipinti o altre fonti storiche che evidenziano uno speciale modo di fissare le corde al ponticello dopo aver separato tra loro i due trefoli49 con cui è normalmente realizzata una corda fatta come una fune/gomena come ipotizzato da Charles Besnainou? No, almeno per quanto ne sappia io.

Ecco da questi pochi esempi quello che in realtà possiamo osservare. (Figg. 45-49)

 

 

Fig. 45: MARIN MERSENNE, Harmonie Universelle […], Livre Second, Des Instruments, Paris, 1636.
Fig. 46: LAURENT DE LA HYRE, Allegoria della Musica, 1649, Metropolitan Museum, New York. Dettaglio del ponticello.

Fig. 46: LAURENT DE LA HYRE, Allegoria della Musica, 1649, Metropolitan Museum, New York. Dettaglio del ponticello.

 

Fig. 47: NICOLAS HENRY JEAURAT DE BERTRY, Natura morta con Liuto, metà XVIII secolo. Dettaglio.

 

 

Fig. 48: CORNELIS BYLCIUS, metà XVII secolo, Germanische Nationalmuseum, Norimberga. Dettaglio. [Foto dell’autore]
Fig. 49: CORNELIS NORBERTUS GIJSBRECHTS, Natura morta con liuto. Particolare.
  1. I trattati del tempo hanno mai menzionato l’esistenza di uno speciale attrezzo utilizzato dai liutisti per ritorcere da se le corde dei bassi? Secondo le mie informazioni non risulta.
  2. Esiste una qualche evidenza storica che porti a ritenere che ci fosse un legame tra il termine Catline/Catlins e la Catalogna? Oppure tra lo stesso termine e la gomena marina? Secondo le mie informazio ni

B)      Non esiste alcuna testimonianza diretta proveniente dai cordai del tempo che le corde di budello dei bassi del liuto venissero appesantite

 Le nostre considerazioni:

Se non si considera come attendibile l’idea che il budello fosse in qualche modo ‘densificato’, come spiegare il perché dei sottili fori dei ponticelli e della concomitante notevole potenza acustica manifestata dai bassi del tempo? Tuttavia è vero che non esiste alcuna testimonianza diretta da parte dei cordai del tempo riguardo ad una possibile tecnica di appesantimento del budello (una ricetta, uno scritto, una testimonianza ecc). Come a dire il vero non esiste in realtà alcuna informazione diretta, tramandata dai cordai del XVI, XVII secolo, concernente la loro arte in generale, non solo in merito alla tecnologia delle corde gravi.

In particolare non esiste alcuna testi monianza diretta dei cordai che alcune tipologie di corde in budello fossero realizzate come le funi. Abbiamo solo la segnalazione negli inventari delle botteghe di artigiani romani della presenza degli orditori, che sono torcitori a tre o quattro ganci atti a realizzare funi, ma è vero anche che i cordai di allora (e fino a pochi decenni fa), producevano corde con destinazione diversa da quella musicale, come ad esempio per battere il cotone, per cinghie di tra smissione e anche per il tennis.50

La verità sta nel fatto che l’attività cordaia fu sempre altamente preservata e secretata. Nulla fu divulgato all’esterno e tantomeno furono scritti libri o trattati in merito. Chi parlava o frodava veniva duramente punito mediante galera o fustigazione e ai discendenti era vietato fare corde per alcune generazioni.

In realtà, come abbiamo già visto, esiste una certa quantità di evidenze indirette che possono fornirci egualmente, con buo na probabilità, una panoramica di come le cose andassero.

Ecco un esempio dell’importanza delle evidenze di natura indiretta: il pianeta Plutone fu scoperto non tanto perché lo si vedesse direttamente al telescopio ma in virtù delle anomalie gravitazionali che esso induceva sul ‘vicino’ pianeta Urano. In base ai calcoli si arrivò dunque alla con clusione che non solo un tale pianeta esistesse ma si riuscì a determinarne anche massa ed orbita. Esso fu visto direttamen te al telescopio soltanto dopo una cinquantina di anni. Nonostante l’assenza della prova diretta gli astronomi sapevano tuttavia perfettamente della sua esistenza.51 Questo è una caso di evidenza indiretta che diventa una evidenza diretta gra zie ai calcoli matematici (come avviene per il requisito n.1 circa i fori nei ponticelli originali dei liuti).

Ciò detto, vorrei rimarcare come fatto d’interesse per la nostra discussione la presenza di barili di colla animale descritti negli inventari delle botteghe cordaie romane del Seicento: «Un barilozzo con dentro libbre 30 in circa di colla cerviona».52 Va opportunamente sottolineato che la colla non viene mai utilizzata/menzionata nella manifattura tradizionale delle corde di budello mentre assume un certo ruolo oggigiorno se si effettuano operazioni di carica minerale: dunque, a cosa servivano quei ‘barili di colla’ in una corderia?

Si registra anche la presenza di recipienti contenenti liquidi/vernici dal colore rosso. Naturalmente non possiamo qui affermare con certezza che si tratti di ma teriali utilizzati per la carica del budello.53 Come abbiamo prima accennato, l’incorporazione di composti insolubili quali ossidi, solfuri, metalli in polvere ecc. in sete, tessuti, carta, cera, legno, pelli ed al tro fu una pratica molto comune al tempo. Pertanto, l’idea di addizionare cariche pesanti al budello rientra perfettamente nella mentalità delle persone vissute nel XVI e XVII secolo. Per certi versi, questo tipo di procedura è molto simile alle operazioni di tintura della seta, con le quali, utilizzan do determinati prodotti di natura metalli ca, si otteneva anche un concomitante no tevole aumento di peso.

In diversi documenti del tempo si spiega, ad esempio, come incorporare del cinabro o del litargirio, o qualcosa di simile, come il minio di piombo, in materiali come cera, seta, cotone, legno, pelle, tessuti, tappeti, carta, pietra, prodotti medicali, inchiostri, vernici e così via, non esclusi persino alimenti!54 (Figg. 50, 51)

 

Fig. 50: GIOVANVENTURA ROSSETTI, Plichto de l’arte de tentori, Venezia, 1568. Frontespizio.

 

Fig. 51: Ricette tratte da GIOVANVENTURA ROSSETTI, Plichto de l’arte de tentori, Venezia, 1568.

Come affermato in precedenza, sino ad oggi non è mai stata ritrovata una qualche ‘formula segreta’ dei cordai occidentali operanti nel Seicento; mi hanno tuttavia di recente segnalata una cosa molto interessante: la pratica di incorporare simili sostanze sembra fosse utilizzata dagli antichi cordai cinesi nella realizzazione delle corde per il Guquin (si usavano allo scopo polveri di ceramica, oro, argento, rame ecc.). Questa, se definitivamente provata, sarebbe un’evidenza di natura diretta, anche se riguardante l’Oriente.55

A)       Le corde gravi appesantite fatte oggi non sono trasparenti alla luce (viene supposto che quelle del passato lo fossero)

 Ephraim Segerman ritiene che l’idea di appesantire il budello per le corde gravi del liuto non possa essere un’opzione storica per il fatto che le corde così come oggi realizzate risultano opache alla luce. Questo ricercatore si riferisce in particolare all’osservazione di John Dowland riportata dal figlio Robert.

È necessario però precisare che i riferimenti riguardo alla possibile trasparenza/ translucenza dei bassi risulta circoscritta esclusivamente a quanto scrisse Dowland nel suo Varietie of lute-lessons.56 In altri testi come il Burwell Lute Tutor, quelli di Mace e Mersenne non esiste nulla che tratti la ‘trasparenza’ delle corde gravi in budello: non è possibile pertanto estendere quanto rilevato da Dowland anche ai bassi da lui mai menzionati, vale a dire i Lyon e/o i Pistoy.

Ma vediamo ora i passaggi più salienti. Dowland dice: (Fig. 52)

Fig. 52: ROBERT DOWLAND, Varietie of lute-lessons, p.

Now because Trebles are the principall strings wee neede to get, choose them of a faire and cleere whitish gray, or ash-colour, and take one of the knots.57

Egli afferma così che i Treble (i cantini) sono davvero buoni quando si presentano trasparenti chiari o anche grigiastri ma comunque sempre trasparenti alla luce.

Proseguendo dice:

This choosing of strings is not alone for Trebles, but also for small and great Meanes: greater strings though they be ould are better to be borne withall, so the colour be good, but if they be fresh and new they will be cleere against the light, though their colour be blackish.58

Qui Dowland estende lo stesso criterio estetico dei treble alle corde dei piccoli e grandi mean specificando che, sebbene siano corde più grandi, devono presentarsi egualmente trasparenti controluce.

Ora Dowland continua descrivendo le corde colorate ma in riferimento soltanto ai mean e ai treble:

Some strings there are which are coloured, out of which choose the lightest colours, viz. Among Green choose the Seawater, of Red the Carnation, and of Blew the Watchet. Now these strings as they are of two sorts, viz. Great and Small: so either sort is pact up in sundry kindes, to wit, the one sort of smaller strings (which come from Rome and other parts of Italy) are bound up by certaine Dozens in bundels; these are very good if they be new, if not, their strength doth soone decay: the other sort are pact up in Boxes, and come out of Germany: of these, those strings which come from Monnekin and Mildorpe, are and continue the best. Likewise there is a kinde of strings of a more fuller and larger sort then ordinary (which we call Gansars). These strings for the sizes of the great and small Meanes, are very good, but the Trebles are not strong. Yet also there is another sort of the smaller strings, which are made at Livornia in Tuscanie: these strings are rolled up round together, as if they were a companie of horse hayres. These are good if they be new, but they are but halfe Knots. Note there is some store of these come hither lately, and are here made up, and passe for whole Knots.59

Quindi descrive finalmente i Bassi:

For the greater sorts or Base strings, some are made at Nurenburge, and also at Straesburge, and bound up onely in knots like other strings. These strings are excellent, if they be new, if not, they fall out starke false. The best strings of this kinde are double knots ioyned together, and are made at Bologna in Lumbardie, and from thence are sent to Venice: from which place they are transported to the Martes, and therefore commonly called Venice Catlines.60

 

Il punto controverso è il seguente: Segerman ritiene che la frase dopo i due punti

but also for small and great Meanes: greater strings though they be ould are better to be borne withall

 sia riferita ai bassi (che dovrebbero essere trasparenti alla luce). Le mie osservazioni in proposito sono le seguenti:

  • Quando Dowland comincia a trattare dei bassi realizza una netta separazione con la descrizione dei mean mediante il punto di fine frase. Dei bassi non descrive l’aspetto fisico. Di conseguenza la trasparenza è espressa esclusivamente rispetto ai treble e ai mean. Questi ultimi, anche se sono più spessi, devo essere parimenti trasparenti/translucenti come i
  • Quando descrive un sort di corde (come fa anche Mace) egli utilizza sempre la lettera maiuscola (ad esempio: Trebles, Meanes, Basses). Non è invece il caso di quando scrive greater strings, nel passaggio citato qui sopra, dove in realtà si sta ancora riferendo alla categoria che precede il segno dei due punti, cioè i mean. Tale segno serve appunto per questo specifico scopo e non per cambiare argomento, per la qual cosa utilizza invece coerentemente il segno del punto fermo.
  • Sempre in tema di trasparenza vale comunque la pena di sottolineare che anche una corda in budello non caricata e di un certo spessore non è mai trasparente bensì opaca, specialmente poi se è stata anche tinta: questo fenomeno accade perché quando una corda di budello risulta molto ritorta, le micro fibrille non si ‘fondono’ strettamente tra loro ma realizzano micro sacche di aria che rompono la conti nuità ottica. La sola corda dotata di una certa trasparenza è quella realizzata in ‘bassa torsione’ che però, essendo molto rigida, non può avere alcun impiego come corda per i bassi.

Considerazioni finali

 La domanda è banale: perché i liutai del tempo non hanno semplicemente fatto i fori del ponte di diametro maggiore? Non è necessario essere laureati alla Sorbona per eseguire questo tipo di intervento; molti oggi lo fanno già nel caso intendano montare dei bassi in puro budello. Un motivo logico deve assolutamente esserci, e questo sarà per forza di cose insito in qualche caratteristica saliente delle corde gravi utilizzate allora.

I più importanti trattati per liuto scrivono che le corde del nostro strumento devono presentarsi tra loro con lo stesso feel di tensione sotto le dita. Con diametri cosi sottili (richiesti dai fori dei ponticelli storici) come sarebbe possibile garantire un feel omogeneo di tensione tra tutte le corde? Tensioni di lavoro così basse determinerebbero la necessità di avere cantini talmente sottili (diametri inferiori a 0,36 mm) che nessun singolo budello di agnello al mondo sarebbe in grado di sostenerli.

Ancora: come è possibile che al tempo esistessero corde per i bassi in puro budello così potenti e sonore (come descritto dalle fonti) visto che l’esperienza diretta dimostra che una corda di minugia, anche se ritorta a gomena, non possiede affatto tali requisiti acustici?

A volte è piuttosto difficile comprendere alcune ipotesi decisamente complicate, illogiche ed anche lontane da quello che troviamo scritto nelle fonti storiche. Perché, dovendo andare da Milano a Roma, invece di prendere l’autostrada ci si dovrebbe recare a Londra, poi a Shanghai, poi a New York e infine a Roma dichiarando infine che questa è la strada più logica e più breve?

Il motivo più verosimile è la difficoltà di confrontarsi con la banale evidenza (mai considerata prima di noi da diversi ricercatori) dei fori così stretti nei ponticelli dei liuti sopravvissuti e della conseguente impossibilità di suonare con un solo chilogrammo di tensione se non meno; di confrontarsi con l’impossibilità tecnica di ottenere da un budello intero di agnello un diametro inferiore a 0,36 mm e, infine, con l’impossibilità di ottenere quella potente resa acustica, di cui si parla nei principali trattati del tempo, con una normale corda di budello che non sia stata ‘densificata’, ovvero caricata.

Ad esempio non ci sembra una soluzione logica (né storicamente verificata) avanzare l’idea che i bassi fossero realizzati dal liutista stesso utilizzando una lunga corda adatta ai mean opportunamente piegata a metà e ritorta su se stessa, direttamente sullo strumento, per mezzo di un attrezzo apposito (visto che a mano libera è un impresa quasi impossibile), ma non prima di aver umidificato la corda, lasciando un tratto di alcuni centimetri non ritorto, in modo che uno dei capi si passi attraverso il foro del ponte per poi annodarsi all’altro capo, sopra il ponte stesso, facendo infine asciugare la corda così realizzata.

Ecco un altro esempio di incongruenza: pur di non riconoscere come valida la teoria dell’appesantimento alcuni ricercatori hanno introdotto l’ipotesi non storicamente confermata che i liuti di allora lavorassero con due diversi gradi di tensione: una più ridotta per i bassi e una più alta per le corde dei mean e dei treble. La verità invece è che tutti i trattati più importanti del nostro strumento hanno predicato fino alla noia l’importanza di avere un feel omogeneo di tensione tra tutte le corde, fino a considerare uno strumento che presenti corde con diverso grado di tensione come uno dei più gravi errori.

Thomas Mace scrive:

The very principal observation in the stringing of a lute. Another general observation must be this, which indeed is the chiefest; viz. that what siz’d lute soever, you are to string, you must so suit your strings, as (in the tuning you intend to set it at) the strings may all stand, at a proportionable, and even stiffness, otherwise there will arise two great inconveniences; the one to the performer, the other to the auditor. And here note, that when we say, a lute is not equally strung, it is, when some strings are stiff, and some slack.61

 

Sul Mary Burwell lute tutor è scritto (Fig. 53):

 

Fig. 53: Burwell Lute Tutor, f. 7v.

[…] when you stroke all the stringes with your thumbe you must feel an even stiffnes which proceeds from the size of the stringes.62

John Dowland ci dà un’ulteriore conferma:

But to our purpose: these double Bases likewise must neither be stretched too hard, nor too weake, but that they may according to your feeling in striking with your Thombe and finger equally counterpoyse the Trebles.63

Secondo alcune ricerche, la maggior parte dei suonatori comincia a percepire una apprezzabile differenza di tensione tra due corde quando questa differenza è maggiore di mezzo tono: entro questo range siamo senz’altro nella condizione di rilevare un eguale feel tattile. Alcuni sono anche più sensibili ma questa è una eccezione rispetto alla statistica. Si conclude che se la differenza di tensione è superiore al mezzo tono il musicista avverte con chiarezza al tatto che lo strumento non è ben bilanciato. Con delle corde basse che lavorassero con tensione pari al 50%, o anche meno, di quella delle corde superiori, tale differenza risulterebbe assolutamente percettibile rendendo lo strumento molto lontano dai requisiti storici prima descritti, rientrando nella condizione di grave errore di montatura descritta da Thomas Mace nel 1678. L’ipotesi che i liuti del passato lavorassero con due diversi gradi di tensione è pertanto non storica oltre che illogica anche dal punto di vista strettamente tecnico/funzionale.

Quale potrebbe essere una valida alternativa all’idea che il budello per i bassi fosse stato appesantito? Pur avendo preso in considerazione qualunque ipotesi, anche la più fantasiosa, non sono mai riuscito a soddisfare tutti i sette requisiti inizialmente esposti derivanti da fondamenti storici.

Se le corde gravi non sono ‘densificate’, la tensione di lavoro diventa drammaticamente bassa per poter essere gestita dalle dita. Si perde quasi del tutto il controllo della qualità acustica finendo in una regione più vicina al rumore che al suono. Non si ha più una sufficiente potenza di emissione (mentre nel passato, come abbiamo visto, la potenza acustica era dichiarata addirittura soverchiante) e, come se non bastasse, subentrano seri problemi di pitch distorsion quando le corde vengono premute sui tasti.

Incredibile come tutto ciò sia scaturito dall’osservazione di un foro!

Vivi felice

Appendice

Le corde e le loro denominazioni

 Le corde prodotte nel XVI, XVII e XVIII secolo venivano distinte con un nome che ne caratterizzasse immediatamente la zona di provenienza, a garanzia della loro qualità. Oggi avrebbero una ‘marca’ e la loro diffusione sarebbe affidata a ben altri mezzi.

Questo peculiare aspetto, in un epoca storica in cui non esisteva ancora la tutela del brevetto, spiega la particolare severità con cui le corporazioni cordaie perseguivano le frodi commerciali e gli stessi associati eventualmente sorpresi a frodare. Fornire ai clienti la garanzia assoluta che le corde di Monaco fossero state realmente realizzate a Monaco rimase una priorità assoluta nei secoli in cui il liuto fu suonato. Per ulteriore conseguenza della mancanza di protezione sul frutto dell’ingegno e dell’esperienza di qualsiasi artigiano, le tecniche e gli accorgimenti che ognuno metteva in opera erano coperti dal più rigoroso segreto.

Altro aspetto da sottolineare è la specializzazione produttiva tipica di determinate aree geografiche. In talune zone i cordai si dedicarono, ad esempio, alla produzione di corde gravi mentre in altre producevano cantini arrivando a volumi commerciali davvero incredibili. Firenze (per i bassi) e Roma (per i cantini) costituirono un esempio emblematico. Non si vuole qui affermare in termini assoluti che allora in Firenze non si producessero cantini; si vuole invece sottolineare che se talune zone si sono via via specializzate in determinati filoni ciò accadeva perché in quel settore dovevano in qualche modo aver raggiunto un modello di eccellenza.

Ciò poteva significare quindi che erano riusciti ad ottimizzare meglio di altri una determinata linea di produzione incrementando l’offerta con nuovi prodotti o scoprendo metodi di produzione più efficienti e razionali.

I documenti del Cinque, Sei e Settecento che descrivono nello specifico qualcosa in merito alle corde per gli strumenti a pizzico e ad arco (in numero piuttosto esiguo) riguardano quasi esclusivamente il liuto, che restava lo strumento più difficile da accontentare in termini di montatura. Vi è invece un singolare paradosso che riguarda il Secolo dei Lumi: mentre l’arte cordaia cominciava per la prima volta ad essere descritta con cura dagli enciclopedisti (e così anche alcuni importanti aspetti delle montature per quartetto d’archi, mandolino e soprattutto chitarra a cinque ordini), del liuto, nell’età di Weiss, non si sa praticamente nulla. Il nostro strumento stava ormai in un angolo oscuro della storia che nessuna ‘luce della ragione’ poteva illuminare.

Esaminiamo ora le fonti storiche che riferiscono sulle tipologie e le origini delle corde.

Quattrocento

Non possediamo alcuna indicazione dei nomi di varietà commerciali di corda per liuto.

Cinquecento

La prima menzione di tipologie di corda proviene dal manoscritto del nobile bresciano Vincenzo Capirola.64 Per la prima volta vengono descritte corde di qualità superiore provenienti da Monaco di Baviera e viene indicata una tipologia chiamata ganzer della quale rimane dubbia l’origine del nome (anche se alcune tracce sembrano riportare alla struttura tipica di un cordonetto).65 Capirola purtroppo non specifica se fossero destinate agli acuti oppure ai gravi.

Una seconda fonte storica di nostra conoscenza è curata da Adrian Le Roy e ci informa che le corde migliori erano fabbricate a Monaco (o nei suoi dintorni) oppure nella città dell’Aquila, in Italia:

the best come to us of Almaigne, on this side the toune of Munic, and from Aquila in Italie.66

Dopo questo interessante inizio egli passa poi a descrivere il metodo per distinguere una corda falsa da una buona. Anche Le Roy non presenta alcuna ulteriore informazione circa la posizione a cui son destinate le corde indicate.

Seicento

Il primo documento che finalmente apre uno spiraglio di luce è Variete of lutelessons che ospita il capitolo Of setting the right sizes of strings upon the lute autorevolmente scritto da John Dowland.67

Le corde sono da lui così suddivise:

  • Treble (cantini): «from Rome and other parts of Italy», «from Monnekin and Mildorpe» (probabilmente Monaco di Baviera e Meldorf, entrambe in Germania); vengono anche indicate altre corde di misura piccola «which are made at Livornio in Tuscanio».
  • Small and Great Mean (medi): Gansars.
  • Bass (bassi): «Nurenburge, and also at Straesburge»; Venice Catalines (i bassi migliori: costruiti a Bologna in ‘Lombardia’, secondo Dowland).

Si osserva nello scritto di Dowland una certa tendenza alla confusione quando descrive la tipologia di corda dei mean. Ad esempio non si riesce a capire se le smaller strings fabbricate a Livorno siano corde per i treble o per i mean. Così come non si comprende se le corde colorate appartengano alla classe dei treble o dei mean (o ad entrambe).

A Dowland segue Michelangelo Galilei che il 6 Agosto del 1617 scrive da Monaco al fratello Galileo pregandolo di procuragli «quattro grosse corde di Firenze per suo bisogno et dei suoi scholari». Non conosciamo purtroppo il nome commerciale di questi bassi.

Nel Mary Burwell Lute Tutor leggiamo quanto segue:

The good stringes are made at Rome or about Rome and none that are good are made in any other place except the great strings and octaves that are made in Lyons att Fraunce and noe where else.68

Anche qui nulla di nuovo: come già aveva scritto Mersenne nel 1636,69 si conferma che le corde migliori provengono da Roma. La novità concerne soltanto le corde basse e le relative ottave, fabbricate a Lione.

Thomas Mace ci fornisce in assoluto la fonte più preziosa ed esaustiva.70Anche qui (come in Dowland) le corde sono suddivise in tre tipologie:

Trebles: (1a, 2a, 3a e ottava della 6a):

Minikins;

  • Meanes: (4a; 5a e le restanti ottave dei bassi): Venice catlins;
  • Basses: Pistoys, Lyons.

Mace descrive anche lui (come Dowland) corde colorate, ma anch’egli non è sufficientemente chiaro sulla loro destinazione (per i treble, per i mean o per entrambi).

Romans, Venice Catlins e Lyons sono nominate ancora nel manoscritto di James Talbot quali corde per il violino e per il basso di violino.71

Settecento

Non possediamo alcuna specifica terminologia di corde da liuto.

In conclusione i nomi dati alle corde per liuto del XVII secolo richiamano sempre la loro zona di provenienza, con due sole eccezioni: le Catlins (o Catlines) e le Gansars. Le prime furono corde fabbricate, almeno ai tempi di Dowland, nel Nord Italia. Non conosciamo tuttavia con che nome gli italiani chiamassero questa tipologia.

Con l’avvento del XVIII secolo i termini Catlins, Catline, Lyons, Pistoys etc. scompaiono del tutto per lasciare posto a denominazioni più generiche come ad esempio ‘corde fabbricate a…’.

Le corde gravi in budello fabbricate dai cordai cedettero il posto ai bassi filati, costruiti ora dai liutai se non (anche se raramente) dagli stessi musicisti.

 

Note

1 FRANCIS BACON, Sylva Sylvarum, London, 1627. «Per quello che vediamo in una delle corde più gravi di un liuto, essa suona non con la sonorità di quelle acute né un misto tra le due ma solamente con il suono del basso [cioè della fondamentale]».

2 ADRIAN LE ROY, A briefe and plaine Instruction to set all Musicke of eight divers tunes in Tablature for the Lute, London, 1574, f. 33v. «I liuti di nuova invenzione con tredici corde, non sono soggetti a questo inconveniente, dove l’ultimo è messo più basso: il quale secondo la maniera ora descritta è perciò aumentato di una intera quarta».

3 Per approfondire il ‘coefficiente di smorzamento interno’ o, più propriamente, ‘inarmonicità’ della corda, vedere EPHRAIM SEGERMAN, A closer look at pitch ranges of gut strings, «FOMRHI bull.», XL, July 1995, p. 50.

4 Diametro e frequenza sono infatti inversamente proporzionali. DJILDA ABBOTT – EPHRAIM SEGERMAN, Strings in the 16th and 17th centuries, «Galpin Society Journal», XXVII, April 1974, p. 62.

5 Ricardo Branè, architetto e liutaio proveniente dall’Argentina, operò nei pressi di Firenze tra la seconda metà degli anni ’70 gli inizi degli anni ’80 dello scorso secolo. Assieme ad Orlando Cristoforetti, allora docente di Liuto al Conservatorio di Verona, intuì tra i primi che il budello per realizzare le corde gravi del liuto dovesse essere appesantito.

6 Vi erano naturalmente degli strumenti che facevano eccezione, ma questi rappresentano la minoranza.

7 In merito alla ‘giusta’ tensione di lavoro di un liuto in Sol rinascimentale ci si orienta oggi intorno al valore di 3,0 Kg per corda di ciascun coro (2,8-3,1 Kg di range senza contare una possibile scalarità del valore tra ordine e ordine). Si è molto discusso se potesse essere vero anche per il passato. Purtroppo non è stato sinora possibile avere una risposta sia per assenza di documentazione storica diretta sia per il fatto che ci si trova in presenza di una ampia zona territoriale difficilmente eterogenea, vi sono strumenti di taglie diverse e infine standard abitudinari diversi. La recente scoperta di quale range di diametri si ottengono partendo da un singolo budello di agnello (così si realizzavano infatti i cantini romani del Seicento secondo Kircher, 1650) di giovane età ha confermato che nella media anche nel passato lavoravano probabilmente (ma non sicuramente) con range di tensioni ragionevolmente simili alle nostre. Vedere anche: MIMMO PERUFFO, Messer

Vincenzo Capirola e il segreto per legare le corde del liuto: considerazioni. Attanasio Kircher e i cantini del liuto: test pratici e risultati, «Il Liuto», XII, Maggio 2016, p 15-25; EPHRAIM SEGERMAN, String tension on Mersenne’s lute, «FOMRHI bull.», XI, April 1978, p. 65.

8 MIMMO PERUFFO, The mystery of gut bass strings in the sixteenth and seventeenth centuries: the role of loadedweighted gut, «Recercare», V, 1993, pp. 115-51. MIMMO PERUFFO, New hypothesis on the construction of bass strings for lutes and other gut strung instruments, «FOMRHI bull.», LXII, January 1991, pp. 22-36. MIMMO PERUFFO, On Venice Catlins, Lyons, Pistoy basses and Loaded- weighted bass gut strings, «FOMRHI bull.», LXXVI, July 1994,

  1. 72-84.

9 A proposito delle indagini compiute nel 2005 su alcuni dei liuti conservati presso l’abbazia di Kremsmünster si veda: https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Kremsm%C3%BCnster

10 EPHRAIM SEGERMAN, On Historical lute Strings Types and Tensions, «FOMRHI bull.», LXXVII, October 1994,

  1. 54-57.

11 La densità media di una corda simile ad una fune nodosa (Fig. 12) è minore, a causa della struttura fisica meno compatta ed omogenea, di una liscia. (Fig. 13) Si veda anche DJILDA ABBOTT – EPHRAIM SEGERMAN, Catline strings, «FOMRHI bull.», XII, July 1978, pp. 26-29.

12 Ritorte. Le attuali corde tipo gimped sono prodotte dalla ditta americana Gamut di Dan Larson.

13 ROBERT DOWLAND, Varietie of lute-lessons, London, 1610. Vedere il breve trattato di John Dowland, ivi contenuto, intitolato Other necessary observations belonging to the lute (pp. 13-18) e il paragrafo Of setting the right sizes of strings upon the lute, p. 14. Venice Catlins, Pistoys e Lyons sono i nomi commerciali con cui venivano chiamate le più rinomate corde gravi in puro budello tra il tardo Cinquecento e tutto il Seicento.

14 JOHANNES TINCTORIS, De Inventione et Usu Musicae, 1487 ca., p. 22. Mia traduzione dal latino. «Non omni composito cantui suppetebant: quinque et aliquando sex principalium ordinario ea subtilitate a posteris (ut reor). Germanis inventa est: ut duabus mediis ad ditonum: ceteris vero ad diatessaron temperatis: lyra sit perfectissima. Quin utium fortiorem habeat sonum: cuilibet istarum chordarum una conjungitur : que ei (excepta duntaxat prima) ad diapason conteperatur.»

15 SEBASTIAN VIRDUNG, Musica Getutscht, Basel, 1511.

16 VINCENZO GALILEI, Fronimo Dialogo, Firenze, 1584, p. 105.

17 The Mary Burwell Lute Tutor (manoscritto, ca. 1668-1671), GB-Lam614, London Academy of Music, London. Capitolo 4, Of the strings of the lute […], ff. 7r-8r.

18 THOMAS MACE, Musik’s monument, London, 1676.

19 Queste due affermazioni sono tratte da The Mary Burwell Lute Tutor, cit.. «[…] anche per la confusione che la durata del suono produce […] ogni suono del basso produce confusione con ogni corda […]»; «[…] i maestri del liuto hanno tirato via la corda più grossa perché il suo suono è troppo lungo e copre quello 19 delle altre».

20 Vale a dire l’eccessiva esuberanza acustica e persistenza di suono dei bassi.

21 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66. «Questo inconveniente lo si ritrova nei liuti francesi quando le loro teste sono fatte troppo lunghe, come qualcuno desidera avere […]».

22 M. BIZZARINI, Marenzio: La carriera di un musicista tra Rinascimento e Controriforma, Coccaglio, 1998, p. 40. Lettera del 26 febbraio 1581 di Giulio Cesare Brancaccio, indirizzata al cardinale Luigi d’ Este, concernente l’acquisto di un liuto come dono per il fratello Alfonso d’ Este.

23 Si veda la nota 1.

24 Testo attribuito al poeta inglese Edward Benlowes (1603-76) da FRANK EYLER in Sur l’employ des cordes en boyau, «Musique Ancienne», XV, Janvier 1983, pp. 29-31. Pur estrapolati dal contesto, i versi indicano quanto fosse ricco e pieno il suono di queste corde: «[…] continuando a pizzicare le Catline dal grave suono, finché un roco basso rimbombante non riempie la stanza […]».

25 Come suggerito da J. Dowland, dal Burwell Lute Tutor e da T. Mace. Vedere anche: https://aquilacorde.com/blog/musica-antica-blog/equal-tension-equal-feel-alcuni-chiarimenti-utili-per-i-nostriclienti/; EPHRAIM SEGERMAN, Strings thorough the ages, «The Strad», part 1, January 1988, pp.20-34; part 2 (Highly strung), March 1988, pp.195-201; part 3 (Deep tensions), April 1988, pp.295-299.

26 Vale a dire che siamo a meno di 1,5 Kg per corda.

27 Il dato è ricavato dalla nostra attività di corderia per la quale si utilizza come materia prima del budello intero di agnello. Questo nostro riscontro nella pratica cordaia di ogni giorno va a confermare quanto descritto da altri come ad esempio FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766,

2a edizione, vol IX, Desaint, Paris 1786, pp. 514-9 (Chapire XXII: Du travail des Cordes à boyaux […] on ne metque deux boyaux ensemble pour les petites cordes de mandolines […] ovvero «Lavorare le Corde di budello […] per le corde piccole dei mandolini si mettono insieme soltanto due budelli […]») e dal Conte GIORDANO

RICCATTI, Delle corde, ovvero fibre elastiche, Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna 1767, p. 130. In estrema sintesi: con 3 budelli interi di agnello si ottiene un range di diametri pari a 0,65-0,75 mm. In proporzione, con un singolo budello intero si ottengono 0,35-0,45 mm di diametro.

28 Si veda ATHANASIUS KIRCHER, Musurgia universalis, Roma, 1650, Liber VI, Caput II, p. 476. (Fig. 18) Nella Roma della metà del Seicento la prima corda del liuto si otteneva a partire da un singolo budello intero di agnello. Era infatti severamente proibito tagliare in strisce l’intestino di ovino destinato a far corde musicali. Vedi anche MIMMO PERUFFO, Messer Vincenzo Capirola e il segreto per legare le corde del liuto: considerazioni. Attanasio Kircher e i cantini del liuto: test pratici e risultati, «Il Liuto», rivista della Società del Liuto. Maggio 2016, pp. 15-25.

29 DOWLAND, Varietie, cit.

30 DOWLAND, Varietie, cit.; Mace, Musik’s monument, cit., pp. 65-6. Vedere ad esempio il celebre ritratto del tiorbista Girolamo Valeriani d eseguito dal pittore Ludovico Lana: https://commons.wikimedia.org/wiki/ File:Lana_Ritratto_di_Girolamo_Valeriani.jpg

31 Si veda il paragrafo delle ‘Considerazioni finali’.

32 PATRIZIO BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings 1550 1950, in «Galpin Society Journal», LIX, 2006, pp. 176-177. Si riportano notizie tratte da UGOLINO DA ORVIETO, Declaratio musicae disciplinae, Liber quintus, Capitulum IX: De cordarum seu nervorm instrumentalium subtilitate et grossitie, 1430-40 ca., il testo è interamente riportato su http://www.chmtl.indiana.edu/tml/15th/UGODEC1A_TEXT.html

33 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., pp. 159-162.

34 VINCENZO CAPIROLA, Compositione di meser Vicenzo capirola gentil homo bresano, ms., Newberry Library, Chicago, 1517 circa.

35 VINCENZO GALILEI, Fronimo Dialogo, II edizione, Venezia, 1584, p. 102.

36 CHARLES BESNAINOU, Les cordes et leurs mysteres, «Tablature, Revue de la Société Française du Luth», Juillet 1987.

37 MARIN MERSENNE, Harmonie Universelle, Livre Second, Des Instruments, Paris, 1636, p. 51.

38 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.

39 MICHAEL PRYNNE, James Talbot’s Manuscript: IV, Plucked strings. The Lute family, «The Galpin Society Journal», XIV, 1961, pp. 59-60.

40 Burwell Lute Tutor, cit., ff. 7r-8r.

41 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.

42 Sulla manifattura delle corde basse per la cetra diverse fonti storiche riferiscono che erano ottenute intrecciando assieme due fili metallici. Ad esempio MERSENNE, Harmonie Universelle, cit., pp 98-99: «[…] dans la quelle la plus grosse chorde di 3, & du 4 rang. Est tortillèe, & faites d’une chorde redoublèe & plièe en deux, a fin de faire des sons plus remplis & plus nourris.» ovvero «[…] le corde più grosse del terzo e del quarto ordine sono fatte con una corda di doppia lunghezza piegata a metà e intrecciata poi su se stessa così da ottenere un tono più pieno […]». La mia traduzione è tecnicamente precisa pur non essendo letterale. Vedere anche: BACON, cit.; PIERRE TRICHET, Traité des instruments de musique, manoscritto (Ms 1070), 1640 ca., Bibliothèque Sainte-Geneviève, Paris.; JOHN PLAYFORD, A Booke of New Lessons for Cithern, London, 1652; PRYNNE, Talbot’s Manuscript, (1695 ca.), cit.

43 Secondo MICHAEL PRAETORIUS (Syntagma Musicum, II parte De Organographia, Wolffenbüttel, 1619) si tratta di una viola a metà tra un basso e un tenore quindi uno strumento ben distino dai precedenti.

44 Vedere ad esempio le ricette di ALESSIO PIEMONTESE, I secreti, Venezia, 1555, ristampa del 1603, pp. 141, 182.

45 BESNAINOU, La fabrication des cordes, cit.

46 FRANK EYLER, The modern Venice Catlines reconsidered, Lute Society of America Bull., August 1986; EPHRAIM

SEGERMAN, More on the name ‘Catline’, «FOMRHI bull.», LXXVI, July 1994, p. 85; https://www.fomrhi.org/

uploads/bulletins/Fomrhi-076.pdf; STEPHEN BONTA, Catline Strings Revisited, «Journal of the American

Musical Instrument Society», XIV, 1988.

47 EPHRAIM SEGERMAN, Historical background to the strings used by catgut-scarpers, «FOMRHI bull.», April 1976, Comm 15, pag 42.

48 DOWLAND, Varietie, cit., pp. 13-14; Burwell Lute Tutor, cit., ff. 7r-8r; MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.

49 Viene chiamato ‘trefolo’ ciascuno dei fili intrecciati assieme per costituire una corda.

50 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit.; Mersenne, Harmonie Universelle, cit.

51 A proposito del pianeta Plutone si può consultare anche https://en.wikipedia.org/wiki/Pluto

52 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., p. 97.

53 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., p. 97.

54 GIOVANVENTURA ROSSETTI, Plichto de l’arte de tentori che insegna tenger pani, telle, banbasi et sede si per larthe magiore come per la comune, Venezia, 1568. (Fig. 50) Agli inizi della ricerca presi in considerazione la carica della seta mediante l’uso di polveri metalliche/ossidi/solfuri come possibile strada seguita dagli antichi cordai. Queste procedure erano infatti perfettamente note ai tintori già dal Medio Evo. Questa idea è stata abbandonata dopo breve per i seguenti motivi: 1) La seta effettivamente aumenta di peso ma in concomitanza si riscontra anche un certo aumento del suo volume: in altre parole la densità non aumentava più di tanto. 2) Tutte le fonti del XVI e XVII secolo che si riferiscono ai bassi del liuto descrivono soltanto il budello, mai la seta.

55 C’è stato in proposito uno scambio di comunicazioni personali con lo studioso Peter Pringle, che non ha purtroppo avuto seguito.

56 DOWLAND, Varietie, cit., p. 13.

57 DOWLAND, Varietie, cit., p. 13. «Ora poiché i Treble sono le corde principali noi abbiamo bisogno di averle scegliendo quelle più chiare e trasparenti alla luce, o di un grigio chiaro o di colore cenere prendendone una dal mazzo».

58 «Questo modo di scegliere le corde va bene non solo per i cantini, ma anche per le corde mediane grandi e piccole: le corde più grosse, anche se sono vecchie, sono comunque tollerabili, purché di bel colore, ma se sono fatte di recente e mai usate saranno chiare in controluce, anche se di colore nerastro».

59 «Alcune corde sono colorate, tra queste scegli i colori più leggeri; ad esempio tra i verdi scegli l’acquamarina, del rosso l’incarnato, del blu quello colore cielo. Queste corde sono di due tipi, vale a dire grosse e sottili. Entrambe sono impacchettate nella stessa maniera. La varietà delle corde più sottili (le quali vengono da Roma e altre zone d’Italia) sono in mazzi di dozzine; queste sono molto buone se sono nuove, se non lo sono la loro resistenza decade rapidamente. L’altra varietà è confezionata in scatole e provengono dalla Germania. Di queste, quelle che provengono da Monaco (di Baviera) e Mildorpe (?) sono e continuano ad essere le migliori. Allo stesso tempo vi è un tipo di corde più piene e più grosse delle ordinarie (che chiamiamo Gansars). Queste corde per le misure dei grossi e piccoli Mean sono molto buone, ma come Cantini non sono forti. Cè un’altra varietà di corde sottili che è prodotta a Livorno, in Toscana: queste corde sono arrotolate assieme come se fossero dei crini di cavallo. Queste sono buone se nuove però non sono altro che metà mazzo. Notare che alcuni negozi che hanno ultimamente di queste corde le passano invece come se fossero di un mazzo intero».

60 «Per la più grande varietà di corde per i bassi, alcune sono fatte a Norimberga e anche a Strasburgo, e sono arrotolate in mazzi come le altre corde. Queste corde sono eccellenti se sono nuove altrimenti peggiorano e diventano false. Le migliori sono però avvolte in doppio mazzetto e sono fatte a Bologna in Lombardia e quindi da lì spedite a Venezia da cui vengono poi mandate alle fiere e perciò vengono chiamate comunemente Venice Catlines».

61 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66. «Esiste una osservazione principale sul montare le corde di un Liuto. Un’altra osservazione generale, che sarebbe veramente la principale; cioè qualunque dimensione di liuto si abbia si deve accordarlo (al tono che uno intende) e le corde devono tutte realizzare una proporzionale e omogenea rigidità altrimenti si hanno due inconvenienti: uno per il suonatore e l’altro per chi ascolta. E qui nota che stiamo dicendo che un liuto non è equamente bilanciato quando alcune corde sono troppo tese e altre molli».

62 Burwell Lute Tutor, cit., f. 7v. «[…] Quando si percuotono tutte le corde con il pollice si deve sentire una tensione omogenea tra le corde delle diverse dimensioni».

63 DOWLAND, Varietie, cit., p. 14. «Per i nostri propositi: questi doppi bassi allo stesso tempo non devono essere troppo tesi o troppo deboli ma devono essere, in base alla sensibilità del tuo pollice e delle altre dita, equamente contrapposti ai Treble».

64 CAPIROLA, cit., f. 3v.

65 Cfr. DENIS DIDEROT – JEAN D’ALEMBERT, Encyclopedie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, vol. II, Paris, 1751 ; vi si può leggere la voce «GANSE, (Manufact. en soie) petite poignée de gavassines, auxquelles les lacs sont arrêtés, & que la tireuse attache avec une corde. Faire les ganses, c’est arrêter la même poignée de gavassines, afin que tous les lacs ne tombent pas sur la main de la tireuse.» O ancora «GANSE, f. f. (Rubanier) espece de petit cordounet d’or, d’argent, de soie ou de fil plus ou moins gros, rond, & même quelquefois quarrée, qui se fabrique sur un oreiller ou coussin avec des fuseaux, ou sur un métier avec la navette […]». «GANSE [cordoncino], (prodotto in seta), fascetta di funicelle, alle quali sono fissati i lacci, e che la tiratrice lega con una corda. Fare i cordoncini, significa fissare la fascia di funicelle, affinché tutti i lacci non cadano sulla mano della tiratrice.»; «GANSE, f. femm. (rel. alla manifattura dei nastri) specie di piccolo cordonetto d’oro, d’argento, di seta o di filo più o meno grosso, rotondo, e persino talvolta quadrato, che si fabbrica su un guanciale o cuscino con dei fusi, o su un telaio con la spola […]».

66 LE ROY, A briefe and plaine Instruction, cit., f. 60v; «le migliori ci vengono dalla Germania, dalle parti di Monaco, e da L’Aquila in Italia».

67 DOWLAND, Varietie, cit., p. 14.

68 Burwell Lute Tutor, cit., f. 7. «Le corde buone sono fatte a Roma o nei dintorni di Roma e nessuna di quelle buone è fatta in altri posti eccetto per le corde più grosse e le ottave che sono fatte a Lione in Francia».

69 MERSENNE, Harmonie Universelle, cit., p. 3.

70 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.

71 ROBERT DONNINGTON, James Talbot Manuscript, II. Bowed strings, «Galpin Society Journal», III, 1950. p. 30.

 

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