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Il mistero delle corde basse per liuto
Il mistero delle corde basse per liuto
(english: coming soon)
di Mimmo Peruffo
tratto da Il Liuto Rivista della Società del Liuto Numero 19, novembre 2019
For we see, that in one of the lower strings, there soundeth not only the sound of the treble, nor any mixt sound, but only the sound of the base. 1
Introduzione
Riguardo ai bassi in solo budello impiegati nei liuti del XVI, XVII e agli inizi del XVIII secolo vi sono, ancor oggi, questioni non risolte.
I problemi cominciano ad emergere quando, verso la seconda metà del XVI secolo, viene aggiunto al liuto un settimo ordine grave accordato una quarta (talvolta una quinta) al di sotto del sesto:
The Lutes of the newe invention with thirtene strynges, be not subiecte to this inconvenince, where of the laste is put be lowe: whiche accordyng to the maner now abaies, is thereby augmented a whole fowerth 2

Una domanda si pone sopra le altre: ma questi nuovi bassi furono davvero così efficienti e potenti come alcune testimonianze e fonti storiche vorrebbero farci credere? E, se fosse vero, come fecero ad ottenere quel risultato?
Il quesito è ancor più lecito visto che già nel primo Cinquecento ci si lamentava, e non poco, della qualità acustica dei bassi del liuto a sei ordini: è cosa infatti nota anche alla maggior parte dei liutisti di oggi che una normale corda di budello, anche se ritorta ai massimi livelli (al fine di guadagnare la massima elasticità e quindi ottimizzare la sonorità) oltre certi diametri non suona affatto bene, producendo una sorta di sordo ‘rumore’ di breve durata dal quale si intuisce appena la nota prodotta.
Per quella data frequenza e lunghezza vibrante si ha in altre parole un elevato grado di ‘inarmonicità’ in virtù dell’elevato coefficiente di smorzamento interno. 3
Questo fenomeno è direttamente proporzionale alla sezione della corda per cui non è possibile scendere ulteriormente verso il grave.4
Se già non erano per nulla soddisfatti dei bassi del liuto a sei ordini, come mai tutto ad un tratto si comincia ad aggiungerne altri ed esserne anche soddisfatti?
Comunque essi abbiano operato, il segreto sta esclusivamente nel contrastare la rigidità della corda (in altre parole nel ridurre la sua ‘inarmonicità’).
Ad oggi ci sono soltanto due ipotesi che tentano di risolvere il dilemma. La prima immagina l’uso di budello intrecciato secondo il sistema utilizzato per le gomene da imbarcazione (sia che si mantenga visibile la tipica struttura ‘nodosa’, sia che si arrivi ad una superficie levigata). Questo secondo i ricercatori permetterebbe di giungere alla massima elasticità consentendo così di arrivare al limite di un intervallo di quarta (talvolta una quinta) al di sotto del sesto ordine.
La seconda ipotesi prevede invece che il budello allo stato fresco abbia subito un particolare trattamento di ‘carica’ per mezzo di metalli pesanti ridotti in polvere finissima (o suoi composti insolubili come ad esempio solfuri ed ossidi) al fine di incrementare la densità finale della corda. Così appesantita, una corda perde una buona parte del suo diametro (densità e diametro sono inversamente proporzionali) diventando pertanto molto più sonora e può essere realizzata sia in ‘alta torsione’ che secondo la struttura a gomena (con finitura liscia o ‘nodosa’) incrementando pertanto ancora di più la sua resa acustica (densità ed elasticità lavorano qui in sinergia).
In questo lavoro esaminerò le due ipotesi alla luce dei sette requisiti che ho identificato e che derivano direttamente dalla lettura delle fonti storiche e/o da considerazioni tecniche, sempre però legate ad una base di natura storica.
I sette requisiti sono i seguenti:
- i diametri dei fori per i bassi, nei ponticelli di molti liuti originali sopravvissuti, presentano misure veramente ridotte rispetto a come dovrebbe essere se si usassero delle normali corde di budello;
- il netto miglioramento delle qualità acustiche dei bassi a partire dalla seconda metà del XVI secolo, rispetto a quelli in uso nel periodo storico immediatamente precedente, così come registrato dalle fonti del tempo;
- eguale tensione/eguale sensazione tattile di tensione: implicazioni generali riguardo ai diametri delle corde;
- il colore delle corde gravi nei quadri dell’epoca;
- quando fu veramente introdotta la struttura che imita una gomena marina/ fune nelle corde sonore;
- i bassi del liuto e la loro superficie: finitura liscia o nodosa?
- dipinti che testimoniano il grado di flessibilità/morbidezza dei Bassi.
1) I diametri dei fori per i bassi nei ponticelli di liuti originali
Agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso Ricardo Brané5 prima e quindi io, osservammo che i fori al ponticello per le corde dei bassi dei liuti sopravvissuti erano troppo stretti per poter installare delle corde di budello naturale che avessero diametro sufficiente al raggiungimento di una tensione di lavoro ragionevole (vale a dire maggiore di 2,5 Kg).6 Indipendentemente dal fatto che sappiamo molto poco circa le ‘tensioni di lavoro’ usate dai liutisti del passato, si constata che a valori inferiori a circa 2,5 Kg, in un tipico liuto rinascimentale in Sol, la corda non può più essere controllata dal pollice della mano destra. Si perde vistosamente in potenza acustica e comincia a manifestarsi una notevole distorsione di frequenza quando questa viene premuta sui tasti.7
In tema di fori va tenuto in debita considerazione il modo in cui venivano realizzati: nella maggioranza dei casi risultavano infatti leggermente conici, non cilindrici.
Risulta evidente che non siano stati fatti nel modo impiegato oggi, cioè con una punta da trapano. Penso piuttosto che gli antichi liutai utilizzassero una serie di tondini di ferro, leggermente conici, dotati di punta resa rovente alla fiamma.
Infatti, su diversi ponticelli da me esaminati, si presentavano degli aloni bruciacchiati sia intorno al foro che all’interno di esso.
Comunque, in forza delle prime scarse evidenze, raccolte da Branè nel Museo degli strumenti musicali e all’Accademia Filarmonica di Bologna, cominciai una lunga ricerca, durata più di un decennio, che mi portò a studiare i ponticelli di numerosi liuti originali, disseminati in almeno una dozzina di musei musicali europei (Figg. 2-4), con l’intenzione di raccogliere sistematicamente tutte le misure dei diametri passanti al ponte per le corde basse. In totale sono riuscito a rilevare i diametri di più di 100 strumenti.



Alla conclusione delle osservazioni ho però preso in considerazione soltanto una metà degli strumenti rilevati: quelli che conservavano serie evidenze che il ponte fosse originale. In seguito ho scritto alcuni articoli che riportano tutte le misurazioni e i relativi calcoli.8
Dopo questa prima indagine riuscii ad effettuare ulteriori misurazioni su strumenti di collezioni private. Nel 2005 ho avuto modo di visitare il monastero benedettino di Kremsmünster (Austria) dove ho potuto analizzare alcuni interessanti liuti in re minore a 11 e 13 ordini,9 di proprietà del monastero stesso (Figg. 5-9), che mi hanno confermato ancora una volta la presenza di fori troppo stretti per corde basse di budello naturale calcolate con una ‘ragionevole’ tensione di lavoro. (Fig.10) In questi strumenti si osservano, ben visibili sulla tavola armonica, i segni delle posizioni delle dita della mano destra, aprendo così spazio per altre interessanti indagini e testimoniando quanto intensamente questi strumenti siano stati suonati.






Vale la pena di sottolineare che il diametro del foro al ponte non coincide certamente con quello della corda passante. In altre parole i fori devono avere, per forza di cose, un certo empirico sovradimensionamento rispetto alla corda stessa, altrimenti questa si incepperebbe e non lo attraverserebbe con facilità.
Basandosi su tutti i miei dati, il ricercatore e fisico Ephraim Segerman calcolò quindi il range di tensioni che avrebbero posseduto i bassi del tempo. Queste risultarono comprese tra 1,1 e 1,8 Kg.
Nel suo lavoro egli considerò corde con un diametro pari all’85% del massimo diametro passante per quel dato foro del ponte e ritengo che questo sia stato un buon criterio.10
È importante che quei calcoli siano stati fatti da lui e non da me. Egli è infatti il ricercatore che negli anni ‘70 ha introdotto la teoria che le corde gravi per il liuto e per gli archi, al fine di poter essere sonore, fossero rese più elastiche mediante la tecnica di torsione utilizzata nelle gomene marine e nelle funi. Segerman ancora oggi ritiene che l’ipotesi dell’appesantimento del budello non abbia alcuna evidenza storica.
Il fatto che questi fori presentino dei diametri così piccoli apre però una questione importante: potrebbero, nel passare dei secoli, essersi via via contratti?
Chiesi pertanto un parere ad alcuni famosi restauratori di oggetti d’arte in legno qui in Italia (Firenze e Milano per precisione) e la risposta fu che il legno, con il passare del tempo, tende piuttosto ad erodersi ed a diventare debole e inconsistente sotto l’attacco batterico, dei cambi climatici e del tempo. In altre parole ci si deve semmai aspettare che dopo secoli e secoli i fori siano andati via via ad allargarsi, non a restringersi.
Altra questione che potrebbe porsi è la seguente: cosa possiamo dire circa l’eventuale traccia di polvere presente all’interno dei fori? Potrebbe contenere tracce di metalli pesanti o relativi ossidi/solfuri rilasciati dall’antica corda? Ho preso però la decisione di non svolgere questo tipo di indagine. Infatti dopo tutti questi secoli è probabile che una notevole contaminazione porti a false conclusioni.
Ho scoperto comunque una importante imprecisione nel lavoro di Segerman: egli considera, nei suoi calcoli, una densità del budello pari a 1,30 gr/cm3, che è però quella tipica di una corda realizzata in bassa torsione, (che risulta molto rigida, compatta, totalmente inadatta quindi a realizzare delle efficienti corde per i bassi).
Avrebbe invece dovuto utilizzare come valore di densità quello di 1,10 gr/cm3, che è il valore medio tipico di una corda di budello realizzata come una gomena marina con superficie nodosa (la teoria, appunto, da lui sostenuta).11
Dopo le mie correzioni, il range di valori di tensione che si ricava risulta quindi compreso tra 0,9 e 1,5 Kg.
Forse non tutti hanno una chiara idea di cosa ciò significhi.
Fate da voi il seguente test: abbassate l’intonazione del vostro liuto (che risulta probabilmente tarato intorno ai 3,0 Kg medi: il valore più comune oggigiorno) o anche di una sola corda grave, di 9, fino a 11, semitoni e così potrete avere una idea precisa di cosa significhino questi valori di tensione. Risulterà ancora possibile suonare uno strumento in queste condizioni? Che qualità acustica globale e che controllo delle dita sulle corde ancora avremo? Sarà infatti evidente a chiunque che le corde diventino come elastici di gomma, con scarsa potenza sonora, scarsa prontezza di attacco, scarso controllo da parte del pollice della mano destra, rumore piuttosto che suono e infine, come se non bastasse, avremo molto pronunciato il fenomeno della pitch distorsion (le corde premute crescono di frequenza al minimo spostamento laterale e/o cambio di pressione sulle stesse sopra i tasti).



Suggerirei di fare questo test pratico almeno una volta, specialmente se si è avversi per principio alla teoria dell’appesantimento del budello.
Per essere realmente indicativo, il test dovrebbe essere però condotto usando corde in solo budello intrecciate secondo la tecnica della gomena marina, e non con corde moderne rivestite, o in fluorocarbonio, o gimped12 etc., le quali hanno in comune il fatto di possedere un peso specifico maggiore di quello del budello naturale. Nonostante questo, effettuandolo anche con tali tipologie di corde, si arriva a comprendere nettamente cosa significhi lavorare con questi bassi valori di tensione.
La mia domanda è: perché i liutai di allora non hanno fatto i fori semplicemente più grossi? Questa operazione è in sé molto facile; diversi liutisti oggi provvedono ad allargare i fori del lato bassi del ponticello nel caso intendano passare dalle tradizionali corde rivestite ai bassi in solo budello. Se all’epoca li hanno fatti invece così ridotti un motivo preciso deve ben esserci. Considerando che i fori per i bassi furono dimensionati così dai liutai del tardo XVI e del XVII secolo, per qualunque marca di corda grave, quale altra spiegazione ci è consentita se non il fatto che la matrice comune dei Lyons, dei Pistoys e forse, nel caso di Dowland, delle Venice Catlins,13 fosse l’appesantimento del budello?
Conclusione: se le corde dei bassi non sono in qualche modo densificate non si può raggiungere un adeguato valore di tensione di lavoro.
2) Il netto miglioramento delle qualità acustiche dei bassi a partire dalla seconda metà del XVI secolo, rispetto a quelli in uso nel periodo storico immediatamente precedente
Vi sono diversi scritti che testimoniano come le corde gravi del liuto del XVII secolo (dal sesto ordine compreso fino all’XI /XII ordine grave, per un liuto in re minore e/o con tratta corta) avessero migliori performance acustiche rispetto a quelle in uso tra la fine del XV secolo, fino al 1560’65 circa.
Johannes Tinctoris scrisse:
Un arrangiamento di cinque, qualche volta sei corde principali fu prima adottato, credo da parte dei tedeschi: cioè, due interne accordate per terza e le altre per quarta […]. Inoltre, al fine di ottenere una sonorità più forte, un altra corda accordata una ottava sopra fu addizionata alle principali, eccetto le prime.14

Sebastian Virdung (Fig. 14):
[…] a tutti e tre i bassi (prummer) sono addizionate corde di spessore medio […] una ottava più alta. Perché si fa questo? Perché le corde più grosse non possono essere udite così forte alla distanza come quelle più più sottili. Perciò le ottave sono aggiunte, così che possano essere udite come le altre.15

Dalla figura 15 potere vedere cosa Vincenzo Galilei scrive nel 1584:16
Qui si sta riferendo ai primi bassi aggiunti dopo il sesto. Il suo commento è decisamente sarcastico e anche di natura puramente conservativa (non amava che il liuto adottasse bassi ulteriori). Tralasciamo di commentare la soluzione proposta dal Galilei di aggiungere una ulteriore corda, ancora più acuta del cantino, che tecnicamente è una mission impossible (le ‘Colonne d’Ercole’ vale a dire l’Indice di Rottura del cantino esistono anche per Vincenzo!).

Contrariamente alle fonti comprese tra il tardo Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, sia il Burwell Lute Tutor (verso il 1670)17 che Thomas Mace (nel 1676)18 documentano che i bassi in puro budello del loro tempo, anche se installati su di un liuto provvisto di tratta molto corta, (Fig. 16) erano talmente efficienti da arrivare persino a coprire e confondere il suono delle corde superiori, consigliando infine di tornare indietro allo strumento tradizionale sprovvisto di estensione per i bassi.
Mary Burwell Lute Tutor:
[…] the confusion that the length of sound produce it alsoe. […] every basse sound make a confond with every string […]

e, parlando dell’XI ordine:
[…] the lutemasters have taken away that great string because the sound of it is too long and smothis the sound of the others.19

Thomas Mace:
This inconvenience20 is found upon French Lutes, when their heads are made too long; as some desire to have them […].21
Fig. 16 b: Thomas Mace, 1676: descrizione della sonorità delle corde gravi del Liuto
Bisogna essere qui ben consapevoli di una cosa molto importante: quanto riportato dai due trattati non costituisce opinione soggettiva bensì comparazione di natura oggettiva tra le corde superiori e i bassi. Lo stesso tipo di confronto può essere fatto in altre parole anche da noi. Producendo una valutazione di tipo comparativo e non di natura assoluta ci poniamo fuori da un giudizio personale, che sarebbe potuto essere improntato al gusto e alla sensibilità del tempo.
Chiunque oggi può infatti tranquillamente verificare come anche il miglior basso di budello fatto secondo una struttura a gomena non sia assolutamente in grado di coprire e confondere il suono delle corde più acute; la sua sonorità, viceversa, è invece sorda e debole, se comparata a quella delle corde superiori.
Ci sono ulteriori testimonianze, in termini questa volta soggettivi, che ci danno un’idea del tipo sonorità dei bassi del liuto alla loro epoca:
[…] L’altro è che potendosi trovare un leuto à otto ordini, come li suol fare perfettissimi un Maestro Tedesco ch’è in Padova nomato Mastro Venere Alberti faria piacere à S. Altezza [Alfonso d’Este] di presentarglielo: il qual leuto havendo poi à servir per me, desidero che sia delli ordinarij, in quanto alla grandezza, et que’ dui ordini bassi più delli sei costumati siano li bordoni fermi, et sonori d’una corda per ciascuno, et non di due, et infine che ‘l leùto sia armonioso et argentino, cioè con suono chiaro et sonoro, et che i bassi rimbombino il più che si può.22
For we see, that in one of the lower strings of a lute, there soundeth not the sound of the treble, nor any mixt sound, but onely the sound of the base.23
[…] still torturing the deep mouth’d Catlines till hoarse thundering diapason should the whole room fill […].24

Mersenne scrive che il suono/la vibrazione della corda più spessa del liuto (nel suo caso è il XI ordine) durava almeno venti secondi (Fig. 17). Personalmente non ho mai sentito qualcosa del genere, sia che si trattasse di una corda in budello ritorta come una gomena marina, ma anche nel caso di un basso moderno rivestito su anima in multifilamento di nylon (che presenterebbe in assoluto il sustain maggiore). Ritengo che questa affermazione sia esagerata, non attinente al reale oppure riferita alla durata della vibrazione più che alla sonorità propriamente detta. Una presunta vibrazione di almeno venti secondi da parte una corda di budello risulta in ogni caso lontana dalla realtà.
Conclusione: facendo un esperimento con una corda in budello nudo, ritorta come una gomena marina, ne risulta che essa non è affatto in grado di raggiungere la performance dei bassi in budello descritta dalle fonti del XVII secolo rispetto a quelle superiori. Al contrario, la sonorità risulta debole, povera di armonici, di scarsa durata e certamente non in grado di prevaricare le corde più acute.
3) Eguale tensione/sensazione tattile di tensione: implicazioni generali riguardo ai diametri delle corde
Se si considerasse un profilo di eguale tensione (o, più storicamente parlando, di eguale ‘sensazione tattile’ di tensione)25 ammettendo che i bassi davvero lavorassero con questi ridotti valori di tensione,26 la prima corda arriverebbe ad avere un diametro compreso tra 0,26 e 0,32 millimetri soltanto; quelle del secondo ordine intorno 0,36-0,38 millimetri mentre quelle del terzo ordine attorno 0,48-0,50 mm
Non ho mai visto in tutta la mia esperienza di ricercatore e cordaio una prima corda così sottile e, per quello che conosco, non credo che esista in natura un intestino intero di agnello che possa raggiungere calibri simili.
Il diametro più sottile che sono riuscito a produrre è di circa 0,34-0,42 millimetri (dopo una leggera levigatura manuale si riduce di un poco)27 partendo appunto da un singolo budello intero di agnello di circa un mese di età.28
Per la precisione, il range di diametro che ho potuto ottenere da diversi campioni di budello intero di agnello, di diversa provenienza, è il seguente: 0,38 – 0,46 mm. Conclusione: in base alla mia esperienza, non si trovano intestini di agnello che siano così sottili da produrre cantini di diametro inferiore a 0,38 mm. Questo fatto porta all’impossibilità di mantenere per l’intera montatura i valori di tensione calcolati da Segerman. Viceversa, considerando il range dei valori di diametro che si ottengono realmente da un singolo budello di agnello (0,36-0,46 mm) la tensione di lavoro balza a valori compresi tra 3,5 e 4,5 Kg.
Dovendo assicurare, per forza di cose, una eguale sensazione tattile di tensione tra tutte le corde del liuto (come sempre indicato dalle fonti storiche) ecco di conseguenza che la tensione di lavoro dei bassi si deve attestare anche essa intorno a valori di 3,0-3,5 Kg, non certo di 0,9-1,5 Kg come calcolato da Segerman e da me corretto.

4) Il colore delle corde gravi nei quadri dell’epoca
Molti ritengono che la questione del colore delle corde basse sia l’evidenza primaria che supporta la teoria dell’appesantimento del budello.
Ma questo non è vero. Il colore infatti rappresenta in realtà l’ultimo punto nella scala delle evidenze e ci suggerisce che questi bassi fossero lavorati in modo tecnologicamente avanzato. I colori, aventi una mera funzione estetica, per i Treble e i Mean menzionati dalle vecchie fonti29 sono i seguenti: blu chiaro, verde chiaro, giallo e rosso chiaro.
In taluni dipinti del tempo è possibile talvolta osservarli tra il primo e il quinto ordine, su entrambe le corde del coro o anche soltanto su una. Corde colorate sono talvolta visibili come ottave associate ai bassi.30 Invece, nei bassi rappresentati dai dipinti, quando sono colorati, è possibile osservare soltanto toni cromatici che variano dal giallo canarino, all’arancio scuro, al rosso cupo fino a tutte le variazioni del marrone e infine al nerastro. (Figg. 19-30)
Ci sono cose ulteriori da osservare: queste colorazioni partono dal sesto ordine compreso fino all’ultimo basso e presentano la stessa medesima gradazione di tonalità tra tutti i bassi del dipinto: in altre parole si trovano esattamente là dove oggi utilizziamo corde di nylon rivestito, o fatte a gomena, o in fluorocarbonio.
Esse infine sembrano piuttosto sottili.



Fig. 22: Liutista francese del XVII secolo, Anonimo, 2a metà del XVII secolo, Hamburger Kunsthalle: dettaglio







Fig. 28 a: FRANÇOIS DE TROY, Ritratto del liutista Charles Mouton, 1690 ca., Museo del Louvre, Parigi. Particolare.
Fig. 29: FRANÇOIS DE TROY, Ritratto del liutista Charles Mouton, 1690 ca. Museo del Louvre, Parigi. Particolare delle corde sulla rosa (notare i bassi rosso cupo).

Fig. 30 b: ENGLON HENDRIK van der NEER, Ritratto di liutista, 1677. Colocazione ingota all’autore (notare i bassi rosso cupo).
Fig. 30 c: ENGLON HENDRIK van der NEER, Ritratto di liutista, 1677. Colocazione ingota all’autore (notare i bassi rosso cupo)
Volendo raggiungere una densità doppia rispetto a quella del budello (più in là, sempre in questo articolo, spiegherò perché questa cosa è di una certa importanza)31 risulta indispensabile utilizzare qualche sostanza che possieda un elevato peso specifico e abbia la caratteristica di essere insolubile e macinabile in forma di polvere molto sottile.

Bene, tra le sostanze più pesanti, insolubili, largamente in uso nel XVI/XVII secolo, proprio quelle dotate di peso specifico superiore a 8-9 gr/cm3 (pigmenti minerali come ossidi, solfuri, rame metallico, risotto in polvere etc) possiedono un range di colorazioni che sono esattamente sovrapponibili a quelli riscontrati nei bassi dei dipinti e di alcune fonti storiche, variando essi infatti dal cupo rosso, al giallo, a tutte le gradazioni di marrone fino al grigio scuro: una pura coincidenza? (Fig. 31) Nessuna traccia è presente, in questi dipinti del XVII secolo, di gradazioni di verde o di blu nell’intera sequenza di bassi rappresentati come descritto invece dai trattati per le corde colorate come i Trebles e i Meanes.

Questi pigmenti pesanti e insolubili, comunemente in uso nel XVI e XVII secolo, sono ossidi e solfuri di piombo e mercurio (Fig. 32) oltre alla polvere di rame metallico parzialmente ossidato (si sono ritrovate alcune ricette delle metà del XVI secolo che spiegano come ottenerlo).
Per completare il discorso è importante chiarire che è possibile caricare del budello allo stato fresco con litargirio giallo, minio di piombo marrone chiaro oppure ossidi di mercurio, sempre marrone chiaro. Questo avrebbe consentito a un pittore dell’epoca di dipingere i bassi ancora della stessa gradazione cromatica delle corde superiori in budello naturale non caricato (giallo/marrone chiaro):
Fig 31 b: PETER PAUL RUBENS, Suonatore di Liuto (1609-1610): corde gravi giallo/maroni
In altre parole non è affatto detto che una corda appesantita debba necessariamente avere una colorazione diversa da quella realizzata soltanto in budello naturale. Una corda può essere pertanto caricata anche in maniera piuttosto generosa e presentare ancora una colorazione del tutto simile a quella del budello naturale.
Vi è ora una considerazione finale: i deep dark red color menzionati da Thomas Mace per i Pistoy possono essersi ottenuti intenzionalmente addizionando del colorante rosso a delle corde in budello fresco già caricate con qualche agente di colore differente così da avere una colorazione di brand riconoscibile a vista dal cliente.
Conclusioni: la colorazione che si riscontra sulle corde gravi rappresenta l’ultimo punto nella scala delle evidenze che ci portano a credere che i bassi del liuto subissero una lavorazione particolare. Risulta interessante la coincidenza che le poche sostanze del tempo aventi pesi specifici molto elevati, come gli ossidi e i solfuri di alcuni metalli pesanti in uso allora, possiedano la stessa gamma di colore dei bassi (rosso cupo, arancio, diverse gradazioni del marrone fino al nerastro). Non esiste alcuna menzione, nei trattati, di corde gravi verdi, blu etc. E’ possibile infine caricare il budello con pigmenti aventi la sua stessa colorazione naturale, rendendolo pertanto esteticamente simile alle corde superiori non caricate.
5) Quando fu veramente introdotta la struttura che imita una gomena marina/fune nelle corde sonore

Alcuni ricercatori, ancor oggi, ritengono che le corde gravi con un intreccio simile a quello delle gomene marine/funi (le Catline, per Segerman) siano state introdotte intorno al 1565-70 e questo abbia permesso al liuto quella decisiva espansione verso il grave avvenuta mediante l’aggiunta del settimo ordine, accordato una quarta/quinta sotto al sesto. Questo punto di vista deve però essere aggiornato. Alcuni anni fa il ricercatore Patrizio Barbieri scoprì alcune fonti risalenti alla seconda metà del XV secolo dalle quali risulta finalmente chiarito che le corde con questo tipo di manifattura erano già in uso negli strumenti da musica32. In realtà corde di questo tipo venivano già usate durante il tardo periodo imperiale di Roma. (Fig. 33)

Barbieri evidenziò inoltre la presenza di macchine avvolgitrici, chiamate ‘orditori’ (Fig. 34) e usate comunemente per realizzare funi marine e cordami in genere, già in alcune fonti riguardanti i cordai romani del XVI secolo.33
Considerando queste nuove fonti, si può dunque ritenere che le corde avvolte a gomena (anche lisce) menzionate nella seconda metà del XV secolo, grazie alla loro miglior elasticità rispetto a quelle tradizionali in altra torsione, permisero l’addizione del sesto ordine al liuto e agli strumenti ad arco coevi.
In questo modo il nuovo limite acustico raggiunse le due ottave piene.
Un particolare: la grande elasticità presentata dalle corde di questo tipo rende molto contenuto quello che gli inglesi definiscono fret sharpness (la crescita di frequenza che si manifesta quando delle corde di un certo spessore e con maggiore rigidità vengono premute sui tasti). Nessun trattato per liuto, dal primo Cinquecento in poi, espone lamentatele per questo fenomeno mentre si arriva a trattare il problema di una presunta differenza di diametro tra i due estremi di una corda (vedere Capirola 151734 e Vincenzo Galilei 156835 ).
Ecco il punto: se le corde dei bassi fossero realizzate semplicemente in alta torsione questo fenomeno risulterebbe molto presente rendendo lo strumento costantemente stonato, anche tra il basso e l’ottava all’interno dello stesso ordine.
Chiunque può infatti verificare da sé che tastando un coro grave in alta torsione si verifica una stonatura che è anche di natura ‘interna’ al coro/ordine, vale a dire tra la grossa corda del basso e quella sotti le dell’ottava appaiata, e può concludere che un liuto montato in questo modo non è per nulla funzionale.
Può la non menzione di questo problema nei trattati di allora essere una evidenza indiretta circa l’uso, nel liuto a sei ordini, di bassi realizzati con la struttura tipica della fune/gomena?
Dando quindi per dimostrato che le corde realizzate come le gomene (non sappiamo se con superficie liscia o nodosa) fossero già conosciute a partire dalla seconda metà del XV secolo, cosa realmente capitò verso la seconda metà del secolo seguente, quando nel giro di poco tempo venne addizionato al liuto un basso accordato direttamente una quarta, talvolta una quinta al di sotto del sesto? E cosa fece diventare quei bassi aggiunti, come per magia, potenti e sonori?
La questione è cruciale e ancora una volta ci chiediamo quale novità tecnologica possa essere intervenuta.
Conclusioni: ci sono chiare evidenze storiche che testimoniano che le corde di budello con struttura a gomena erano già in uso almeno dalla seconda metà del XV secolo. Di conseguenza non può essere stato questo tipo di tecnologia a determinare l’espansione delle corde gravi del liuto che avvenne nella seconda metà del Cinquecento. La nuova tipologia di bassi in puro budello risulterà molto performante rispetto a quelli precedenti, la cui resa acustica risultava al contrario deficitaria tanto da provocare delle lamentele e rendere indispensabile l’impiego di una ottava appaiata.
5) I bassi del liuto e la loro superficie: finitura liscia o nodosa?
Soltanto ai nostri giorni si ritiene che la superficie delle corde basse del tempo fosse nodosa come una fune o una gomena marina: invece tutte le fonti storiche in nostro possesso mettono in chiaro che le corde erano lisce, oppure non dicono nulla in merito. Questa evidenza documentaria può essere considerata come una risposta garbata a Charles Besnainou, un ricercatore francese che considera basate su criteri di storicità le corde da lui realizzate che presentano appunto una superficie nodosa.
Per realizzare le suddette corde uno dei metodi è quello di prendere una lunga corda, piegarla a metà e ritorcerla su se stessa in opposta direzione rispetto alla fibra di partenza. Più precisamente uno dei lati della corda vien lasciato per un tratto di pochi centimetri non ritorto così che uno dei due capi possa passare attraverso il foro del ponticello e quindi andare ad annodarsi al di sopra con l’altra porzione di corda.
Questa soluzione, secondo la sua opinione, era la via usata al tempo direttamente dai suonatori stessi e può giustificare il diametro ridotto dei fori dei ponticelli storici.36

Ma ecco in realtà cosa abbiamo trovato nei documenti del tempo in riferimento alla superficie delle corde: Mersenne afferma (Fig. 35) che le corde si presentano in generale come lisci cilindri la cui superficie viene levigata per mezzo di un’erba di natura abrasiva (Equiseto). Egli però non dice nulla che ci possa far credere che questa procedura fosse impiegata soltanto per le corde più sottili.37
Thomas Mace afferma con chiarezza che i Pistoy dal colore rosso cupo (per lui i bassi migliori) erano lisci:
They are indeed the very best, for the basses, being smooth and well-twisted strings […].
Questa affermazione non implica tuttavia automaticamente che gli altri bassi da lui menzionati, i Lyon, non lo fossero. In realtà Mace non dice proprio nulla in merito alla loro superficie.38
James Talbot scrive che ‘i Lyons’ del violino erano lisci:
Best strings are Roman 1st & 2nd of Venice catlins: 3rd & 4th best be finest & smoothest Lyons, all 4 differ in size […].39
Il Mary Burwell Lute Tutor, indica quali fossero le migliori corde per liuto (Romans per gli acuti e Lyons per i bassi e le rispettive ottave) e spiega che un importante aspetto delle corde era quello di presentarsi libere da irregolarità della superficie (libere cioè da knotte e rugged). I bassi tipo Lyons sono chiaramente inclusi.40
Thomas Mace, in aggiunta, scrive che le Venice Catlin per i Mean erano lisce, così quando aggiunge che ‘i bassi di Pistoia’ non erano per lui altro che grosse Venice Catlin, intende che anche questi fossero lisci.41
Nel quadro di Rutilio Manetti (Figg. 36a-36e) possiamo vedere un liuto e una cetra. Questo dipinto è realizzato veramente in maniera molto accurata: è possibile infatti osservare che i bassi del liuto si presentano lisci mentre le corde della cetra appaiono di metallo ritorto. Tutto questo nello stesso dipinto. Se i bassi del liuto fossero stati di aspetto nodoso, come quelli della cetra, il pittore lo avrebbe certamente rappresentato così come ha fatto per la cetra stessa.42
Fig. 36a: L’autore di questo scritto davanti al quadro di Manetti.
Fig. 36b: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, particolare di liuto e cetra. [Foto dell’autore]

Fig. 36d: RUTILIO MANETTI, La vittoria ell’Amore terreno, Particolare della cetra. [Foto dell’autore]
Fig. 36e: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, particolare del ponticello del liuto.
La grande precisione di molti dei pittori del tardo Cinquecento e dell’intero Seicento la si ritrova anche in altre opere. Ecco ancora due esempi (Figg. 37-38 e 38 a) in cui è fedelmente riprodotta la tipica struttura a trecciola (data da due fili metallici intrecciati assieme) delle corde usate per queste Cetre.
Conclusione: le fonti storiche in nostro possesso testimoniano che tutte le corde dei liuti, bassi compresi, avevano una superficie liscia, non nodosa. Se non fosse stata tale i pittori del tempo lo avrebbero sicuramente evidenziato esattamente come hanno fatto per le Cetre.
Fig. 37: EDWARD COLLIER, Natura morta, 1696, Tate Britain, London. Particolare.

Fig. 38a: Attribuito a ANTIVEDUTO GRAMATICA (1571-1626), Santa Cecilia: dettaglio
1) Dipinti che evidenziano la morbidezza e la flessibilità dei bassi in puro budello del liuto

In diversi dipinti risalenti al XVII secolo le corde gravi del Liuto appaiono piuttosto sottili rispetto a quel che ci si potrebbe aspettare se fossero realizzate in budello naturale. Inoltre sono all’apparenza lisce e molto flessibili: per nulla simili all’aspetto di una fune o gomena marina. (Fig. 39)
In alcuni casi (Figg. 40, 41) è possibile avere una approssimativa idea di quanto fossero flessibili questi bassi.
Conclusione: alcuni dipinti del XVII secolo mostrano le corde gravi del tempo come flessibili, lisce e più sottili di quello che ci si aspetterebbe se fossero state in normale budello.
Fig. 40: RUTILIO MANETTI, La vittoria dell’Amore terreno, dettaglio delle corde gravi lisce e flessibili.

Fig. 41b: JAN DAVIDSZ DE HEEM: dettaglio sull matassina di corda rossa (1660-1665)
Conclusioni
Esiste soltanto una spiegazione che possa comprendere assieme tutti e sette i requisiti descritti sopra: le corde di budello dei bassi del tempo dovevano avere una struttura simile a quella delle funi (ma con superficie lisciata) e dovevano essere appesantite con un qualche agente di carica al fine di incrementarne la densità. La carica doveva essere piuttosto generosa così da raggiungere il limite di una quarta/ quinta al di sotto del sesto ordine. L’agente di carica doveva essere di natura minerale, dotato di elevatissimo peso specifico, insolubile e ridotto in polvere molto sottile (se non impalpabile).
Va sottolineato che la combinazione tra l’elevata densità e l’elasticità data dalla struttura a gomena è in assoluto la via migliore per assicurare la massima resa acustica dei bassi, soprattutto quelli di uno strumento così complesso quale è il liuto

Un processo di ‘incorporazione’ in somma. Non vi è nulla di strano nel ritenere che il budello per le corde gravi possa aver subito un processo di incorporazione di materiali estranei al fine di incrementare la densità. Vi sono diverse evidenze documentarie che testimoniano come gli antichi fossero ben consapevoli che la densità del materiale con cui è fatta la corda assuma un ruolo fondamentale per il raggiungimento delle frequenze gravi. (Figg. 42, 43)
Soffermandoci su questo passaggio di Mersenne, (Fig. 43) si comprende bene come l’idea di incorporare nel budello dei «corpi più terresti e più pesanti» come i metalli, al fine di rendere le corde «più len te a muoversi» (Bartoli: Fig. 42) sia un processo perfettamente in linea con la cultura di allora, basata sui principi Aristotele e la teoria dei ‘quattro elementi’.
Mi fermo qui e passo volentieri la mano a coloro che sono più esperti di queste tematiche invitandoli ad approfondire la questione.
Ritenendo credibile l’ipotesi dell’appesantimento sorge ora spontanea una domanda: ma quale incremento di densità si doveva raggiungere?
Ho sviluppato intorno a questo quesito la seguente ipotesi: grazie alle ‘lamentele’ di Virdung, Galilei ecc, deduciamo che il diametro del sesto ordine rappresentasse in qualche modo, empiricamente, il massimo limite acustico verso il grave al limite dell’accettabilità, uditiva ed estetica, per quel tempo. Questo nonostante un ‘aiutino’ fosse dato dall’ottava appaiata. Per una serie di considerazioni tecniche riguardanti il tipo di budello allora utilizzato, possiamo identificare per il sesto ordine di liuto rinascimentale un range di diametro compreso tra 1,35 e 1,45 mm.
Per le leggi della Fisica, se si lavora sul medesimo tipo di materiale e con analoga struttura manifatturiera della corda, lo stesso diametro limite attribuito al sesto ordine del liuto risulta il limite massimo anche per l’ultimo basso dei Liuti a 7, 8 o 10 ordini (così come anche quello in Re mi nore con 11 ordini). Tutti questi strumenti hanno infatti la caratteristica comune di possedere un’escursione (detta open range), tra il cantino a vuoto e l’ultimo basso, di due ottave e una quarta, talvolta anche una quinta.
Secondo i calcoli, volendo dunque scendere di un intervallo di quarta e non superare il diametro del basso al sesto ordine del ‘vecchio’ liuto a 6 cori (1,35-1,45 mm), la densità della corda deve essere almeno il doppio di quella del budello natu rale (che è di 1,3 gr/cm3).
Tutto questo trova conferma nei diame tri dei fori per i bassi nei ponticelli dei liuti sopravvissuti.
È interessante osservare come il nuovo open range di due ottave ed una quarta/ quinta rimanga lo stesso anche nel liuto ad 11 ordini in re minore. Esso si espande so lamente con la comparsa del modello a 13 ordini (con cavalletto per gli ultimi 2 bassi per quello a collo di cigno la questione è ancora aperta) che utilizzava però, come ormai sufficientemente accertato, bassi di tipo rivestito (siamo nel 1718/19 ca.). L’escursione di due ottave più una quarta/ quinta veniva incidentalmente raggiunta anche da uno strumento ad arco la cui pri ma menzione risale, guarda la coincidenza, intorno al 1580: la viola bastarda (o ‘alla bastarda’).43
Ho eseguito naturalmente alcuni test pratici per verificare se queste considera zioni, riguardanti il grado di densità, pos sano essere tecnicamente raggiungibili ed, in effetti, si riesce a caricare il budello fresco fino a poco più del doppio del suo peso specifico (ma non oltre: la corda perde infatti la sua integrità fisica).
Nei test ho utilizzato alcuni pigmenti molto pesanti ed insolubili, come ad esempio il minio di piombo, per arrivare infine alla polvere di rame metallico, ben conosciuta anche nell’antichità. Tempo addietro avevo infatti ritrovato alcune ricette, (Figg. 44a-44c) risalenti alla metà del XVI secolo, in cui veniva spiegato come ottene re la polvere di questo metallo, ma anche quella di oro e argento.44
Qualunque ipotesi oggi avanzata per risolvere il mistero di come i bassi del liuto venissero realizzati, non può non tenere conto di tutti e sette i requisiti sopra men zionati. Qualunque critica è sempre benvenuta, ma alla condizione che nessuno di questi punti sia omesso. Essi derivano infatti da chiare evidenze storiche, non da idee generiche e non supportate.



Cosa viene opposto a queste conclusioni:
- Le corde dei bassi erano fatte a gomena e venivano realizzate dai liutisti stessi direttamente sullo strumento
Nella conferenza presentata a ‘Corde Factum’ nel maggio del 2008,45 Charles Besnainou espone la sua idea che è quella che si utilizzasse una ordinaria corda di budello, di sufficiente lunghezza e diametro, che potesse passare attraverso i fori dei ponticelli storici per poi venir piegata a metà e ritorta su se stessa direttamente sullo strumento. Un lato della treccia così realizzata verrebbe lasciata per alcuni cen timetri con i due capi di corda non intrecciati in modo che solo una corda delle due possa attraversare il foro del ponte ed annodarsi con l’altro tratto che sta fuori dal detto foro. Un’alternativa a questa operazione, secondo lui realizzata dal liutista stesso, vedrebbe invece il cordaio realizzare il suddetto basso lasciando aperti i due capi liberi per la successiva annodatura. C’è da notare che una corda di questo tipo presenterebbe necessariamente una super ficie non liscia, ma nodosa, come una fune.
Le nostre considerazioni:
- Questa ipotesi scarta la più banale delle domande: perché i liutai del tempo non hanno semplicemente fatto dei fori più grandi (esattamente come si fa oggi quando si vogliono montare bassi in solo budello di un certo diametro)?
- Un’ipotesi come quella descritta richiede che le corde siano prima inumidite per poi essere accuratamente ritorte sopra lo strumento utilizzando una speciale attrezzatura che esegua questo lavoro alla Poi andrebbero lasciate accuratamente essiccare prima di poterle annodare al ponte. Nessun trattato del tempo ha mai accennato ad una simile procedura, né alla suddetta attrezzatura, né alla necessità di procurarsi un lunga corda dei medi per poter realizzare i bassi.
- La teoria di Besnainou, se comparata ai sette requisiti sopra menzionati non arriva a soddisfarli tutti.
Esattamente come accade per l’ipotesi formulata da Ephraim Segerman, concernente una possibile struttura a gomena con conseguente nodosità della superficie della corda.
Risulta in qualche modo interessante ricordare che la connessione etimologica tra la parola catline ed un possibile termine nautico (‘line’ in inglese significa anche ‘gomena’) non sia in realtà mai stata supportata da alcuna fonte storica, come sottolineato da diversi altri ricercatori.46
Ricordiamo qui che l’ipotesi della struttura a gomena fu, negli anni ‘90 del secolo scorso, rifiutata dallo stesso Segerman il quale, avendo realizzato che la vihuela poteva ‘permettersi’ i bassi in unisono (ipotesi oggi contrastata da mie recenti ricerche) considerò da quel momento valida una possibile connessione del termine catline con la Catalogna.
Proprio la Catalogna fu invero nel passato un centro produttivo di corde di budello, ma, ancora una volta, non esistono affatto evidenze storiche che supportino questo legame linguistico. Si sa invece che la Spagna importava da Monaco ingenti quantità di costose corde armoniche.47
In realtà, quel poco che sappiamo delle ‘Catlines’ è che furono fabbricate in Italia intorno all’area Bolognese, mandate a Venezia (e questo spiega la dicitura Venice Catlins di Dowland) e da qui spedite poi in Inghilterra. Non sappiamo però come gli italiani chiamassero questo tipo di corda e soprattutto i dettagli tecnici di come venissero realizzate.
Ecco ora, nella lista che segue, il rias sunto di tutto quello che considero lontano sia dalle evidenze storiche che dalla mera funzionalità dello strumento.
- Può un liuto lavorare con tensioni di 0-1.5 Kg? Poco probabile (provate da voi calando di 9-11 semitoni la frequenza delle corde del vostro strumento).
- E’ possibile ottenere un cantino di budello da 0,26-0,32 mm? No, non è possibile: non esistono – in base alla mia esperienza – ovini che possano produrre questo diametro partendo da un singolo budello
- Corde basse in budello con superficie nodosa come una fune furono mai menzionate nelle fonti storiche? No, non esiste alcuna evidenza e sarebbe comunque stato descritto nei trattati e visibile nell’iconografia. Mersenne è un buon esempio: egli scrive che le corde metalliche più grosse per la Cetra si ottenevano prendendo un lungo filo che si piegava nel mezzo e le due metà si torcevano assieme come per realizzare una fune. Inoltre specifica che questa operazione aveva la finalità di ottenere una sonorità migliore e più Nel caso delle corde di budello invece non descrive questo metodo bensì il fatto che venissero tutte levigate fino al liscio per mezzo di un’erba abrasiva.
Vi è in questa evidenza un ulteriore fatto interessante: Mersenne è ben consapevole, e lo scrive, che una corda intreccia ta come una fune produce un suono migliore rispetto ad una derivante da un filo semplice. Nonostante questa sua consapevolezza, tale tecnica, nel caso delle corde di budello, non è menzionata anche se riteniamo che fosse utilizzata, ma non partendo da due corde secche già realizzate. Dubito però che Mersenne abbia mai visitato una corderia del suo tempo.
Le attuali corde di budello intrecciate come una fune sono potenti abbastanza da coprire e confondere la sonorità di quelle superiori? Assolutamente no: basta provare (facendo però il test con uno strumento a tratta corta come quello di ‘Gaultier l’inglese’ e usando delle corde di budello, visto che le fonti storiche a questo si riferiscono).
I bassi dei liuti furono corde nodose come funi ottenute intrecciando su se stessa una lunga corda dei ‘medi’ che sia stata prima piegata nella sua metà? Le fonti maggiormente dettagliate del XVII secolo concernenti le corde del liuto48 descrivono tre tipologie base: Treble; Mean; Bass. I ‘bassi’ furono chiamati: ‘Lyons’, ‘Venice Catlines’, ‘bassi di Norimberga e Strasburgo’, ‘i rosso cupo Pistoys’. Se questa ipotesi del ricercatore Besnainou fosse valida dovremmo aspettarci che il terzo sort di corde, i ‘bassi’ cioè, non esista: si dovrebbero infatti ottenere in situ intrecciando su se stessa una lunga corda adatta ai mean. Non dovremmo inoltre aspettarci alcun nome proprio per questi bassi, come invece, al contrario, accadde. Infine dovremo trovare da qualche parte menzione del fatto che il liutista dovesse ritorcere da se le corde per i bassi e trovare traccia del ‘torcitore da casa’ che sarebbe necessario a compiere questa delicata operazione: nulla di tutto questo è mai stato descritto dalle fonti storiche.
Esistono dipinti o altre fonti storiche che evidenziano uno speciale modo di fissare le corde al ponticello dopo aver separato tra loro i due trefoli49 con cui è normalmente realizzata una corda fatta come una fune/gomena come ipotizzato da Charles Besnainou? No, almeno per quanto ne sappia io.
Ecco da questi pochi esempi quello che in realtà possiamo osservare. (Figg. 45-49)
Fig. 46: LAURENT DE LA HYRE, Allegoria della Musica, 1649, Metropolitan Museum, New York. Dettaglio del ponticello.

- I trattati del tempo hanno mai menzionato l’esistenza di uno speciale attrezzo utilizzato dai liutisti per ritorcere da se le corde dei bassi? Secondo le mie informazioni non risulta.
- Esiste una qualche evidenza storica che porti a ritenere che ci fosse un legame tra il termine Catline/Catlins e la Catalogna? Oppure tra lo stesso termine e la gomena marina? Secondo le mie informazio ni
B) Non esiste alcuna testimonianza diretta proveniente dai cordai del tempo che le corde di budello dei bassi del liuto venissero appesantite
Le nostre considerazioni:
Se non si considera come attendibile l’idea che il budello fosse in qualche modo ‘densificato’, come spiegare il perché dei sottili fori dei ponticelli e della concomitante notevole potenza acustica manifestata dai bassi del tempo? Tuttavia è vero che non esiste alcuna testimonianza diretta da parte dei cordai del tempo riguardo ad una possibile tecnica di appesantimento del budello (una ricetta, uno scritto, una testimonianza ecc). Come a dire il vero non esiste in realtà alcuna informazione diretta, tramandata dai cordai del XVI, XVII secolo, concernente la loro arte in generale, non solo in merito alla tecnologia delle corde gravi.
In particolare non esiste alcuna testi monianza diretta dei cordai che alcune tipologie di corde in budello fossero realizzate come le funi. Abbiamo solo la segnalazione negli inventari delle botteghe di artigiani romani della presenza degli orditori, che sono torcitori a tre o quattro ganci atti a realizzare funi, ma è vero anche che i cordai di allora (e fino a pochi decenni fa), producevano corde con destinazione diversa da quella musicale, come ad esempio per battere il cotone, per cinghie di tra smissione e anche per il tennis.50
La verità sta nel fatto che l’attività cordaia fu sempre altamente preservata e secretata. Nulla fu divulgato all’esterno e tantomeno furono scritti libri o trattati in merito. Chi parlava o frodava veniva duramente punito mediante galera o fustigazione e ai discendenti era vietato fare corde per alcune generazioni.
In realtà, come abbiamo già visto, esiste una certa quantità di evidenze indirette che possono fornirci egualmente, con buo na probabilità, una panoramica di come le cose andassero.
Ecco un esempio dell’importanza delle evidenze di natura indiretta: il pianeta Plutone fu scoperto non tanto perché lo si vedesse direttamente al telescopio ma in virtù delle anomalie gravitazionali che esso induceva sul ‘vicino’ pianeta Urano. In base ai calcoli si arrivò dunque alla con clusione che non solo un tale pianeta esistesse ma si riuscì a determinarne anche massa ed orbita. Esso fu visto direttamen te al telescopio soltanto dopo una cinquantina di anni. Nonostante l’assenza della prova diretta gli astronomi sapevano tuttavia perfettamente della sua esistenza.51 Questo è una caso di evidenza indiretta che diventa una evidenza diretta gra zie ai calcoli matematici (come avviene per il requisito n.1 circa i fori nei ponticelli originali dei liuti).
Ciò detto, vorrei rimarcare come fatto d’interesse per la nostra discussione la presenza di barili di colla animale descritti negli inventari delle botteghe cordaie romane del Seicento: «Un barilozzo con dentro libbre 30 in circa di colla cerviona».52 Va opportunamente sottolineato che la colla non viene mai utilizzata/menzionata nella manifattura tradizionale delle corde di budello mentre assume un certo ruolo oggigiorno se si effettuano operazioni di carica minerale: dunque, a cosa servivano quei ‘barili di colla’ in una corderia?
Si registra anche la presenza di recipienti contenenti liquidi/vernici dal colore rosso. Naturalmente non possiamo qui affermare con certezza che si tratti di ma teriali utilizzati per la carica del budello.53 Come abbiamo prima accennato, l’incorporazione di composti insolubili quali ossidi, solfuri, metalli in polvere ecc. in sete, tessuti, carta, cera, legno, pelli ed al tro fu una pratica molto comune al tempo. Pertanto, l’idea di addizionare cariche pesanti al budello rientra perfettamente nella mentalità delle persone vissute nel XVI e XVII secolo. Per certi versi, questo tipo di procedura è molto simile alle operazioni di tintura della seta, con le quali, utilizzan do determinati prodotti di natura metalli ca, si otteneva anche un concomitante no tevole aumento di peso.
In diversi documenti del tempo si spiega, ad esempio, come incorporare del cinabro o del litargirio, o qualcosa di simile, come il minio di piombo, in materiali come cera, seta, cotone, legno, pelle, tessuti, tappeti, carta, pietra, prodotti medicali, inchiostri, vernici e così via, non esclusi persino alimenti!54 (Figg. 50, 51)


Come affermato in precedenza, sino ad oggi non è mai stata ritrovata una qualche ‘formula segreta’ dei cordai occidentali operanti nel Seicento; mi hanno tuttavia di recente segnalata una cosa molto interessante: la pratica di incorporare simili sostanze sembra fosse utilizzata dagli antichi cordai cinesi nella realizzazione delle corde per il Guquin (si usavano allo scopo polveri di ceramica, oro, argento, rame ecc.). Questa, se definitivamente provata, sarebbe un’evidenza di natura diretta, anche se riguardante l’Oriente.55
A) Le corde gravi appesantite fatte oggi non sono trasparenti alla luce (viene supposto che quelle del passato lo fossero)
Ephraim Segerman ritiene che l’idea di appesantire il budello per le corde gravi del liuto non possa essere un’opzione storica per il fatto che le corde così come oggi realizzate risultano opache alla luce. Questo ricercatore si riferisce in particolare all’osservazione di John Dowland riportata dal figlio Robert.
È necessario però precisare che i riferimenti riguardo alla possibile trasparenza/ translucenza dei bassi risulta circoscritta esclusivamente a quanto scrisse Dowland nel suo Varietie of lute-lessons.56 In altri testi come il Burwell Lute Tutor, quelli di Mace e Mersenne non esiste nulla che tratti la ‘trasparenza’ delle corde gravi in budello: non è possibile pertanto estendere quanto rilevato da Dowland anche ai bassi da lui mai menzionati, vale a dire i Lyon e/o i Pistoy.
Ma vediamo ora i passaggi più salienti. Dowland dice: (Fig. 52)

Now because Trebles are the principall strings wee neede to get, choose them of a faire and cleere whitish gray, or ash-colour, and take one of the knots.57
Egli afferma così che i Treble (i cantini) sono davvero buoni quando si presentano trasparenti chiari o anche grigiastri ma comunque sempre trasparenti alla luce.
Proseguendo dice:
This choosing of strings is not alone for Trebles, but also for small and great Meanes: greater strings though they be ould are better to be borne withall, so the colour be good, but if they be fresh and new they will be cleere against the light, though their colour be blackish.58
Qui Dowland estende lo stesso criterio estetico dei treble alle corde dei piccoli e grandi mean specificando che, sebbene siano corde più grandi, devono presentarsi egualmente trasparenti controluce.
Ora Dowland continua descrivendo le corde colorate ma in riferimento soltanto ai mean e ai treble:
Some strings there are which are coloured, out of which choose the lightest colours, viz. Among Green choose the Seawater, of Red the Carnation, and of Blew the Watchet. Now these strings as they are of two sorts, viz. Great and Small: so either sort is pact up in sundry kindes, to wit, the one sort of smaller strings (which come from Rome and other parts of Italy) are bound up by certaine Dozens in bundels; these are very good if they be new, if not, their strength doth soone decay: the other sort are pact up in Boxes, and come out of Germany: of these, those strings which come from Monnekin and Mildorpe, are and continue the best. Likewise there is a kinde of strings of a more fuller and larger sort then ordinary (which we call Gansars). These strings for the sizes of the great and small Meanes, are very good, but the Trebles are not strong. Yet also there is another sort of the smaller strings, which are made at Livornia in Tuscanie: these strings are rolled up round together, as if they were a companie of horse hayres. These are good if they be new, but they are but halfe Knots. Note there is some store of these come hither lately, and are here made up, and passe for whole Knots.59
Quindi descrive finalmente i Bassi:
For the greater sorts or Base strings, some are made at Nurenburge, and also at Straesburge, and bound up onely in knots like other strings. These strings are excellent, if they be new, if not, they fall out starke false. The best strings of this kinde are double knots ioyned together, and are made at Bologna in Lumbardie, and from thence are sent to Venice: from which place they are transported to the Martes, and therefore commonly called Venice Catlines.60
Il punto controverso è il seguente: Segerman ritiene che la frase dopo i due punti
but also for small and great Meanes: greater strings though they be ould are better to be borne withall
sia riferita ai bassi (che dovrebbero essere trasparenti alla luce). Le mie osservazioni in proposito sono le seguenti:
- Quando Dowland comincia a trattare dei bassi realizza una netta separazione con la descrizione dei mean mediante il punto di fine frase. Dei bassi non descrive l’aspetto fisico. Di conseguenza la trasparenza è espressa esclusivamente rispetto ai treble e ai mean. Questi ultimi, anche se sono più spessi, devo essere parimenti trasparenti/translucenti come i
- Quando descrive un sort di corde (come fa anche Mace) egli utilizza sempre la lettera maiuscola (ad esempio: Trebles, Meanes, Basses). Non è invece il caso di quando scrive greater strings, nel passaggio citato qui sopra, dove in realtà si sta ancora riferendo alla categoria che precede il segno dei due punti, cioè i mean. Tale segno serve appunto per questo specifico scopo e non per cambiare argomento, per la qual cosa utilizza invece coerentemente il segno del punto fermo.
- Sempre in tema di trasparenza vale comunque la pena di sottolineare che anche una corda in budello non caricata e di un certo spessore non è mai trasparente bensì opaca, specialmente poi se è stata anche tinta: questo fenomeno accade perché quando una corda di budello risulta molto ritorta, le micro fibrille non si ‘fondono’ strettamente tra loro ma realizzano micro sacche di aria che rompono la conti nuità ottica. La sola corda dotata di una certa trasparenza è quella realizzata in ‘bassa torsione’ che però, essendo molto rigida, non può avere alcun impiego come corda per i bassi.
Considerazioni finali
La domanda è banale: perché i liutai del tempo non hanno semplicemente fatto i fori del ponte di diametro maggiore? Non è necessario essere laureati alla Sorbona per eseguire questo tipo di intervento; molti oggi lo fanno già nel caso intendano montare dei bassi in puro budello. Un motivo logico deve assolutamente esserci, e questo sarà per forza di cose insito in qualche caratteristica saliente delle corde gravi utilizzate allora.
I più importanti trattati per liuto scrivono che le corde del nostro strumento devono presentarsi tra loro con lo stesso feel di tensione sotto le dita. Con diametri cosi sottili (richiesti dai fori dei ponticelli storici) come sarebbe possibile garantire un feel omogeneo di tensione tra tutte le corde? Tensioni di lavoro così basse determinerebbero la necessità di avere cantini talmente sottili (diametri inferiori a 0,36 mm) che nessun singolo budello di agnello al mondo sarebbe in grado di sostenerli.
Ancora: come è possibile che al tempo esistessero corde per i bassi in puro budello così potenti e sonore (come descritto dalle fonti) visto che l’esperienza diretta dimostra che una corda di minugia, anche se ritorta a gomena, non possiede affatto tali requisiti acustici?
A volte è piuttosto difficile comprendere alcune ipotesi decisamente complicate, illogiche ed anche lontane da quello che troviamo scritto nelle fonti storiche. Perché, dovendo andare da Milano a Roma, invece di prendere l’autostrada ci si dovrebbe recare a Londra, poi a Shanghai, poi a New York e infine a Roma dichiarando infine che questa è la strada più logica e più breve?
Il motivo più verosimile è la difficoltà di confrontarsi con la banale evidenza (mai considerata prima di noi da diversi ricercatori) dei fori così stretti nei ponticelli dei liuti sopravvissuti e della conseguente impossibilità di suonare con un solo chilogrammo di tensione se non meno; di confrontarsi con l’impossibilità tecnica di ottenere da un budello intero di agnello un diametro inferiore a 0,36 mm e, infine, con l’impossibilità di ottenere quella potente resa acustica, di cui si parla nei principali trattati del tempo, con una normale corda di budello che non sia stata ‘densificata’, ovvero caricata.
Ad esempio non ci sembra una soluzione logica (né storicamente verificata) avanzare l’idea che i bassi fossero realizzati dal liutista stesso utilizzando una lunga corda adatta ai mean opportunamente piegata a metà e ritorta su se stessa, direttamente sullo strumento, per mezzo di un attrezzo apposito (visto che a mano libera è un impresa quasi impossibile), ma non prima di aver umidificato la corda, lasciando un tratto di alcuni centimetri non ritorto, in modo che uno dei capi si passi attraverso il foro del ponte per poi annodarsi all’altro capo, sopra il ponte stesso, facendo infine asciugare la corda così realizzata.
Ecco un altro esempio di incongruenza: pur di non riconoscere come valida la teoria dell’appesantimento alcuni ricercatori hanno introdotto l’ipotesi non storicamente confermata che i liuti di allora lavorassero con due diversi gradi di tensione: una più ridotta per i bassi e una più alta per le corde dei mean e dei treble. La verità invece è che tutti i trattati più importanti del nostro strumento hanno predicato fino alla noia l’importanza di avere un feel omogeneo di tensione tra tutte le corde, fino a considerare uno strumento che presenti corde con diverso grado di tensione come uno dei più gravi errori.
Thomas Mace scrive:
The very principal observation in the stringing of a lute. Another general observation must be this, which indeed is the chiefest; viz. that what siz’d lute soever, you are to string, you must so suit your strings, as (in the tuning you intend to set it at) the strings may all stand, at a proportionable, and even stiffness, otherwise there will arise two great inconveniences; the one to the performer, the other to the auditor. And here note, that when we say, a lute is not equally strung, it is, when some strings are stiff, and some slack.61
Sul Mary Burwell lute tutor è scritto (Fig. 53):

[…] when you stroke all the stringes with your thumbe you must feel an even stiffnes which proceeds from the size of the stringes.62
John Dowland ci dà un’ulteriore conferma:
But to our purpose: these double Bases likewise must neither be stretched too hard, nor too weake, but that they may according to your feeling in striking with your Thombe and finger equally counterpoyse the Trebles.63
Secondo alcune ricerche, la maggior parte dei suonatori comincia a percepire una apprezzabile differenza di tensione tra due corde quando questa differenza è maggiore di mezzo tono: entro questo range siamo senz’altro nella condizione di rilevare un eguale feel tattile. Alcuni sono anche più sensibili ma questa è una eccezione rispetto alla statistica. Si conclude che se la differenza di tensione è superiore al mezzo tono il musicista avverte con chiarezza al tatto che lo strumento non è ben bilanciato. Con delle corde basse che lavorassero con tensione pari al 50%, o anche meno, di quella delle corde superiori, tale differenza risulterebbe assolutamente percettibile rendendo lo strumento molto lontano dai requisiti storici prima descritti, rientrando nella condizione di grave errore di montatura descritta da Thomas Mace nel 1678. L’ipotesi che i liuti del passato lavorassero con due diversi gradi di tensione è pertanto non storica oltre che illogica anche dal punto di vista strettamente tecnico/funzionale.
Quale potrebbe essere una valida alternativa all’idea che il budello per i bassi fosse stato appesantito? Pur avendo preso in considerazione qualunque ipotesi, anche la più fantasiosa, non sono mai riuscito a soddisfare tutti i sette requisiti inizialmente esposti derivanti da fondamenti storici.
Se le corde gravi non sono ‘densificate’, la tensione di lavoro diventa drammaticamente bassa per poter essere gestita dalle dita. Si perde quasi del tutto il controllo della qualità acustica finendo in una regione più vicina al rumore che al suono. Non si ha più una sufficiente potenza di emissione (mentre nel passato, come abbiamo visto, la potenza acustica era dichiarata addirittura soverchiante) e, come se non bastasse, subentrano seri problemi di pitch distorsion quando le corde vengono premute sui tasti.
Incredibile come tutto ciò sia scaturito dall’osservazione di un foro!
Vivi felice
Appendice
Le corde e le loro denominazioni
Le corde prodotte nel XVI, XVII e XVIII secolo venivano distinte con un nome che ne caratterizzasse immediatamente la zona di provenienza, a garanzia della loro qualità. Oggi avrebbero una ‘marca’ e la loro diffusione sarebbe affidata a ben altri mezzi.
Questo peculiare aspetto, in un epoca storica in cui non esisteva ancora la tutela del brevetto, spiega la particolare severità con cui le corporazioni cordaie perseguivano le frodi commerciali e gli stessi associati eventualmente sorpresi a frodare. Fornire ai clienti la garanzia assoluta che le corde di Monaco fossero state realmente realizzate a Monaco rimase una priorità assoluta nei secoli in cui il liuto fu suonato. Per ulteriore conseguenza della mancanza di protezione sul frutto dell’ingegno e dell’esperienza di qualsiasi artigiano, le tecniche e gli accorgimenti che ognuno metteva in opera erano coperti dal più rigoroso segreto.
Altro aspetto da sottolineare è la specializzazione produttiva tipica di determinate aree geografiche. In talune zone i cordai si dedicarono, ad esempio, alla produzione di corde gravi mentre in altre producevano cantini arrivando a volumi commerciali davvero incredibili. Firenze (per i bassi) e Roma (per i cantini) costituirono un esempio emblematico. Non si vuole qui affermare in termini assoluti che allora in Firenze non si producessero cantini; si vuole invece sottolineare che se talune zone si sono via via specializzate in determinati filoni ciò accadeva perché in quel settore dovevano in qualche modo aver raggiunto un modello di eccellenza.
Ciò poteva significare quindi che erano riusciti ad ottimizzare meglio di altri una determinata linea di produzione incrementando l’offerta con nuovi prodotti o scoprendo metodi di produzione più efficienti e razionali.
I documenti del Cinque, Sei e Settecento che descrivono nello specifico qualcosa in merito alle corde per gli strumenti a pizzico e ad arco (in numero piuttosto esiguo) riguardano quasi esclusivamente il liuto, che restava lo strumento più difficile da accontentare in termini di montatura. Vi è invece un singolare paradosso che riguarda il Secolo dei Lumi: mentre l’arte cordaia cominciava per la prima volta ad essere descritta con cura dagli enciclopedisti (e così anche alcuni importanti aspetti delle montature per quartetto d’archi, mandolino e soprattutto chitarra a cinque ordini), del liuto, nell’età di Weiss, non si sa praticamente nulla. Il nostro strumento stava ormai in un angolo oscuro della storia che nessuna ‘luce della ragione’ poteva illuminare.
Esaminiamo ora le fonti storiche che riferiscono sulle tipologie e le origini delle corde.
Quattrocento
Non possediamo alcuna indicazione dei nomi di varietà commerciali di corda per liuto.
Cinquecento
La prima menzione di tipologie di corda proviene dal manoscritto del nobile bresciano Vincenzo Capirola.64 Per la prima volta vengono descritte corde di qualità superiore provenienti da Monaco di Baviera e viene indicata una tipologia chiamata ganzer della quale rimane dubbia l’origine del nome (anche se alcune tracce sembrano riportare alla struttura tipica di un cordonetto).65 Capirola purtroppo non specifica se fossero destinate agli acuti oppure ai gravi.
Una seconda fonte storica di nostra conoscenza è curata da Adrian Le Roy e ci informa che le corde migliori erano fabbricate a Monaco (o nei suoi dintorni) oppure nella città dell’Aquila, in Italia:
the best come to us of Almaigne, on this side the toune of Munic, and from Aquila in Italie.66
Dopo questo interessante inizio egli passa poi a descrivere il metodo per distinguere una corda falsa da una buona. Anche Le Roy non presenta alcuna ulteriore informazione circa la posizione a cui son destinate le corde indicate.
Seicento
Il primo documento che finalmente apre uno spiraglio di luce è Variete of lutelessons che ospita il capitolo Of setting the right sizes of strings upon the lute autorevolmente scritto da John Dowland.67
Le corde sono da lui così suddivise:
- Treble (cantini): «from Rome and other parts of Italy», «from Monnekin and Mildorpe» (probabilmente Monaco di Baviera e Meldorf, entrambe in Germania); vengono anche indicate altre corde di misura piccola «which are made at Livornio in Tuscanio».
- Small and Great Mean (medi): Gansars.
- Bass (bassi): «Nurenburge, and also at Straesburge»; Venice Catalines (i bassi migliori: costruiti a Bologna in ‘Lombardia’, secondo Dowland).
Si osserva nello scritto di Dowland una certa tendenza alla confusione quando descrive la tipologia di corda dei mean. Ad esempio non si riesce a capire se le smaller strings fabbricate a Livorno siano corde per i treble o per i mean. Così come non si comprende se le corde colorate appartengano alla classe dei treble o dei mean (o ad entrambe).
A Dowland segue Michelangelo Galilei che il 6 Agosto del 1617 scrive da Monaco al fratello Galileo pregandolo di procuragli «quattro grosse corde di Firenze per suo bisogno et dei suoi scholari». Non conosciamo purtroppo il nome commerciale di questi bassi.
Nel Mary Burwell Lute Tutor leggiamo quanto segue:
The good stringes are made at Rome or about Rome and none that are good are made in any other place except the great strings and octaves that are made in Lyons att Fraunce and noe where else.68
Anche qui nulla di nuovo: come già aveva scritto Mersenne nel 1636,69 si conferma che le corde migliori provengono da Roma. La novità concerne soltanto le corde basse e le relative ottave, fabbricate a Lione.
Thomas Mace ci fornisce in assoluto la fonte più preziosa ed esaustiva.70Anche qui (come in Dowland) le corde sono suddivise in tre tipologie:
Trebles: (1a, 2a, 3a e ottava della 6a):
Minikins;
- Meanes: (4a; 5a e le restanti ottave dei bassi): Venice catlins;
- Basses: Pistoys, Lyons.
Mace descrive anche lui (come Dowland) corde colorate, ma anch’egli non è sufficientemente chiaro sulla loro destinazione (per i treble, per i mean o per entrambi).
Romans, Venice Catlins e Lyons sono nominate ancora nel manoscritto di James Talbot quali corde per il violino e per il basso di violino.71
Settecento
Non possediamo alcuna specifica terminologia di corde da liuto.
In conclusione i nomi dati alle corde per liuto del XVII secolo richiamano sempre la loro zona di provenienza, con due sole eccezioni: le Catlins (o Catlines) e le Gansars. Le prime furono corde fabbricate, almeno ai tempi di Dowland, nel Nord Italia. Non conosciamo tuttavia con che nome gli italiani chiamassero questa tipologia.
Con l’avvento del XVIII secolo i termini Catlins, Catline, Lyons, Pistoys etc. scompaiono del tutto per lasciare posto a denominazioni più generiche come ad esempio ‘corde fabbricate a…’.
Le corde gravi in budello fabbricate dai cordai cedettero il posto ai bassi filati, costruiti ora dai liutai se non (anche se raramente) dagli stessi musicisti.
Note
1 FRANCIS BACON, Sylva Sylvarum, London, 1627. «Per quello che vediamo in una delle corde più gravi di un liuto, essa suona non con la sonorità di quelle acute né un misto tra le due ma solamente con il suono del basso [cioè della fondamentale]».
2 ADRIAN LE ROY, A briefe and plaine Instruction to set all Musicke of eight divers tunes in Tablature for the Lute, London, 1574, f. 33v. «I liuti di nuova invenzione con tredici corde, non sono soggetti a questo inconveniente, dove l’ultimo è messo più basso: il quale secondo la maniera ora descritta è perciò aumentato di una intera quarta».
3 Per approfondire il ‘coefficiente di smorzamento interno’ o, più propriamente, ‘inarmonicità’ della corda, vedere EPHRAIM SEGERMAN, A closer look at pitch ranges of gut strings, «FOMRHI bull.», XL, July 1995, p. 50.
4 Diametro e frequenza sono infatti inversamente proporzionali. DJILDA ABBOTT – EPHRAIM SEGERMAN, Strings in the 16th and 17th centuries, «Galpin Society Journal», XXVII, April 1974, p. 62.
5 Ricardo Branè, architetto e liutaio proveniente dall’Argentina, operò nei pressi di Firenze tra la seconda metà degli anni ’70 gli inizi degli anni ’80 dello scorso secolo. Assieme ad Orlando Cristoforetti, allora docente di Liuto al Conservatorio di Verona, intuì tra i primi che il budello per realizzare le corde gravi del liuto dovesse essere appesantito.
6 Vi erano naturalmente degli strumenti che facevano eccezione, ma questi rappresentano la minoranza.
7 In merito alla ‘giusta’ tensione di lavoro di un liuto in Sol rinascimentale ci si orienta oggi intorno al valore di 3,0 Kg per corda di ciascun coro (2,8-3,1 Kg di range senza contare una possibile scalarità del valore tra ordine e ordine). Si è molto discusso se potesse essere vero anche per il passato. Purtroppo non è stato sinora possibile avere una risposta sia per assenza di documentazione storica diretta sia per il fatto che ci si trova in presenza di una ampia zona territoriale difficilmente eterogenea, vi sono strumenti di taglie diverse e infine standard abitudinari diversi. La recente scoperta di quale range di diametri si ottengono partendo da un singolo budello di agnello (così si realizzavano infatti i cantini romani del Seicento secondo Kircher, 1650) di giovane età ha confermato che nella media anche nel passato lavoravano probabilmente (ma non sicuramente) con range di tensioni ragionevolmente simili alle nostre. Vedere anche: MIMMO PERUFFO, Messer
Vincenzo Capirola e il segreto per legare le corde del liuto: considerazioni. Attanasio Kircher e i cantini del liuto: test pratici e risultati, «Il Liuto», XII, Maggio 2016, p 15-25; EPHRAIM SEGERMAN, String tension on Mersenne’s lute, «FOMRHI bull.», XI, April 1978, p. 65.
8 MIMMO PERUFFO, The mystery of gut bass strings in the sixteenth and seventeenth centuries: the role of loadedweighted gut, «Recercare», V, 1993, pp. 115-51. MIMMO PERUFFO, New hypothesis on the construction of bass strings for lutes and other gut strung instruments, «FOMRHI bull.», LXII, January 1991, pp. 22-36. MIMMO PERUFFO, On Venice Catlins, Lyons, Pistoy basses and Loaded- weighted bass gut strings, «FOMRHI bull.», LXXVI, July 1994,
- 72-84.
9 A proposito delle indagini compiute nel 2005 su alcuni dei liuti conservati presso l’abbazia di Kremsmünster si veda: https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Kremsm%C3%BCnster
10 EPHRAIM SEGERMAN, On Historical lute Strings Types and Tensions, «FOMRHI bull.», LXXVII, October 1994,
- 54-57.
11 La densità media di una corda simile ad una fune nodosa (Fig. 12) è minore, a causa della struttura fisica meno compatta ed omogenea, di una liscia. (Fig. 13) Si veda anche DJILDA ABBOTT – EPHRAIM SEGERMAN, Catline strings, «FOMRHI bull.», XII, July 1978, pp. 26-29.
12 Ritorte. Le attuali corde tipo gimped sono prodotte dalla ditta americana Gamut di Dan Larson.
13 ROBERT DOWLAND, Varietie of lute-lessons, London, 1610. Vedere il breve trattato di John Dowland, ivi contenuto, intitolato Other necessary observations belonging to the lute (pp. 13-18) e il paragrafo Of setting the right sizes of strings upon the lute, p. 14. Venice Catlins, Pistoys e Lyons sono i nomi commerciali con cui venivano chiamate le più rinomate corde gravi in puro budello tra il tardo Cinquecento e tutto il Seicento.
14 JOHANNES TINCTORIS, De Inventione et Usu Musicae, 1487 ca., p. 22. Mia traduzione dal latino. «Non omni composito cantui suppetebant: quinque et aliquando sex principalium ordinario ea subtilitate a posteris (ut reor). Germanis inventa est: ut duabus mediis ad ditonum: ceteris vero ad diatessaron temperatis: lyra sit perfectissima. Quin utium fortiorem habeat sonum: cuilibet istarum chordarum una conjungitur : que ei (excepta duntaxat prima) ad diapason conteperatur.»
15 SEBASTIAN VIRDUNG, Musica Getutscht, Basel, 1511.
16 VINCENZO GALILEI, Fronimo Dialogo, Firenze, 1584, p. 105.
17 The Mary Burwell Lute Tutor (manoscritto, ca. 1668-1671), GB-Lam614, London Academy of Music, London. Capitolo 4, Of the strings of the lute […], ff. 7r-8r.
18 THOMAS MACE, Musik’s monument, London, 1676.
19 Queste due affermazioni sono tratte da The Mary Burwell Lute Tutor, cit.. «[…] anche per la confusione che la durata del suono produce […] ogni suono del basso produce confusione con ogni corda […]»; «[…] i maestri del liuto hanno tirato via la corda più grossa perché il suo suono è troppo lungo e copre quello 19 delle altre».
20 Vale a dire l’eccessiva esuberanza acustica e persistenza di suono dei bassi.
21 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66. «Questo inconveniente lo si ritrova nei liuti francesi quando le loro teste sono fatte troppo lunghe, come qualcuno desidera avere […]».
22 M. BIZZARINI, Marenzio: La carriera di un musicista tra Rinascimento e Controriforma, Coccaglio, 1998, p. 40. Lettera del 26 febbraio 1581 di Giulio Cesare Brancaccio, indirizzata al cardinale Luigi d’ Este, concernente l’acquisto di un liuto come dono per il fratello Alfonso d’ Este.
23 Si veda la nota 1.
24 Testo attribuito al poeta inglese Edward Benlowes (1603-76) da FRANK EYLER in Sur l’employ des cordes en boyau, «Musique Ancienne», XV, Janvier 1983, pp. 29-31. Pur estrapolati dal contesto, i versi indicano quanto fosse ricco e pieno il suono di queste corde: «[…] continuando a pizzicare le Catline dal grave suono, finché un roco basso rimbombante non riempie la stanza […]».
25 Come suggerito da J. Dowland, dal Burwell Lute Tutor e da T. Mace. Vedere anche: https://aquilacorde.com/blog/musica-antica-blog/equal-tension-equal-feel-alcuni-chiarimenti-utili-per-i-nostriclienti/; EPHRAIM SEGERMAN, Strings thorough the ages, «The Strad», part 1, January 1988, pp.20-34; part 2 (Highly strung), March 1988, pp.195-201; part 3 (Deep tensions), April 1988, pp.295-299.
26 Vale a dire che siamo a meno di 1,5 Kg per corda.
27 Il dato è ricavato dalla nostra attività di corderia per la quale si utilizza come materia prima del budello intero di agnello. Questo nostro riscontro nella pratica cordaia di ogni giorno va a confermare quanto descritto da altri come ad esempio FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766,
2a edizione, vol IX, Desaint, Paris 1786, pp. 514-9 (Chapire XXII: Du travail des Cordes à boyaux […] on ne metque deux boyaux ensemble pour les petites cordes de mandolines […] ovvero «Lavorare le Corde di budello […] per le corde piccole dei mandolini si mettono insieme soltanto due budelli […]») e dal Conte GIORDANO
RICCATTI, Delle corde, ovvero fibre elastiche, Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna 1767, p. 130. In estrema sintesi: con 3 budelli interi di agnello si ottiene un range di diametri pari a 0,65-0,75 mm. In proporzione, con un singolo budello intero si ottengono 0,35-0,45 mm di diametro.
28 Si veda ATHANASIUS KIRCHER, Musurgia universalis, Roma, 1650, Liber VI, Caput II, p. 476. (Fig. 18) Nella Roma della metà del Seicento la prima corda del liuto si otteneva a partire da un singolo budello intero di agnello. Era infatti severamente proibito tagliare in strisce l’intestino di ovino destinato a far corde musicali. Vedi anche MIMMO PERUFFO, Messer Vincenzo Capirola e il segreto per legare le corde del liuto: considerazioni. Attanasio Kircher e i cantini del liuto: test pratici e risultati, «Il Liuto», rivista della Società del Liuto. Maggio 2016, pp. 15-25.
29 DOWLAND, Varietie, cit.
30 DOWLAND, Varietie, cit.; Mace, Musik’s monument, cit., pp. 65-6. Vedere ad esempio il celebre ritratto del tiorbista Girolamo Valeriani d eseguito dal pittore Ludovico Lana: https://commons.wikimedia.org/wiki/ File:Lana_Ritratto_di_Girolamo_Valeriani.jpg
31 Si veda il paragrafo delle ‘Considerazioni finali’.
32 PATRIZIO BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings 1550 1950, in «Galpin Society Journal», LIX, 2006, pp. 176-177. Si riportano notizie tratte da UGOLINO DA ORVIETO, Declaratio musicae disciplinae, Liber quintus, Capitulum IX: De cordarum seu nervorm instrumentalium subtilitate et grossitie, 1430-40 ca., il testo è interamente riportato su http://www.chmtl.indiana.edu/tml/15th/UGODEC1A_TEXT.html
33 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., pp. 159-162.
34 VINCENZO CAPIROLA, Compositione di meser Vicenzo capirola gentil homo bresano, ms., Newberry Library, Chicago, 1517 circa.
35 VINCENZO GALILEI, Fronimo Dialogo, II edizione, Venezia, 1584, p. 102.
36 CHARLES BESNAINOU, Les cordes et leurs mysteres, «Tablature, Revue de la Société Française du Luth», Juillet 1987.
37 MARIN MERSENNE, Harmonie Universelle, Livre Second, Des Instruments, Paris, 1636, p. 51.
38 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.
39 MICHAEL PRYNNE, James Talbot’s Manuscript: IV, Plucked strings. The Lute family, «The Galpin Society Journal», XIV, 1961, pp. 59-60.
40 Burwell Lute Tutor, cit., ff. 7r-8r.
41 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.
42 Sulla manifattura delle corde basse per la cetra diverse fonti storiche riferiscono che erano ottenute intrecciando assieme due fili metallici. Ad esempio MERSENNE, Harmonie Universelle, cit., pp 98-99: «[…] dans la quelle la plus grosse chorde di 3, & du 4 rang. Est tortillèe, & faites d’une chorde redoublèe & plièe en deux, a fin de faire des sons plus remplis & plus nourris.» ovvero «[…] le corde più grosse del terzo e del quarto ordine sono fatte con una corda di doppia lunghezza piegata a metà e intrecciata poi su se stessa così da ottenere un tono più pieno […]». La mia traduzione è tecnicamente precisa pur non essendo letterale. Vedere anche: BACON, cit.; PIERRE TRICHET, Traité des instruments de musique, manoscritto (Ms 1070), 1640 ca., Bibliothèque Sainte-Geneviève, Paris.; JOHN PLAYFORD, A Booke of New Lessons for Cithern, London, 1652; PRYNNE, Talbot’s Manuscript, (1695 ca.), cit.
43 Secondo MICHAEL PRAETORIUS (Syntagma Musicum, II parte De Organographia, Wolffenbüttel, 1619) si tratta di una viola a metà tra un basso e un tenore quindi uno strumento ben distino dai precedenti.
44 Vedere ad esempio le ricette di ALESSIO PIEMONTESE, I secreti, Venezia, 1555, ristampa del 1603, pp. 141, 182.
45 BESNAINOU, La fabrication des cordes, cit.
46 FRANK EYLER, The modern Venice Catlines reconsidered, Lute Society of America Bull., August 1986; EPHRAIM
SEGERMAN, More on the name ‘Catline’, «FOMRHI bull.», LXXVI, July 1994, p. 85; https://www.fomrhi.org/
uploads/bulletins/Fomrhi-076.pdf; STEPHEN BONTA, Catline Strings Revisited, «Journal of the American
Musical Instrument Society», XIV, 1988.
47 EPHRAIM SEGERMAN, Historical background to the strings used by catgut-scarpers, «FOMRHI bull.», April 1976, Comm 15, pag 42.
48 DOWLAND, Varietie, cit., pp. 13-14; Burwell Lute Tutor, cit., ff. 7r-8r; MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.
49 Viene chiamato ‘trefolo’ ciascuno dei fili intrecciati assieme per costituire una corda.
50 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit.; Mersenne, Harmonie Universelle, cit.
51 A proposito del pianeta Plutone si può consultare anche https://en.wikipedia.org/wiki/Pluto
52 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., p. 97.
53 BARBIERI, Roman and Neapolitan gut strings, cit., p. 97.
54 GIOVANVENTURA ROSSETTI, Plichto de l’arte de tentori che insegna tenger pani, telle, banbasi et sede si per larthe magiore come per la comune, Venezia, 1568. (Fig. 50) Agli inizi della ricerca presi in considerazione la carica della seta mediante l’uso di polveri metalliche/ossidi/solfuri come possibile strada seguita dagli antichi cordai. Queste procedure erano infatti perfettamente note ai tintori già dal Medio Evo. Questa idea è stata abbandonata dopo breve per i seguenti motivi: 1) La seta effettivamente aumenta di peso ma in concomitanza si riscontra anche un certo aumento del suo volume: in altre parole la densità non aumentava più di tanto. 2) Tutte le fonti del XVI e XVII secolo che si riferiscono ai bassi del liuto descrivono soltanto il budello, mai la seta.
55 C’è stato in proposito uno scambio di comunicazioni personali con lo studioso Peter Pringle, che non ha purtroppo avuto seguito.
56 DOWLAND, Varietie, cit., p. 13.
57 DOWLAND, Varietie, cit., p. 13. «Ora poiché i Treble sono le corde principali noi abbiamo bisogno di averle scegliendo quelle più chiare e trasparenti alla luce, o di un grigio chiaro o di colore cenere prendendone una dal mazzo».
58 «Questo modo di scegliere le corde va bene non solo per i cantini, ma anche per le corde mediane grandi e piccole: le corde più grosse, anche se sono vecchie, sono comunque tollerabili, purché di bel colore, ma se sono fatte di recente e mai usate saranno chiare in controluce, anche se di colore nerastro».
59 «Alcune corde sono colorate, tra queste scegli i colori più leggeri; ad esempio tra i verdi scegli l’acquamarina, del rosso l’incarnato, del blu quello colore cielo. Queste corde sono di due tipi, vale a dire grosse e sottili. Entrambe sono impacchettate nella stessa maniera. La varietà delle corde più sottili (le quali vengono da Roma e altre zone d’Italia) sono in mazzi di dozzine; queste sono molto buone se sono nuove, se non lo sono la loro resistenza decade rapidamente. L’altra varietà è confezionata in scatole e provengono dalla Germania. Di queste, quelle che provengono da Monaco (di Baviera) e Mildorpe (?) sono e continuano ad essere le migliori. Allo stesso tempo vi è un tipo di corde più piene e più grosse delle ordinarie (che chiamiamo Gansars). Queste corde per le misure dei grossi e piccoli Mean sono molto buone, ma come Cantini non sono forti. Cè un’altra varietà di corde sottili che è prodotta a Livorno, in Toscana: queste corde sono arrotolate assieme come se fossero dei crini di cavallo. Queste sono buone se nuove però non sono altro che metà mazzo. Notare che alcuni negozi che hanno ultimamente di queste corde le passano invece come se fossero di un mazzo intero».
60 «Per la più grande varietà di corde per i bassi, alcune sono fatte a Norimberga e anche a Strasburgo, e sono arrotolate in mazzi come le altre corde. Queste corde sono eccellenti se sono nuove altrimenti peggiorano e diventano false. Le migliori sono però avvolte in doppio mazzetto e sono fatte a Bologna in Lombardia e quindi da lì spedite a Venezia da cui vengono poi mandate alle fiere e perciò vengono chiamate comunemente Venice Catlines».
61 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66. «Esiste una osservazione principale sul montare le corde di un Liuto. Un’altra osservazione generale, che sarebbe veramente la principale; cioè qualunque dimensione di liuto si abbia si deve accordarlo (al tono che uno intende) e le corde devono tutte realizzare una proporzionale e omogenea rigidità altrimenti si hanno due inconvenienti: uno per il suonatore e l’altro per chi ascolta. E qui nota che stiamo dicendo che un liuto non è equamente bilanciato quando alcune corde sono troppo tese e altre molli».
62 Burwell Lute Tutor, cit., f. 7v. «[…] Quando si percuotono tutte le corde con il pollice si deve sentire una tensione omogenea tra le corde delle diverse dimensioni».
63 DOWLAND, Varietie, cit., p. 14. «Per i nostri propositi: questi doppi bassi allo stesso tempo non devono essere troppo tesi o troppo deboli ma devono essere, in base alla sensibilità del tuo pollice e delle altre dita, equamente contrapposti ai Treble».
64 CAPIROLA, cit., f. 3v.
65 Cfr. DENIS DIDEROT – JEAN D’ALEMBERT, Encyclopedie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, vol. II, Paris, 1751 ; vi si può leggere la voce «GANSE, (Manufact. en soie) petite poignée de gavassines, auxquelles les lacs sont arrêtés, & que la tireuse attache avec une corde. Faire les ganses, c’est arrêter la même poignée de gavassines, afin que tous les lacs ne tombent pas sur la main de la tireuse.» O ancora «GANSE, f. f. (Rubanier) espece de petit cordounet d’or, d’argent, de soie ou de fil plus ou moins gros, rond, & même quelquefois quarrée, qui se fabrique sur un oreiller ou coussin avec des fuseaux, ou sur un métier avec la navette […]». «GANSE [cordoncino], (prodotto in seta), fascetta di funicelle, alle quali sono fissati i lacci, e che la tiratrice lega con una corda. Fare i cordoncini, significa fissare la fascia di funicelle, affinché tutti i lacci non cadano sulla mano della tiratrice.»; «GANSE, f. femm. (rel. alla manifattura dei nastri) specie di piccolo cordonetto d’oro, d’argento, di seta o di filo più o meno grosso, rotondo, e persino talvolta quadrato, che si fabbrica su un guanciale o cuscino con dei fusi, o su un telaio con la spola […]».
66 LE ROY, A briefe and plaine Instruction, cit., f. 60v; «le migliori ci vengono dalla Germania, dalle parti di Monaco, e da L’Aquila in Italia».
67 DOWLAND, Varietie, cit., p. 14.
68 Burwell Lute Tutor, cit., f. 7. «Le corde buone sono fatte a Roma o nei dintorni di Roma e nessuna di quelle buone è fatta in altri posti eccetto per le corde più grosse e le ottave che sono fatte a Lione in Francia».
69 MERSENNE, Harmonie Universelle, cit., p. 3.
70 MACE, Musik’s monument, cit., pp. 65-66.
71 ROBERT DONNINGTON, James Talbot Manuscript, II. Bowed strings, «Galpin Society Journal», III, 1950. p. 30.
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ad diapason conteperatur.»
Capitulum IX: De cordarum seu nervorm instrumentalium subtilitate et grossitie, 1430-40 ca., il testo è interamente riportato su http://www.chmtl.indiana.edu/tml/15th/UGODEC1A_TEXT.html
uploads/bulletins/Fomrhi-076.pdf; STEPHEN BONTA, Catline Strings Revisited, «Journal of the American Musical Instrument Society», XIV, 1988.
dal mazzo».
sono fatte di recente e mai usate saranno chiare in controluce, anche se di colore nerastro».
liuto si abbia si deve accordarlo (al tono che uno intende) e le corde devono tutte realizzare una proporzionale e omogenea rigidità altrimenti si hanno due inconvenienti: uno per il suonatore e l’altro per chi ascolta. E qui nota che stiamo dicendo che un liuto non è equamente bilanciato quando alcune corde sono troppo tese e altre molli».
vol. II, Paris, 1751 ; vi si può leggere la voce «GANSE, (Manufact. en soie) petite poignée de gavassines, auxquelles les lacs sont arrêtés, & que la tireuse attache avec une corde. Faire les ganses, c’est arrêter la même poignée de gavassines, afin que tous les lacs ne tombent pas sur la main de la tireuse.» O ancora «GANSE, f. f. (Rubanier) espece de petit cordounet d’or, d’argent, de soie ou de fil plus ou moins gros, rond, & même quelquefois quarrée, qui se fabrique sur un oreiller ou coussin avec des fuseaux, ou sur un métier avec la navette […]». «GANSE [cordoncino], (prodotto in seta), fascetta di funicelle, alle quali sono fissati i lacci, e che la tiratrice lega con una corda. Fare i
cordoncini, significa fissare la fascia di funicelle, affinché tutti i lacci non cadano sulla mano della tiratrice.»; «GANSE, f. femm. (rel. alla manifattura dei nastri) specie di piccolo cordonetto d’oro, d’argento, di seta o di filo più o meno grosso, rotondo, e persino talvolta quadrato, che si fabbrica su un guanciale o cuscino con dei fusi, o su un telaio con la spola […]».
VIDEO - Tra il budello intero di agnello e il nostro sintetico f- Reds: il confronto e le ragioni
Tra il budello intero di agnello e il nostro sintetico f- Reds: il confronto e le ragioni
Leopold Mozart e le sue indicazioni di come scegliere la montatura di corde per il violino
Leopold Mozart suggerisce un metodo originale per scegliere le montature di corda per il violino: quello di appenderle a coppie con due identici pesi: I diametri saranno quelli corretti solo quando, suonate a vuoto, daranno un intervallo di quinta. Se l’intervallo è piu’ ampio, cio’ stà a significare che una delle due è troppo sottile oppure l’altra è troppo grossa e viceversa. Mozart non specifica sia dove questo esperimento deve essere compiuto (sul violino? su una sagoma??) né a quanto devono ammontare i pesi.
Per la verità esiste un precedente del 1690 che è un libro di Serafino di Colco: si potrebbe presumere (ma non dimostrare) che Mozart si stato influenzato dalla lettura di questo testo.
Quanto indicato da Serafino di Colco appare tuttavia valido solo …nella sua testa: lo scrivente ha infatti verificato nel pratico quanto da lui suggerito riscontrando che non porta affatto al risultato indicato: due corde calcolate alla stessa tensione in Kg di un’intervallo di una ottava (quindi 0,60 mm e 1,20 mm) sottoposte agli stessi Kg mediante due pesi agenti non hanno portato affatto ad intervallo di un ottava precisa come uno si aspetta ma di un intervallo maggiore.
Ecco la dimostrazione sperimentale:
Tutto cio’ accade in virtu’ del fatto che corde con diametro diverso sottoposte alla medesima trazione mediante un peso agente si allungano in modo differente: maggiormente per la piu’ sottile. Un allungamento non è altro che la manifestazione di una riduzione di diametro.
Ma per la legge delle corde di Mersenne/Tyler, se una corda diventa piu’ sottile (a parità di densità, lunghezza vibrante e tensione in Kg) la frequenza diventa piu’ acuta.
Come si diceva, due corde di diverso diametro messe in trazione mediante due pesi eguali si allungano in maniera diversa: nel disegno del Di Colco invece osserviamo che tutti e quattro i pesi allungano le quattro corde del Violino (senza manico!) della stessa entità anche se sono con diametri diversi.
Per le leggi della Fisica e da verifica sperimentale questo fatto non è possibile.
Si conclude che la dimostrazione del Di Colco ha valore nullo: risulta fisicamente, matematicamente e sperimentalmente errata.
Torniamo al Mozart: il suo metodo solo apparentemente sembra riferirsi al criterio di calcolo dell’eguale tensione; invece segue squisitamente il criterio dell’eguale feel di tensione come da noi sostenuto.
Vediamo perché
Innanzitutto si fa notare che la scelta dei diametri viene fatta con corde già sottoposte alla trazione sotto due pesi eguali: vale a dire che esse hanno già perso per strada quella percentuale di diametro che si perde a causa del peso agente rispetto invece a quando sono ancora in busta.
Questa è una situazione completamente diversa rispetto al calcolo che si fa oggi, dove i diametri ricavati agli stessi Kg per tutte le corde dello strumento riguardano soltanto quelli della corda imbustata, non riguarda in altre parole la situazione in essere che accade dopo che vengono montate e tirate a tono.
Questa operazione infatti causa una certa perdita di diametro la quale risulta massima per la prima corda, minore per la seconda e quasi nulla per la terza e la quarta (quarta non rivestita, qui si intende). Di conseguenza, una montatura calcolata in eguale tensione in Kg una volta installata produrrà una leggera scalatura inversa del valore di tensione in Kg: la prima avrà minore tensione della terza, giusto per fare un esempio.
Per la legge della fisica due corde presentano lo stesso feel di tensione quando hanno gli stessi Kg ma… ma una volta che sono state poste in trazione.
Prove sperimentali da noi eseguite hanno evidenziato che il Mi Aquila si riduce di circa il 5-6 %; il La del 2% circa; il Re dello 0.1 %. Non abbiamo fatto la prova con un do in solo budello ma certamente la riduzione risulta inferiore a quella de Re. Il risultato cambia di poco a seconda di come sono fatte le corde.
Cosa succede nel caso di Mozart?
Dobbiamo innanzitutto fissare tre parametri da lui non specificati come il valore in Kg dei pesi agenti che sia nel range di quello che accade nella realtà e la lunghezza vibrante: abbiamo scelto quindi 7,0 Kg e 0,33 metri (un valore di tensione compatibile con il Mi e poi proponiamo la lunghezza vibrate del violino); la densità del budello è 1.30. Immaginiamo che stiamo lavorando a corista di 415 Hz; quindi la fdrequenza del Mi corrisponde a 622.2 Hz e il La 415.0 Hz
Ci si potrebbe preoccupare del fatto che abbiamo fissato arbitrariamente il valore dei pesi, la lunghezza vibrante e il corista di riferimento. Ricordo tuttavia che quello che stiamo andando a fare sono misure di natura comparativa, non assoluta. In altre parole questi valori rientrano in una costante.
Lavoriamo sulla corda di Mi e quella di La applicando il principio dell’eguale tensione da calcolo come si fa oggi con diverse montature.
Alla lunghezza vibrante di 0,33 metri, alla tensione univoca di 7,0 Kg e alla densità del budello di 1,3 si ricavano i seguenti valori di diametri i quali, sempre da calcolo, danno l’intervallo esatto di quinta:
Mi : 0,63 mm
La: 0,944 mm
Ma è veramente così? avremo gli intervalli di quinta anche dopo averle messe sotto due pesi uguali seguendo il metodo di Mozart? In fin dei conti non abbiamo fatto altro che applicare l’esatta formula delle corde introdotta dal Mersenne.
Ecco quello che invece accade : come prima detto, sappiamo che la prima corda Mi si riduce di circa il 6% mentre la seconda di circa il 2%.
Quindi una volta che sono entrambe messe sotto 7,0 Kg di peso il Mi perderà il 6% del suo diametro e diventerà quindi in stato di trazione 0,592 mm; il La perderà il 2% del diametro e diventerà in stato di trazione 0,925 mm. se cambia il diametro cambieranno allora anche le frequenze che producono per quella data lunghezza vibrante e tensione. Applichiamo quindi la legge delle corde a questo nuovo assetto di diametri, 7,0 Kg di peso applicato e 0,33 metri di l. vibrante e vediamo:
Sono 663,7 Kz per il Mi e 424, 7 Hz per il La: ma questo non è piu’ un intervallo di quinta.
Se partiamo dal la di 424, 7 Hz un intervallo puro di quinta significa avere 636,3 Hz, non 663,7 Hz. Siamo dunque oltre l’intervallo di quinta.
In pratica siamo nella stessa situazione della nostra verifica sperimentale del Di Colco dimostrata nel nostro video. Oppure in quello che dice Mozart: una delle due corde è leggera. ma non le avevamo invece calcolate con la formula delle corde per dare una intervallo di quinta perfetta essendo tese agli stessi kg?
Come si risolve? Si risolve che per ottenere l’intervallo esatto di quinta tra una corda di Mi e una di La bisogna partire da dei diametri di calcolo teorico mediante la formula delle corde che siano leggermente scalari, non in eguale tensione.
Ecco la soluzione:
la corda di Mi calerà del 6%? Bene, nel calcolo che andremo a fare dovremo compensare la perdita di questo 6% aumentando di quel valore: il diametro da 0,63 dovrà essere 0,63 x 1,06 : 0,668 mm
La corda di La calerà del 2%? Bene, dovremo nel calcolo teorico compensare questa perdita di diametro del 2%: il diametro 0,944 dovrà essere 0,944 x 1,02: 0,962 mm
Cosa capiterà quindi?
Sottoponendo questi due diametri a 7,0 Kg di tensione e 0,33 metri di lunghezza vibrante il La da 0,962 mm si ridurrà a 0,944 mm e darà piu’ o meno esattamente 415 Hz; il Mi da 0,668 mm si ridurrà a 0,63 mm e darà più o meno esattamente 622, 2 Hz: ecco finalmente il nostro intervallo di quinta perfetta ottenuto esattamente come diceva Mozart seguendo ESATTAMENTE la strada che lui suggerisce.
Ma se calcoliamo ora la tensione teorica mediante la formula delle corde con i diametri mi 0,688 e La 0,962 vedremo che essa sarà di natura leggermente scalare:
Sono 7,83 Kg per la corda di Mi e 7,22 Kg per la corda di La.
Si dirà che non sono poi tanti come differenza? Certo ma almeno si è finalmente dimostrato il vero, non la balla della eguale tensione.
Si conclude che la vera interpretazione del metodo suggerito da Leopold Mozart nel 1756 per determinare i giusti calibri di una montatura per violino non è una montatura in eguale tensione secca come oggi ancora la si intende ma una montatura in blanda tensione scalare e che porta all’eguale feel tattile di tensione: la teoria da noi sostenuta.
Vivi felice
Mimmo Peruffo
Il mandolino a 6 e 4 ordini del XVIII secolo: cosa sappiamo delle montature storiche?
di Mimmo Peruffo
Introduzione
Quando si affronta il problema di che tipo di corde utilizzarono i Mandolini a sei e quattro ordini del Settecento la prima cosa che balza agli occhi è la grande eterogeneità che si ritrova in queste montature. L’aspetto che pone maggior difficoltà di comprensione è rappresentato comunque dal fatto di utilizzare, nel Mandolino a 4 ordini napoletano in particolare, un cantino di budello mentre le restanti sono di fili di metallo singolo e metallo intrecciato fino ad arrivare all’utilizzo di corde rivestite su anima di budello o seta per l’ultimo ordine. A completare il quadro, già di per sè eterogeneo, si ha infine anche un mix tra disposizione in unisono e in ottava degli ordini.
Perché si utilizzò un cantino di budello e non una corda di metallo come per gli ordini a seguire e come poi effettivamente accadde nel corso del XIX secolo?
Il quesito è lecito: il carico di rottura medio del budello è infatti di ‘soli’ 34 Kg/mm2, molto più basso rispetto a quello medio del Ferro e dell’Ottone del tempo il quale superava facilmente ì 100 Kg/mm2.
Per capirne il motivo dobbiamo partire prima dal comportamento meccanico e acustico di una corda per cercare capire a seguire quali furono che criteri guida per determinare le lunghezze vibranti degli strumenti musicali a pizzico e ad arco, Mandolino compreso.
Le corde e le loro proprietà
Le corde da musica seguono delle regole che sono riassunte nell’equazione delle corde detta Taylor-Mersenne o anche legge di Hook (anche se il primo a menzionarla fu Vincenzo Galilei intorno al 1580), la quale mette in relazione tra loro frequenza, lunghezza vibrante, diametro e densità del materiale.
All’aumentare del diametro di una corda avviene tuttavia un altro fenomeno non contemplato in questa equazione: in concomitanza di questo incremento avviene anche una parallela e progressiva perdita delle sue performance acustiche sino ad arrivare, oltre certi calibri, a divenire un corda totalmente inutilizzabile.
Questo fenomeno si chiama Inarmonicità e prima dell’avvento delle corde rivestite (seconda metà del sec XVII) fu il principale problema con cui tutti i costruttori di strumenti a pizzico e ad arco e a tastiera (si intende la famiglia del cembalo) dovettero fare i conti. (1)
L’Inarmonicità è dovuta all’aumento della rigidità della corda concomitante all’incremento del diametro; in pratica all’aumentare del calibro si riduce anche il suo cedimento elastico longitudinale e questo capita perché la tensione risulta ora ‘spalmata’ in una sezione più grande.
Tale fenomeno và a determinare chiaramente un limite al numero totale di corde verso il grave che uno strumento può adottare; una scarsa capacità di allungamento, ovvero un elevato Modulo Elastico produce anche una certa indesiderata crescita di frequenza quando questa viene tastata e questo fenomeno è particolarmente evidente negli strumenti la cui lunghezza vibrante sia molto ridotta (pitch distorsion).
Le strade percorribili affinché l’Inarmonicità rimanga limitata facendo sì che la corda suoni ancora ‘bene’ passa pertanto principalmente attraverso il contenimento dell’aumento del diametro (o in alternativa, a parità di diametro, tramite l’aumento della sua elasticità).
Per il nostro fine ci interessano soltanto queste relazioni:
– diametro e lunghezza vibrante sono inversamente proporzionali
– diametro e tensione sono inversamente proporzionali
– diametro e densità sono inversamente proporzionali
Le soluzioni che, a parità di frequenza, possono contribuire alla riduzione del diametro sono pertanto le seguenti:
- Riduzione della tensione di lavoro
- Aumento della lunghezza vibrante
Vi sono altri interventi attuabili, seguiti soprattutto nei casi in cui la lunghezza vibrante rimane immutata:
3. Aumento dell’elasticità della corda (non incide però sulla riduzione diametro)
4. Aumento del peso specifico della corda (incide nella riduzione del diametro)
Il punto 1 è una condizione di esclusiva competenza del suonatore: secondo gli antichi il giusto valore di tensione si ottiene quando le corde non sono troppo tese o troppo molli al tatto. Esiste tuttavia un limite al calo della tensione che non può essere superato altrimenti non solo si perde il controllo della corda da parte delle dita ma anche una perdita di potenza acustica, del suo ‘fuoco’ assieme all’incremento di quello che viene definito comunemente ‘pitch distorsion’.
Il punto 2 dipende solo dal costruttore dello strumento e fu la soluzione adottata sin dal lontanissimo passato per le Arpe, ma anche per gli strumenti a tastiera prima e nelle tiorbe/arciliuti poi.
I punti 3 e 4 dipendono invece soltanto dai cordai: la comparsa delle corde rivestite verso la metà del XVII secolo può essere considerato un buon esempio del punto 4.
Il punto dove un liutaio può dunque agire è soltanto il n°2; dove lunghezza vibrante e diametro sono inversamente proporzionali.
Nel Sei- Settecento il problema dell’Inarmonicità delle corde fu un aspetto ben noto ai liutai: lo si intuisce ad esempio dallo studio delle lunghezze vibranti degli strumenti a pizzico e ad arco sopravvissuti in relazione alla frequenza della prima nota e a un corista di riferimento e dalla regola del tempo di accordare la prima corda al più acuto consentito.
Al fine di ottimizzare al meglio il rendimento acustico di uno strumento musicale fu pertanto seguita dai liutai la condizione di sfruttare la massima lunghezza vibrante possibile per quella data nota assegnata al cantino a quel dato corista indicato dal committente: solo così procedendo le corde possedevano in assoluto il minimo diametro a vantaggio perciò del rendimento acustico globale.
Non si può tuttavia aumentare a piacimento la lunghezza vibrante della prima corda a causa dei limiti imposti dal carico di rottura: esiste pertanto un limite che definiamo Vincolo Superiore.
Allo stesso tempo non è possibile aumentare a piacimento la quantità di corde verso il grave perché esiste al suo opposto un altro limite detto Vincolo Inferiore.
L’estensione di frequenza a vuoto di uno strumento musicale in altre parole risulta recintata all’interno questi due vincoli.
Il cosiddetto Vincolo Inferiore però comincia a manifestarsi pesantemente solo quando l’escursione di frequenza tra la prima corda a vuoto e l’ultima eccede le due ottave. Solo il Mandolino a sei cori arriva però a questa estensione; il problema comunque fu risolto mediante l’adozione di corde rivestite nei bassi.
Il Vincolo Superiore
Quando una corda di un materiale qualsiasi viene progressivamente tesa tra due punti fissi (cioè la lunghezza vibrante), si arriverà ad un certo momento ad un’altezza di frequenza in cui essa si spezzerà di netto.
Nel caso di un corda di budello moderna il valore medio di questa frequenza per una lunghezza vibrante unitaria di un metro è di 260 Hz, che è un Do lievemente calante.
Il valore di tale frequenza limite, detta ‘Frequenza di Rottura’, risulta completamente indipendente –per quanto strano possa sembrare- dal diametro e questo lo si può facilmente verificare sia per via matematica (applicando la formula generale delle corde) che per via sperimentale.
Mutando i diametri il solo parametro che và cambiare è il valore di tensione dove la rottura avviene.
La Frequenza Limite è poi inversamente proporzionale alla lunghezza vibrante a cui è sottesa la corda.
Così, se essa dimezza la frequenza raddoppierà e viceversa.
Questo significa che il prodotto tra lunghezza vibrante (in mt) e Frequenza Limite di rottura (in Hz) è una costante definita ‘Indice di Rottura’ o più semplicemente prodotto fl (frequenza x l. vibrante); ovvero il Vincolo Superiore.
Inserendo l’Indice di Rottura nella formula delle corde considerando una sezione unitaria di 1 mm2
(pari a 1,18 mm di diametro) si ottiene per calcolo il corrispondente valore di tensione cui si manifesta la rottura: 34 Kg/mm2.
Il range di carico di rottura di un cantino moderno, secondo le nostre verifiche pratiche, risulta compreso tra 33-38 Kg mm2 che equivale ad un Indice di Rottura di 250-280 Hz/mt (valore medio: 260 Hz/mt). (2)
Lunghezza vibrante di Rottura e Lunghezza vibrante di Lavoro
Torniamo ora al nostro argomento: un liutaio ragiona però all’inverso di quanto sopra spiegato; è la frequenza che deve avere il cantino infatti il primo parametro che viene deciso quando si deve progettare uno strumento musicale come ad esempio il Mandolino.
Si tratta di fare una semplice proporzione:
260: 1 metro = frequenza assegnata alla prima corda: X (X: lunghezza vibrante da assegnare in metri).
In pratica, dividendo l’Indice di Rottura medio per la frequenza desiderata per prima corda si otterrà la lunghezza vibrante limite teorica in cui la corda si romperà di netto una volta raggiunta la nota voluta.
Nel caso di un Mandolino a sei ordini la cui prima corda sia un Sol: 698,5 Hz (ad corista francese del 18° secolo di 392 Hz) (3) ottiene: 260/698,5= 0,37 mt
Questa è dunque la lunghezza vibrante limite dove sappiamo che la
corda si rompe statisticamente di netto una volta raggiunto il Sol (riferito al ‘corista francese’ antico di 392 Hz).
La scelta della lunghezza vibrante ‘di lavoro’ dovrà pertanto considerare un accorciamento prudenziale di questa lunghezza limite.
Ma di quanto? Più essa si accorcia più le corde si ingrossano e perdono di rendimento acustico.
L’accorciamento prudenziale o Indice di lavoro
L’esame delle lunghezze vibranti degli strumenti a pizzico e ad arco delle tavole di Michael Praetorius (Syntagma Music, 1619) ha permesso di poter calcolare i loro Indici di Lavoro e metterli perciò in relazione al carico di rottura del budello al fine di capire finalmente di che entità dovette essere il margine di sicurezza adottato allora (4) (5)

Tavola tratta da ‘Syntagma Music’ di Michael Praetorius 1619
E’ stato preso però come riferimento nei vari calcoli il valore medio di carico di rottura di un corda di budello moderna che ritrovato in letteratura: 32Kg mm2 (che equivale ad un Indice di Rottura di 240 Hz/mt).
Questo valore si posiziona in realtà nel ‘quadrante inferiore’ del range di carichi di rottura da noi riscontrati sperimentalmente nelle corde commerciali di oggi (noi avremo qui suggerito il valore medio di 34 Kg/mm2, pari a 260 Hz/mt).
Rapportando quindi l’Indice di Rottura del budello di 240 Hz/mt con gli tutti gli Indici di Lavoro egli ricavò che la scelta della lunghezza vibrante di lavoro della famiglia del Liuto e di alcune Viole da Gamba (Viola Bastarda ad esempio) fu di circa 2-3 semitoni al di sotto dell’Indice di Rottura del budello (e quindi anche della lunghezza vibrante teorica di rottura prima calcolata).
Nel nostro esempio quindi, la lunghezza vibrante ‘di rottura’ accorciata di due/tre semitoni realizzerebbe pertanto la lunghezza vibrante reale poi da adottare (Sol ad un corista di riferimento di 392 Hz): 32,9/31,1 cm, valori che rientrano effettivamente nelle misure che si riscontrano effettivamente nei Mandolini a sei ordini del tempo.
Esiste una evidenza concreta di quanto sinora dedotto; abbiamo sottoposto un cantino di budello ad un condizione di tensione progressivamente crescente misurando la frequenza raggiunta rispetto al suo allungamento. Esaminando il grafico finale della funzione frequenza/allungamento si evidenzia molto bene il tratto proporzionale che segue la legge di Hook (detta anche Taylor/Mersenne).
Ma ad un certo punto si esce dal tratto proporzionale e si arriva ad una condizione in cui la frequenza (e quindi anche la corrispettiva tensione) si innalza bruscamente anche per piccoli allungamenti imposti alla corda:

La corda dunque mantiene la sua linearità sino a circa 2-3 semitoni dalla rottura; oltre tale valore si entra nella fase critica, la quale non si manifesta però secondo il fenomeno dello snervamento tipico dei metalli e delle corde di materiale plastico: da questo punto invece essa perde quasi completamente la capacità di allungarsi arrivando così rapidamente alla rottura.
Si deduce pertanto che lo sfruttamento della massima lunghezza vibrante può operarsi solo nel tratto rettilineo finale e che il massimo rendimento acustico assoluto (dato dalla massima riduzione del diametro di tutte le corde= max contenimento dell’Inarmonicità) è determinato dal fatto di lavorare proprio al limite superiore di proporzionalità, immediatamente prima che esso cambi direzione, e questo avviene proprio a due-tre semitoni dall’exitus finale.
Ecco quindi una possibile risposta tecnica.
Tale comportamento delle corde di budello fu perfettamente noto anche agli antichi e fu pertanto applicato come una delle regole base nella progettazione/costruzione degli strumenti musicali.
Ecco ad esempio Marin Mersenne (“Harmonie Universelle” 1636, Livre Troisiesme, Proposition X, p. 129):

Ecco ora quanto scrisse il Bartoli verso la fine del Seicento: (6) ‘Una corda strapparsi allora che non può più allungarsi…’.

Daniello Bartoli: ‘Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito’ 1679.
D’altro canto è ben nota a tutti la regola del tempo di accordare il Liuto e anche alcuni strumenti ad arco al più acuto consentito e fermarsi immediatamente prima della rottura della prima corda: questa è la prova del nove di quanto da noi graficamente evidenziato.
L’esempio del Liuto
Le lunghezze vibranti che furono scelte per alcuni Liuti originali del passato riassumono in sé informazioni preziose.
Il problema principale è unicamente quello di utilizzare nelle valutazioni strumenti non solo non modificati ma il cui corista di riferimento possa essere in qualche modo ipotizzato con relativa sicurezza.
Partendo pertanto da un corista frutto di un certo ragionamento e da quanto emerso nel grafico frequenza/allungamento prima riportato l’indagine compiuta in diversi Liuti e Chitarre a cinque ordini del passato ha permesso di rilevare un range di Indici di Lavoro compreso entro 225 e 235 Hz/mt: siamo molto vicini a quanto calcolato ad esempio da Segerman: 210 Hz/mt.
Se è vero che l’Indice di Lavoro di questi strumenti da noi esaminati comprende in sè un margine di sicurezza di due-tre semitoni dalla rottura, risulta pertanto possibile stimare, procedendo ritroso, anche il carico di rottura medio dei cantini per Liuto aumentando gli Indici di lavoro da noi ricavati di due –tre semitoni.
Da questo semplice calcolo a ritroso si arriva a determinare che carico di rottura medio dei cantini del Sei- Settecento risulterebbe compreso tra 33,7-35,1 Kg/mm2 (Indice di Rottura 256- 268 Hz/mt) nel caso di due semitoni di sicurezza o 35,7-37,3 Kg/mm2 (Indice di Rottura 273-285 Hz/mt) se il margine di sicurezza è invece di tre semitoni.
Il range di tutti questi valori è perfettamente in linea con quello dei cantini di budello attuali (34-38 Kg/mm2).
Tornando al Mandolino a sei ordini con il cantino in Sol, un accorciamento prudenziale di due semitoni dal valore medio di Indice di Rottura del budello determina una lunghezza vibrante di 32,9 cm; 31,1 invece se si tratta di tre semitoni di sicurezza: sono per inciso anche le lunghezze vibranti tipiche che si riscontrano negli strumenti sopravvissuti. Il range degli Indici di Lavoro (il prodotto tra la frequenza della prima corda x lunghezza vibrante in metri) sono i seguenti:
Sol (a corista 392 Hz); 32,9 cm 31,1 cm
230 Hz/mt 217 Hz/mt
Sol (a corista 415 Hz); 32,9 cm 31,1 cm
244 Hz/mt 230 Hz/mt
Come si può osservare, un mandolino a 6 ordini eccede la condizione di lavoro tipica del Liuto solo nel caso in cui il margine di sicurezza sia di due semitoni per un Sol al corista 415 Hz.
Nel caso del Mandolino a 4 ordini napoletano con lunghezza vibrante di 33 cm (quella tipica del Violino e di molti strumenti sopravvissuti) si ricava quanto segue:
Mi (a corista 392 Hz); 33,0 cm
194 Hz/mt
Mi (a corista 415 Hz); 33,0 cm
205 Hz/mt
La conclusione è che entrambe le condizioni di lavoro sono entro i limiti di portata di un cantino di budello, il Mandolino a 6 ordini in particolare lavora esattamente come un Liuto mentre quello napoletano a 4 ordini ha una condizione di stress più ridotta per la prima corda, esattamente come per il Violino. La spiegazione plausibile è la seguente: mentre nel mandolino a 6 ordini l’escursione di frequenza tra la prima e l’ultima corda è di due ottave (24 semitoni), in quello a 4 ordini tale escursione si riduce a 18 semitoni soltanto. Di conseguenza nel secondo caso non è strettamente necessario far lavorare le corde al massimo rendimento acustico possibile, quello del Liuto, al fine di salvaguardare la resa acustica di quelle più spesse.
Rimane però ancora aperto il quesito di partenza: perché non fu usato un cantino di metallo la cui sonorità sarebbe stata molto più brillante e pronta, si avrebbe avuto una minor usura durante l’impiego e anche un maggiore carico di rottura rispetto al budello? (7)
In effetti il carico di rottura di una corda di Ferro per Clavicembalo del Settecento può raggiungere anche i 100 Kg/mm2. Per l’Ottone siamo a valori un poco inferiori ma sempre di molto superiori al carico di rottura medio del budello.
La spiegazione è data dal fatto che la massima ‘acutezza’ raggiungibile risulta sì legata in maniera direttamente proporzionale al carico di rottura ma anche in modo inversamente proporzionale al peso specifico del materiale, che nei metalli è molto elevato: 7,0 gr/cm3 per il ferro, 8,5 gr/cm3 per l’Ottone; 1.3 gr/cm3 soltanto per il budello.
Da semplici calcoli, prendendo in considerazioni sia degli antichi spezzoni di filo metallico per strumenti a tastiera che alcuni trattati del tempo possiamo elencare pertanto una serie di Indici di Rottura:
Mersenne (8)
Argento: 155 Hz/mt
Ferro: 160 Hz/mt
Ottone: 150 Hz/mt
L‘elevata densità tipica dei metalli incide in maniera piuttosto evidente nel contenimento dell‘Indice di Rottura caratteristico : una corda di acciaio ‘antico‘ che presenti un carico di rottura di 100 Kg/mm2 ad esempio (che è tra i valori in assoluto più alti tra quelli ritrovati in vecchi spezzoni di corda per tastiere), possiede invece un Indice di Rottura pari a soli 178 Hz/mt.
Questo spiega con chiarezza perché le Chitarre battenti montate con robuste corde di metallo abbiamo invece una lunghezza vibrante limitata a soli 55-58 cm mentre quelle montate con le meno robuste corde di budello essa si eleva a ben 68-73 cm (a parità di corista naturalmente). (9)
Sono stati rilevati numerosi carichi di rottura delle corde in metallo del passato (10)
Ecco ora alcuni Indici di Rottura riscontrati in vecchi spezzoni di corde metalliche per Spinetta o Clavicembalo:
‘Old’ harpsicord iron: 158-188 Hz/m; mean 173 Hz/m. (11)
‘Old’ spinet and harpsicord iron: 164-187 Hz/m; mean 175 Hz/m. (12)
Old’ spinet iron from the second half of the 17th century: 159-195 Hz/m; mean 177 Hz/m. (13)
Altri metalli:
‘Old’ copper alloys: 112-138 Hz/m; media 125 Hz/m. (14)
‘Old’ brass: 101-155 Hz/m; media 128 Hz/m. (15)
‘Old’ brass: 148-153 Hz/m; media 150 Hz/m. (16)
Si può facilmente notare che le differenza tra i dati di Mersenne e la media dei valori misurati non è particolarmente rilevante.
Il motivo del perché i Mandolini utilizzassero del budello per la corda più acuta è dunque chiaro: non disponevano di metalli puri e/o leghe metalliche che potessero raggiungere un Indice di Rottura simile al suo (260-280 Hz/mt).
Per il Ferro (il metallo con il più alto carico di rottura del tempo) questo corrisponderebbe ad un carico di rottura di 145-160 Kg/mm2.
L’evidenza stessa dell’uso di corde di budello nei cantini del Mandolino è decisamente una chiara dimostrazione che non era disponibile, nel corso del XVIII secolo e anche per i primi decenni di quello a venire, un filo metallico con questi valori altrimenti lo avrebbero impiegato immediatamente, come accadde effettivamente a cavallo tra XVI e XVII secolo e dopo il 1830 circa.(17)
Il Mandolino era pertanto inevitabilmente costretto ad utilizzare le corde di budello per mancanza di alternative.
Le fonti storiche
Vi sono pochissime fonti del XVIII secolo che forniscono indicazioni di come si doveva presentare una montatura di corde per il Mandolino a sei e quattro ordini; in pratica sono soltanto due: Fouchetti e Corrette. (18) (19)
Vediamo ora cosa scrivono e cosa ne possiamo dedurre:
Fouchetti
Quanto scritto dal Fouchetti circa la montatura di corde per il Mandolino a 4 ordini è stato sinora considerato poco attendibile se non proprio piuttosto fantasioso. Una montatura come quella dal lui descritta appare infatti come la più bizzarra ed eterogenea montatura tra quelle di tutti gli strumenti a pizzico e ad arco del suo tempo.
Troviamo infatti mescolate assieme in soli quattro ordini corde di budello, fili di Ottone, fili di Ottone intrecciati, corde rivestite su anima di budello la cui ottava appaiata è però un filo di Ottone.
In effetti il grado di eterogeneità è assolutamente sorprendente. Osservando invece le cose più da vicino e facendo alcuni calcoli ci si accorge invece che questa montatura racchiude in sé quasi la massima perfezione possibile per quel tempo sia dal punto di vista meccanico che dal punto di vista acustico con pochissime possibilità di poter agire diversamente.
Vediamo il perché (tenendo ben in mente che la caratteristica più ricercata per questo strumento era la brillantezza e prontezza di emissione, visto che doveva imitare il Clavicembalo): (20)

-Dimensionamento della lunghezza vibrante: la misura utilizzata conferma con chiara evidenza che siamo di fronte ad uno strumento che come il Liuto vuole sfruttare la massima lunghezza vibrante al fine di garantire le migliori prestazioni acustiche.
Ecco la montatura per il 4 ordini (del sei ordini Fouchetti non dice nulla):
1 usare un cantino per Pardessus (= due budelli)
2 un filo di Ottone giallo per clavicembalo di gauge 5
3 due fili di Ottone giallo per clavicembalo di gauge 6 intrecciati assieme
4 una quarta rivestita per Violino su anima di budello leggera. L’anima può anche essere di seta. Come ottava appaiata si utilizza una corda in Ottone gauge 5 del secondo coro. Talvolta il quarto ordini si monta in unisono

-Prima corda: considerando il range di Indici di Lavoro da noi determinati la prima corda deve essere obbligatoriamente di budello per mancanza si alternative possibili: Fouchetti suggerisce una prima di Pardessus. In base ai dati forniti da De Lalande (21) e da altre fonti sappiamo che il cantino per Pardessus e anche Mandolino era costituito di due budelli interi di agnello mentre quello per Violino di tre. Vi sono numerosi studi a proposito (22) (23) (24) che associano tre budelli a un diametro della prima corda del Violino del tempo compreso tra 0,68-0,73 mm.
Per semplice proporzione dunque la prima corda del mandolino a 4 ordini aveva un diametro di 0,56-0,59 mm.
-Seconda corda: Fouchetti dice che si deve usare un filo di Ottone giallo di gauge 5. L’indice di Lavoro del secondo ordine è intorno a 129 Hz/mt per cui un filo di Ottone per clavicembalo del tempo non arriva a spezzarsi. L’uso di una corda di Ottone e non di un più robusto Ferro ha una sola spiegazione, di natura esclusivamente acustica : l’Ottone, a causa del suo peso specifico più elevato del Ferro, garantisce un resa acustica maggiormente argentina e brillante.
Secondo la scala dei gauges Di Cryseul,(25) il gauge 5 corrisponde ad un diametro di 0,30 mm circa. (26)
L’Ottone giallo ha un peso specifico intorno a 8,5 gr/cm3 contro gli 8,7 gr/cm3 circa dell’Ottone rosso che però non è qui utilizzato (per la maggior quantità di rame presente nella lega).
-Terza corda
Fouchetti dice di prendere due corde di Ottone giallo per clavicembalo del gauge 6 e di intrecciarle assieme. Lo scopo è chiaro: mediante l’intreccio si realizza una corda più elastica che minimizza l’effetto di ‘pitch distorsion’ sui tasti che con un filo semplice sarebbe assolutamente evidente anche per piccole variazioni di pressione sulla corda e/o spostamenti laterali. Con una corda di filo singolo si avrebbe inoltre una notevole difficoltà di intonazione e di mantenerla costante nel tempo perché anche una impercettibile rotazione del pirolo andrebbe a produrre notevoli variazioni. Con l’intreccio di due fili si risolvono brillantemente i problemi sopra elencati; l’utilizzo dell’Ottone garantisce ancora la migliore resa acustica in termini di brillantezza tonale e potenza di emissione anche se è comunque un poco inferiore al filo singolo.
Il gauge 6 sempre secondo la scala di Cryeseul corrisponde a 0,297 mm di diametro circa. Il problema qui è stabilire il grado di torsione da impartire alle due corde, poiché Fouchetti non dice nulla in merito.
Possiamo avere una risposta realizzando nel pratico diversi tipi di intreccio e verificare la tenuta meccanica, la sonorità e soprattutto la tensione di lavoro che ne risulta e paragonarla alle tensioni di lavoro degli altri cori.
Abbiamo così rilevato che due corde di Ottone da 0,30 mm intrecciate tra loro in bassa torsione realizzano una corda in Ottone di diametro equivalente a 0,39 mm (1,30 volte il diametro del filo di partenza) e di 0,46 mm invece (pari a 1,54 volte il diametro del filo di partenza) nel caso la torsione sia molto elevata: in questo secondo caso però abbiamo riscontrato una migliore brillantezza del suono prodotto: a tensione di lavoro, per un Re 262 Hz (al corista 392 Hz), è di 3,4 Kg .
-Quarta corda
Per la quarta corda si utilizza un Sol filato per Violino ma che sia un po’ più sottile di quelle ordinarie. Passando ad una corda filata con anima di budello è evidente che si và a perdere la caratteristica brillantezza manifestata dalle tre più acute.
Ma questo problema viene però notevolmente mitigato dal fatto che a questo ultimo coro viene sapientemente addizionata una corda in ottava di Ottone giallo (e non di budello), il cui scopo evidente era quello di addizionare brillantezza così da recuperare un allineamento acustico con quelle superiori . In questo coro veniva praticata anche la disposizione in unisono ma Fouchetti ci dice che era molto meno usata.
L’autore suggerisce in alternativa l’utilizzo della seta come anima della quarta anticipando così quello che sarebbe diventato poi lo standard per i bassi della Chitarra a sei core semplici del XIX secolo.
Per la verità l’utilizzo della seta nei bassi rivestiti per Chitarra a cinque cori era già stato descritto da Juan Guerrero nel 1760. (27)

Ma come era realizzata una quarta di Violino al tempo?
Le informazioni già citate indicano che si prendeva una seconda corda dello strumento e la si ricopriva di filo di Argento o Rame argentato. Il budello equivalente di una corda di questo genere, al fine di garantire l’omogeneità del profilo scalare di tensione della montura per questo strumento ad arco, si aggirava tra 1,70-1,90 mm. Fouchetti scrive però che questa corda deve essere un po’ più fine dell’ordinario, ma di quanto?
Esiste la possibilità di saperlo: avendo la lunghezza vibrante di 33 cm, i diametri, le densità dei materiali è possibile ricavare il valore della tensione di lavoro di tutte le corde al supposto corista francese di 392 Hz:
1: 5,44 Kg (valore medio di tensione tra 0,56-0,59 mm diametro= 0,575 mm)
2: 5,3 Kg (gauge 5 = 0,34 mm)
3 : 3,4 Kg (intreccio in bassa torsione gauge 6= 0,297 mm)
4:ottava: 4,46 Kg (0,34 mm)
4: basso: 4,46 Kg (?)
Osservazioni
- L’indice di lavoro dell’ottava appaiata alla quarta corda è di circa 115 Hz/mt (122 Hz/mt a corista 415 Hz): un filo di Ottone può essere pertanto tranquillamente utilizzato.
- La montatura presenta una certa scalarità del profilo di tensione la quale porta probabilmente ad una situazione di eguale feel tattile se non fosse l’anomalia della tensione del terzo ordine che risulta abbastanza ridotta. In realtà è possibile riequilibrare la situazione se si considera un calibro più sottile per il cantino realizzato però sempre a partire da due budelli.
- Al fine di avere la medesima tensione di lavoro della sua ottava appaiata, il budello equivalente della quarta corda deve essere di 1,75-1,80 mm: effettivamente siamo in presenza di una quarta corda per Violino che tende ad essere nel range delle tensioni genericamente definibili più leggere.
Conclusione
La montatura descritta dal Fouchetti presenta da un lato una quasi perfetta coerenza del valore di tensione tra le varie corde e dal lato acustico; per l’oculata scelta dei materiali e delle tipologie di corda, raggiunge il massimo rendimento che si traduce in prontezza di emissione, brillantezza e potenza.
Va osservato tuttavia che non esistevano molti margini di manovra alternativi: la prima corda doveva necessariamente essere di budello mentre la quarta non poteva non essere una rivestita su budello o su seta. Molto probabilmente nel secondo e terzo ordini si potevano usare dei fili di Ferro per Clavicembalo ma ciò a discapito della massima brillantezza di emissione (non è scontato però che fossero disponibili fili di questo materiale che fornissero la medesima tensione di lavoro del gauge 5 e 6 di Ottone giallo) così come non era disponibile un gauge intermedio tra il n°5 e il n°6.
L’ottava del quarto ordini poteva essere di budello invece che di Ottone ma anche qui si avrebbe avuto una perdita di brillantezza di emissione, fattore questo sottolineato dal Fouchetti il quale precisa che il Mandolino deve imitare il Clavicembalo e l’Arpa.
Corrette
Esaminando il metodo di Corrette la prima cosa che balza agli occhi è che egli non sembra apportare alcuna novità a quanto descritto dal Fouchetti per il Mandolino a 4 corde doppie accordato per quinte.
In realtà vi sono differenze sostanziali e, secondo noi, diversi errori:
1 ordine denominato F: deve essere cantino di Chitarra a cinque ordini
2 ordine denominato G: deve essere un gauge 5 del Clavicembalo
3 ordine denominato H ed R: la R deve essere una demifilè: della H non dice nulla.
4 ottava: ordine denominato K e I: la I è una filata piena, della K non dice nulla.
- La prima corda di budello non è un cantino di Pardessus come per Fouchetti bensì delle chanterelles per Chitarra coeva: che diametro poteva essere?
Apriamo dunque una parentesi focalizzata a risolvere questo problema: dobbiamo sapere se esistono riferimenti diretti sul numero di strisce e le corde della Chitarra o almeno un riferimento indiretto ad un altro strumento musicale.
Si constata che al momento non abbiamo purtroppo alcun riferimento diretto; esistono invece diversi riferimenti rispetto ad uno strumento ben studiato: il Violino.
- Nel Museo Stradivariano è presente un disegno su cartoncino (disegno n° 375) che porta segnata la descrizione delle corde necessarie per i cinque ordini tastati della chitarra attiorbata, che è in pratica una normale chitarra a cinque ordini cori con cinque bordoni singoli aggiunti in tratta:

-Prima e seconda corda (primo ordine): “Questi deve essere compani due cantini di chitara”.
-Terza e quarta corda (secondo ordine): “Queste deve essere compane due sotanelle di chitara”.
-Quinta e sesta corda (terzo ordine): “Queste deve essere compane doi cantini da violino grossi”.
Etc etc. (28)
Per risolvere l’enigma dobbiamo dunque sapere che diametro medio aveva un cantino di Violino del tempo e che cosa poteva definire un cantino ‘grosso’.
Il Conte Riccati (che fu, oltre che un grande fisico, un discreto violinista dilettante amico del Tartini) intorno al 1740/50 compì alcune interessanti misurazioni sulle corde del suo Violino: dai suoi calcoli ricaviamo la misura del cantino installato sul suo Violino: 0,70 circa (29)
Tale stima è confermata indirettamente anche dai dati forniti dal viaggiatore francese e astronomo De Lalande –1760 ca. –(30), circa il numero di budelli utilizzati per realizzare le corde di mandolino, Violino e Contrabbasso dal celeberrimo cordaio abruzzese – operante in Napoli – Domenico Antonio Angelucci e che queste proporzioni si sono mantenute rigorosamente costanti fino alla fine del secolo seguente, sia in Italia che in Francia. (31)
Per quanto riguarda la dicitura cantini/canti “grossi”, consideriamo come traccia il valore di calibro più grosso (“thick”) di corde di Mi e La realizzate a partire da uno stesso numero di fili di budello, come indicato da George Hart. (32) Evidenziata la grande standardizzazione nel processo manifatturiero delle corde da Violino ecco che allora è possibile ipotizzare che un cantino a tre fila di tipo “grosso” possa aggirarsi intorno a 0,73-0,74 mm.
Poiché il terzo ordine di questa chitarra utilizzava un cantino di Violino (al tempo realizzato con tre budelli detti altrimenti “fili”) per semplice proporzione – mantenendo la tensione costante- il secondo ordine doveva essere costituito per forza di cose da due fili (come il cantino del Mandolino e del Pardessus, secondo il De Lalande) e il primo di un budello soltanto, esattamente come i cantini del Liuto (33). In condizioni di calcolo teorico, infatti, il rapporto esistente tra i diametri risulta pari alla radice quadrata del rapporto tra il numero dei fili utilizzati; poi però bisogna fare i conti con il feel tattile di tensione che deve risultare omogeneo: due fili di budello producono pertanto un diametro compreso tra 0,57 e 0,59 mm.
Visto che con tre “fili” di budello si otteneva un diametro medio oscillante intorno a 0,70 mm (qui ci si riferisce espressamente ad un cantino ‘grosso’; proponiamo ad esempio 0,73 mm, il quale è il valore ‘thick’, suggerito da George Hart), considerando un profilo di equal feel tattile della montatura della Chitarra (il quale porta però ad tensione in Kg di natura scalare condizionando la scelta dei relativi calibri) ecco allora quanto è stato da noi ricavato:
1° ordine: ~ 0,44-46 mm (ricavato da un budello).
2° ordine: ~ 0,57-59 mm (ricavato da due budelli).
3° ordine: ~ 0,73 mm (cantino “grosso” di violino: ricavato da tre budelli).
Etc etc.
- Corrette:
“La guitarre se mont en cinq rangs de cordes, le 1er n’en a qu’un qui se nomme chantarelle, et les quatre autres rangs en ont chacum deux… Il faut observer que les deux cordes du 3me rang et la petite corde a l’octave du 5me rang soient égales en grosseur pas si forte que la chantarelle de violon…. ”.(34)
Corrette stesso dunque conferma sostanzialmente quanto scritto nel reperto stradivariano
Ora che abbiamo una certa conoscenza di quali potevano essere i diametri di corda della Chitarra coeva torniamo di nuovo al Mandolino a 4 ordini descritto dal Corrette e proviamo a fornire i calibri:
- Prima corda: Corrette parla di un chanterelle di Chitarra. Come abbiamo visto, il punto di riferimento da cui partire per risalire ai diametri di corda per la Chitarra è il suo terzo ordine, il quale presenta un calibro pari a un cantino (grosso) del Violino coevo: al fine di salvaguardare un omogeneo feel tattile di tensione tra le corde la prima corda quindi secondo quello che scrive l’autore deve essere di circa 0,44-46 mm di diametro.
- Seconda corda: si utilizza il gauge 5 del Clavicembalo. Corrette però non specifica il tipo di metallo; tuttavia l’analogia con Fouchetti è consistente; riteniamo pertanto si tratti di Ottone giallo.
- Terza corda: Corrette stranamente sembra considerare ciascuna corda singola dell’ ordine nonostante dal pentagramma si veda che è in unisono. Di una, denominata H, non dice nulla mentre dell’altra, denominata R, si trova scritto che è una demifilè senza aggiungere alcun ragguaglio ulteriore: da questa affermazione non è possibile purtroppo ricavarne nulla di concreto; non si sa se le due corde dell’ordine dovevano essere entrambe demifilè e non fornisce infine indicazione di come questa presunta demifilè sia fatta.
- Quarta corda: dell’ ottava denominata K Corrette non dice nulla. Della corda bassa denominata C si limita a scrivere che è una corda filatura accostata. Non è però nota l’anima da utilizzare (seta o budello) tuttavia grazie a Fouchetti sappiamo che entrambi i materiali andavano egualmente bene. Si potrebbe qui intuire che sia un Sol per Violino.
Considerazioni
Le indicazioni fornite da Corrette circa le corde per il Mandolino a 4 corde doppie sono secondo lo scrivente totalmente inattendibili.
-Primo ordine (0,44-0,46 mm circa): esso avrebbe una tensione di lavoro di soli 3,0-3,2 Kg a corda.
-Secondo ordine (gauge 5 presumibilmente di Ottone giallo, ma non viene specificato nulla in merito): essa si eleva ad almeno 5,3 Kg a corda. Lo scarto con il primo ordine è notevole.
Per avere una tensione di lavoro paragonabile al secondo ordine, il primo dovrebbe utilizzare invece le corde del secondo ordine della Chitarra (2 budelli= prima Mandolino =prima Pardessus secondo De Lalande) allineandosi perciò con il Fouchetti.
-Terzo e quarto ordine: non è possibile ricavare nulla di utile. Se non fosse per Fouchetti (il quale dà un termine di paragone utile) i dati forniti da Corrette sarebbero del tutto privi di senso.
Mandolino a Sei ordini
Con i problemi già incontrati sul mandolino a 4 corde doppie accordato per quinte ci si aspetta inevitabilmente ancora delle problematiche. In effetti diverse indicazioni risultano purtroppo errate: si rendono pertanto necessari alcuni ragionamenti. Solo alla fine di questo lavoro di revisione la montatura del Mandolino sei ordini diventa realmente proponibile.
- Primo e secondo ordine: Corrette scrive che i cori denominati L ed M devono essere chanterelles per Chitarra: cosa significa? Che usava il cantino della Chitarra anche per il secondo ordine del Mandolino? Corrette qui è molto impreciso. Certamente non possono essere dei cantini soltanto installati poi anche nel secondo ordine: si avrebbe un totale disallineamento nella tensione di lavoro. Riteniamo pertanto che Corrette si riferisca invece al primo e secondo ordine della Chitarra.
- Terzo coro denominato N: Corrette dice che si utilizza il gauge 5 del Clavicembalo ma omette di specificare il tipo di metallo: riteniamo tuttavia che si tratti del solito Ottone giallo per Clavicembalo.
- Quarto coro denominato S: Corrette dice che si tratta di una corda demifilè ma non aggiunge altro (filata su seta o budello?)
- Quinto ordine denominato P: si tratta di una corda filata per intero ma non abbiamo nessun altra informazione: la corda in ottava non viene per nulla menzionata.
- Sesto ordine denominato Q: si tratta di una corda filata per intero ma non abbiamo nessun altra informazione: la corda in ottava non viene per nulla nominata.
Considerazioni
In base ai dati forniti da Corrette nessuno oggi (ma anche al suo tempo!) è in grado di ricavare l’intera montatura di corde; tuttavia è possibile introdurre alcuni ragionamenti che alla fine potrebbero forse risolvere l’enigma:
Partiamo dall’unico dato sicuro a disposizione: il terzo ordine alla nota di ‘La’, che è il gauge 5 del Clavicembalo. Noi crediamo sia di Ottone giallo (0,34 mm).
Utilizzando una lunghezza vibrante media tipica del Mandolino a sei ordini, pari ad esempio a 0,315 cm e a un presunto corista parigino/romano di 392 Hz si ricava una tensione di lavoro di 4,8 Kg.
Il primo e secondo ordine dello strumento devono pertanto in qualche modo rapportarsi a questo valore: installando infatti in questi due ordini la prima e seconda corda della Chitarra (di cui, grazie a Stradivari e al Violino preso come riferimento abbiamo un’idea dei diametri) si ottengono rispettivamente le seguenti tensioni di lavoro: 3,9-4,3 Kg per il primo ordine e 3,8-3,9 Kg per il secondo. Paragonati al valore di tensione del terzo ordine si ha certamente un andamento di tensione non perfettamente bilanciato però ancora funzionale.
Passiamo per semplicità a trattare subito del sesto ordine: essendo un Sol possiamo pensare che sia effettivamente da usarsi come per Fouchetti una quarta corda per violino e la cui ottava sia pari alla seconda di budello (terza della chitarra): ammettendo questa ipotesi la tensione del basso e della sua ottava appaiata risulta essere di 3,9 Kg circa. L’ottava appaiata potrebbe essere lo stesso gauge 5 in Ottone giallo già utilizzato per il 3 coro: una corda di budello sarebbe stata invece di 0,90 mm circa.
Avendo ricavato la tensione di lavoro del primo, secondo, terzo e sesto ordine, risulta logico pensare che la tensione di lavoro del quarto e quinto debba essere compresa necessariamente tra 4,8 Kg (terzo ordine) e 3,9 Kg (quarto ordine): come si può realizzare questa condizione rimanendo nel campo lecito tecnologico e acustico?
Quarto ordine: come abbiamo visto, questo secondo Corrette deve utilizzare corde di tipo demifilè. Si deve qui necessariamente considerare un range di tensione di lavoro di poco inferiore a quella del terzo ordine ma comunque superiore al range associato teoricamente al quarto ordine; questo al fine di preservare la linearità dei valori sinora calcolati. Se ipotizziamo che il detto range sia di 4,4-4,7 Kg si ottengono i seguenti diametri: 1,10-1,14 mm: questi diametri corrispondono esattamente una terza corda di Violino che a quel tempo, in Francia, veniva realizzata solitamente a demì.(35)(36)

La sua ottava appaiata dovrebbe avere un diametro compreso tra 0,55 -0,57 mm: la prima corda per Mandolino a quattro ordini/secondo ordine della Chitarra.
Quinto ordine: Corrette afferma che questa corda è a filatura totale ed è in unisono. Da semplici calcoli, considerando un range di tensione di poco superiore a quella del quarto ordine al fine di preservare la linearità dei valori sinora calcolati (ipotizziamo che il range sia di 4,1-4,3 Kg) si ottiene per la nota Si un budello equivalente di 1,42-1,47 mm di diametro.
Il dato dovrebbe essere attendibile: la sua ottava, a parità di tensione, oscilla tra 0,71 e 0,73 mm di diametro: in pratica la terza corda della chitarra (un cantino di Violino).
Il problema è la sua realizzazione, soprattutto se si utilizza un anima di budello. Il problema è dato dal fatto che al tempo, secondo le nostre ricerche, non riuscivano a realizzare commercialmente fili metallici di diametro inferiore a circa 0,15 mm. (37) (38) (39) (40)
In altre parole la corda filata a demì secondo lo scrivente non era affatto una corda di transizione tra una corda di budello ed una a filatura piena bensì una scappatoia tecnologica utile ad aggirare il problema della mancanza di fili metallici più sottili. La prova è nell’Indice di Metallicità caratteristico di queste particolari corde, il quale risulta simile a quello delle corde rivestite a filatura piena.
Diverso è il discorso se l’anima è invece di Seta la quale, secondo Fouchetti, veniva felicemente usata nel Mandolino e poi anche nei bassi della Chitarra a cinque ordini e, naturalmente, nella futura chitarra a sei corde semplici prossima a venire.
Con la Seta, a parità di budello equivalente, il rapporto tra anima e metallo può essere sbilanciato a favore di quest’ultimo rendendo possibile una corda rivestita con filatura piena e una resa maggiormente brillante.
Interessante notare che in pratica il budello equivalente e la maniera di realizzare le corde a filatura piena su seta per il quinto e sesto ordine del Mandolino a sei ordini saranno poi le stesse utilizzate rispettivamente per la quarta e quinta corda della Chitarra a sei corde semplici che in capo a 10-15 anni sarebbe resto comparsa sulla scena musicale.

In conclusione, anche per questo tipo di Mandolino Corrette non ci permette di arrivare a delle conclusioni che siano plausibili e abbastanza sicure.
Abbiamo fatto tuttavia una serie di ragionamenti che portano alla seguente proposta di montatura, la quale si rifà come base a quel poco di utile che emerge da Corrette (l’unico punto fermo qui è l’indicazione che il terzo coro utilizza il gauge 5, da cui si può ricavare il valore della tensione: a questo punto gli ordini più acuti devono avere una tensione via via crescente mentre quelli più gravi una tensione via via degradante secondo un profilo simile indicativamente a quello del Mandolino di Fouchetti) e con il ‘supporto’ di quanto descritto invece dal Fouchetti:
1 G: prima della Chitarra a cinque ordini =0,44-0,46 mm di diametro; tensione media: 4,1 Kg a corda
2 D: seconda della Chitarra a cinque ordini = 0,57-0,59 mm di diametro; tensione media: 3,9 Kg a corda
3 A: gauge 5 Ottone giallo per clavicembalo = 0,34 mm diametro; tensione media: 4,8 Kg a corda
4 E: corda demifilè (terza di violino secondo l’uso francese)= 1,10-1,14 mm budello equivalente; tensione media: 4,0- 4,5 Kg
5B ottava: terza della chitarra a cinque ordini = 0,70-0,73 mm di diametro; tensione media: 4,2 Kg
5B: basso: corda filata piena su anima di seta con budello equivalente=1,42-1,47 mm diametro; tensione media:4,2 Kg
6G ottava: lo stesso gauge 5 in Ottone giallo per clavicembalo = 0,34 mm diametro; tensione media: 3,9 Kg (oppure una corda di budello da 0,88-0,91 mm circa: in pratica il quarto ordine della chitarra).
6G: basso: quarta filata piena su anima di seta (difficile pensare che abbia utilizzato una corda filata su anima di budello ovvero una quarta per Violino) = 1,80 mm diametro in budello equivalente: tensione: 3,9 Kg
L’incertezza se utilizzare corde di ottava in budello o in Ottone giallo del gauge 5 è un problema di relativa importanza: Fouchetti precisa che il fatto di montare corde di metallo o di budello era una questione di gusto personale.

Prove pratiche
Mandolino a quattro ordini: montatura secondo Fouchetti
-Primo ordine unisono: corda di budello 0,56 mm: non si è riscontrato alcun problema meccanico o acustico.
-Secondo ordine unisono: filo di Ottone Giallo crudo per Clavicembalo diametro commerciale 0,35 mm. Il problema principale che si è riscontrato riguarda la maniera di fare l’aggancio alla cordiera. Trattandosi un filo di Ottone molto crudo il problema è la sua fragilità. Nel nostro caso abbiamo risolto il problema realizzando una cappio molto lungo in modo tale che ponendo la corda in trazione esso vada a serrarsi da sé eliminando qualunque problema di rottura della corda ai pioli di aggancio per la presenza di punti di piega o cappi troppo bruschi.

-Terzo ordine unisono: Si è utilizzato del filo di Ottone giallo commerciale crudo da 0,30 mm. Non è possibile ritorcere insieme direttamente i due fili perché essendo molto crudo tende a spezzarsi durante la torcitura opponendosi all’operazione stessa fino ad arrivare ad avere gradi di torsione differenziati lungo la corda. La soluzione a questi problemi è stata quella di addolcirle i due fili scaldandoli a 350 gradi (a tal proposito abbiamo fatto numerosi test il cui risultato finale ha indicato che il filo và scaldato tra i 330 i 370 gradi centigradi) per lo spazio di un minuto. Il filo acquista così un grado intermedio di crudezza permettendo di realizzare l’intreccio pur mantenendo ancora un grado di crudezza residuo che contrasti lo snervamento del filo sotto trazione.
Il grado di torsione da impartire alla corda è un aspetto cruciale: se è molto elevato il suono risulta molto brillante ma si riduce in concomitanza anche la resistenza alla trazione. Con un grado di torsione inferiore la sonorità e meno metallica; si ha meno sustain ma si ha una maggior resistenza alla trazione e si perde un poco di tensione di lavoro. In altre parole a seconda del grado di torcitura impartito è possibile modulare la resa timbrica desiderata fino a trovare un condizione di equilibrio acustico tra il secondo e il quarto ordine.
-Quarto ordine in ottava: si è utilizzata una quarta di Violino di budello equivalente a 1,80 mm ottenuta secondo le indicazioni storiche (una seconda corda un po’ leggera per Violino poi ricoperta con filo di Argento): per l’ottava si è utilizzata un seconda corda di Ottone Giallo.
Conclusioni: l’equilibrio acustico complessivo della montatura è risultato discretamente omogeneo e così anche la sensazione tattile di rigidità delle corde (corista 392 Hz).
Mandolino a sei ordini secondo la nostra interpretazione di Corrette (plettro in corteccia di ciliegio)
-Primo ordine unisono: budello da 0,46 mm: nessun problema acustico o meccanico riscontrato
-Secondo ordine unisono: budello da 0,56 mm: nessun problema acustico o meccanico riscontrato
-Terzo ordine unisono: filo di Ottone Giallo da 0,35 mm: feel tattile di tensione un poco superiore a quello delle corde più acute; sonorità più brillante rispetto al secondo e al terzo ordine a seguire. Tensione di lavoro: il diametro dovrebbe ridursi a 0,33-0,34 mm. Non esiste soluzione alla resa acustica brillante. Corda di budello da 0,88 mm: nessun problema meccanico; resa acustica allineata con i primi due ordini superiori e con il quarto ordine-
-Quarto ordine unisono: si sono usate due corde demifilè terze di violino budello equivalente di circa 1,15 mm. Non si hanno avuti problemi meccanici. La sonorità è risultata un poco ovattata rispetto a quella del terzo ordine in Ottone giallo.
– Quinto ordine in ottava: il basso è costituito da una quarta corda avvolta con filo di rame argentato su anima di seta il cui budello equivalente è di circa 1,40 mm. La corda in ottava è una terza corda per Chitarra a cinque ordini da 0,73 mm.
– Sesto ordine in ottava: il basso è costituito da una quarta corda avvolta con filo di rame argentato su anima di seta il cui budello equivalente è di circa 1,80 mm. La corda in ottava è una quarta corda per Chitarra a cinque ordini da 0,88 mm. Nessun problema di ordine meccanico; equilibrio acustico e dinamico buono anche in relazione al quinto ordine. Si è provato il filo di Ottone Giallo come ottava riscontrando un disequilibrio di natura tonale con gli altri ordini superiori.
Secondo lo scrivente una montatura sperimentale di questo tipo risulta totalmente soddisfacente.
I punti critici ruotano intorno all’utilizzo del filo di Ottone nel terzo ordine, a causa della differenza timbrica con gli ordini che lo precedono e che lo seguono. Parimenti, l’utilizzo di una corda di Ottone giallo come ottava del sesto ordine risulta improponibile a causa del disequilibrio tonale che si riscontra. La montatura che presenta il miglior bilanciamento dunque è quella che utilizza corde di budello per i primi tre ordini e per tutte le ottave; corde di seta pienamente rivestita per il quinto e sesto ordine e una corda rivestita a filatura spaziata su anima di budello per il quarto ordine: per questo ordine rimane aperta la sperimentazione di una corda di tipo demifilè su anima di Seta, che comunque non ha sinora trovato riscontri nella documentazione del XVIII secolo sinora reperita.
Conclusioni
Pur essendo sopravvissuti alcuni metodi del XVIII secolo che hanno trattato del Mandolino in generale, quando si tratta invece di capire che tipo di corde utilizzassero ne abbiamo a disposizione in realtà solo due: Fouchetti e Corrette.
I dati forniti dal primo inerenti il Mandolino a 4 corde doppie risultano tecnicamente e acusticamente coerenti: essi danno luogo ad una montatura il cui valore di tensione risulta entro un range di accettabilità e di omogeneità tra le varie corde. Le corde dei quattro ordini rasentano, dal punta di visto tecnologico ed acustico, la quasi perfezione considerando quello che era disponibile a quei tempi. Purtroppo Fouchetti non dice nulla del Mandolino a 6 ordini.
Quanto descritto da Corrette invece è di natura decisamente lacunosa e talvolta anche confusa: non è possibile pertanto ricavare direttamente nulla di utilizzabile se non passando attraverso una rielaborazione critica dei dati da lui forniti.
Così, se si rivede quanto da lui scritto in comparazione con Fouchetti (per certi versi ci sono delle sovrapposizioni interessanti), tenendo sempre in debita considerazione ciò che si poteva o non si poteva fare al tempo, allora risulta possibile formulare una proposta concreta per il Mandolino a sei ordini di corda.
Per il Mandolino a 4 ordini valgono pertanto i soli dati del Fouchetti confermati solo parzialmente anche dal Corrette (il gauge 5 per il secondo ordine ad esempio).
Per il Mandolino a sei ordini, come abbiamo visto, possiamo rifarci soltanto a Corrette: riteniamo che la nostra rielaborazione sia interessante non solo dal punto di vista acustico ma anche dal punto di vista dei materiali per fare le corde disponibili al tempo.
Abbiamo però un’ultima considerazione: Corrette non chiarisce se il Mandolino in questione debba essere suonato con il plettro o con le dita. Dai valori di tensione da noi calcolati un Mandolino a sei ordini con ponte fisso potrebbe avere delle notevoli difficoltà ad essere suonato con i soli polpastrelli delle dita. A titolo di esempio il range di tensione mediamente accettato oggi nel Liuto (che è uno strumento molto più grande) è, nella sua massima estensione, tra 2,7 e 3,3 Kg per corda. Le regole del tempo sono chiare e ripetute più volte nei documenti storici: Liuti grandi corde spesse; Liuti piccoli corde più sottili (vale a dire tensioni di lavoro più ridotte).
Un Mandolino suonato con le sole dita con una lunghezza vibrante di soli 31,5 cm al corista di riferimento di 392 Hz e che dia una sensazione tattile di tensione delle corde simile a quella del Liuto dovrebbe dunque lavorare a tensioni discretamente inferiori, ad esempio intorno a 2,0 Kg: questo però comporterebbe un cantino di budello del diametro di 0,31-0,33 mm soltanto che però al tempo non erano affatto in grado di produrre. Il calibro che esce da un singolo budello di agnello –come indicato dalle antiche fonti- si aggira intorno a 0,42-0,46 mm di diametro e produce una tensione di lavoro superiore a quella di un Liuto.
Una possibile soluzione -e che proponiamo- è data dal fatto che il Mandolino a sei ordini con ponte incollato possa essere stato suonato con le dita provviste di unghie. Una soluzione di questo tipo avrebbe permesso di poter lavorare in agilità senza plettro (l’unghia stessa funge da plettro), con suono netto ed argentino e con tensioni di lavoro consistenti, altrimenti oggettivamente difficili da affrontare con i solo polpastrello. D’altro canto è storicamente noto che tra i mandolinisti del Settecento si annoverano anche diversi suonatori di Tiorba e Arciliuto che notoriamente facevano uso delle unghie della mano destra, come ad esempio Filippo dalla Casa. Difficile che se le tagliassero per l’occasione di suonare il Mandolino.

Giro il quesito a chi suona un Mandolino di questo genere; d’altro canto questi sono i calcoli e questi sono i risultati che ne derivano.
Vivi felice
NOTE
- Djilda Abbott – Ephraim Segerman: “Strings in the 16th and 17th centuries”, The Galpin Society journal, XXVII 1974, pp. 48-73.
- Và sottolineato che i valori di tensione ricavati in questo esempio sono quelli che si ottengono con corde la cui tecnologia manifatturiera utilizzata è quella specifica messa a punto per i soli cantini, che è indirizzata esclusivamente all’ottenimento della massima resistenza tensile (e all’abrasione superficiale), come poi vedremo meglio.
In altre parole nella loro manifattura non si tiene per nulla conto del parametro elasticità (parametro trascurabile in queste sottili corde), cosa di cui si tiene conto invece per tutte altre tipologie di corda che non sono impiegate nella prima posizione: in queste si punta invece unicamente ad ottenere la massima elasticità possibile. Elasticità e resistenza tensile sono inversamente proporzionali.
- Per semplicità abbiamo deciso di assegnare questo valore di frequenza standard. In realtà il corista francese secondo gli studi fatti rientrava in un range compreso tra 385 e 400 Hz. Vedere: Alexander J. Ellis in Studies in the History of Music Pitch: Monographs by Alexander J. Ellis and Arthur Mendel (Amsterdam: Frits Knuf, 1968; New York: Da Capo Press)
Arthur Mendel: “Pitch in western music since 1500: a re-examination”. In -Acta musicologica- L 1978, pp.1-93.
Ephraim Segerman: “On German Italian and French pitch standards in the 17th and 18th centuries”. FOMRHI quarterly no. 30, January 1983, comm.442. - Ephraim Segerman: comm 1545 in FOMRHI Quarterly 89, October 1997.
- Ephraim Segerman: comm 1593 in FOMRHI Quarterly 92, July 1998.
- Daniello Bartoli: ‘Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito’, a spese di Nicolò Angelo Tinassi, Roma 1679, p. 263.
- Le corde di metallo lavoravano anche loro nei pressi della rottura; vedere a tal proposito:
-William R. Thomas and J.J.K. Rhodes: “The string scales of Italian keyboard instruments”. The Galpin Society Journal XX -1967, p.48.
-Michael Spencer: “Harpsicord phisics”. The Galpin Society Journal, XXXIV, March 1981, pp. 3-7.
-Ephraim Segerman: “Bulletin Supplement “. FOMRHI quarterly no.39, April 1985, p.11; 1768-Adlung’s statement: “When a harpsicord is strung so that the pitch can be safely raised a semitone, one can be secure…”. - Marin Mersenne: “Harmonie Universelle” 1636, Livre Troisiesme, Proposition XII e Proposition XIII, vedere la nota no.7 p.58.
- Ephraim Segerman: “New Grove DOMI: ES Mo 4: Ca to Ci entries”. FOMRHI quarterly no.43, April 1986, comm.698.
E anche:
Harvey Hope: “Ref J. M. S. remarks on the New Grove Chitarra battente”. FOMRHI quarterly no.43, April 1986, comm. 709.
-Peter S. Forrester: “Citterns and chitarras battente: re. Comm.698, Grove Review”. FOMRHI quarterly no.44, July 1986, comm. 740.
– Ephraim Segerman: “Response to Comms 739 and 740”. FOMRHI quarterly no.44, July 1986, comm.742.
-Peter S. Forrester: “17th c. Guitar woodwork”. FOMRHI quarterly no. 48, July 1986, comm.825.
-James Tyler: “The Early Guitar- A History and Handbook”; Early Music series: 4, Oxford University Press, London 1980. Quoted By by Ciro Caliendo: “La Chitarra battente. Uomini, storia e costruzione di uno strumento barocco e popolare”, Edizioni Aspasia, Aprile 1998, pp.24-25. - Cary Karp: “Strings, twisted and Mersenne”. FOMRHI quarterly no.12, July 1978, comm.137.
Ephraim Segerman & Djilda Abott: “On twisted metal strings and Mersenne’s string data”. FOMRHI quarterly no.13, October 1978, comm. 64.
E anche:
-Cary Karp: “On Mersenne’s twisted data and metal strings”. FOMRHI quarterly no.14, January 1979, comm. 183.
-Ephraim Segerman: “Mersenne untwisted-a counter-Carp to comm.183”. FOMRHI quarterly no.15, April 1979, comm.199. - Cary Karp: ”The pitches of 18th Century strung Keyboard Instruments, with Particular Reference to swedish Material, SMS-Musikmuseet Technical Report no.1”, SMS-Musikmuseet, Box 16326, 103 26 Stockholm, Sweden, 1984, 129 pp. See also: “On wire-comms and wire-comm comments”. FOMRHI quarterly no. 11, April 1978, comm. 134. Karp wrote that “ In as much as the lower portion of this range was generated by piano wire…”.
- Remy Gug: “Abut old music wire”. FOMRHI quarterly no. 10, January 1978, comm.105. Gug wrote that “ Let us first specify that the concerned strings have been taken from instruments used in the XVIIth and XVIIIth centuries: harpsicords, spinets, clavichords, dulcimers”.
- Marco Tiella: “Problemi connessi con il restauro degli strumenti musicali”, pp.22-23.
- Vedere nota n 10
- Ephraim Segerman: “Neapolitans mandolins, wire strengths and violin stringing in late 18th c. France” . FOMRHI quarterly no.43, April 1986, comm.713. Questo di Segerman è stato il primo lavoro da noi conosciuto che tratti delle montature del Mandolino del 18 Secolo.
- Gianni Podda: “Prove di trazione e determinazione della tensione di rottura per corde antiche e moderne”, pp.36-38. Atti del seminario per la didattica del restauro liutaio, estate musicale 1981; Premeno.
- Remy Gug: “Jobst Meuler or the secret of a Nuremberg wire drawer” FOMRHI quarterly no.51, April 1988, comm 866, p. 29.
- Giovanni Fouchetti: “Méthode pour apprendre facilement á jouer de la mandoline á 4 et á 6 cordes”. Paris 1771. Reprint: Minkoff, Genève, 1983, p. 5.
- Michel Corrette: “Nouvelle Méthode pour apprendre à jouer en très peu de temps la Mandoline par Mr. Corrette” Paris 1772.
- Op. cit 17.
- Francois De Lalande : “Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris 1786, pp. 514-9, Chapire XXII “Du travail des Cordes à boyaux…: “ …on ne met que deux boyaux ensemble pour les petites cordes de mandolines, trois pour la premiere corde de violon… ”.
- Mimmo Peruffo: “ Italian violin strings in the eighteenth and nineteenth centuries: typologies, manufacturing techniques and principles of stringing, “ Recercare”, IX, 1997 pp. 155-203.
Vedere anche: Antoine Germain Labarraque: L’art du boyaudier, Imprimerie de Madame Huzard, Paris 1812, pp. 31-2.
- Patrizio Barbieri: “ Giordano Riccati on the diameters of strings and pipers, “ The Galpin Society Journal”, XXXVIII, 1985, pp. 20-34: “Colle bilancette dell’oro pesai tre porzioni egualmente lunghe piedi 1 _ Veneziani delle tre corde del Violino, che si chiamano il tenore, il canto e il cantino. Tralasciai d’indagare il peso della corda più grave; perchè questa non è come l’altre di sola minugia, ma suole circondarsi con un sottil filo di rame.“.
- Ephraim Segerman: “Strings thorough the ages“, The Strad, part 1, January 1988, pp.20-34”, pp. 52-5, part 2 (“Highly strung“), March 1988, pp.195-201, part 3 ; “Deep tensions“, April 1988, pp.295-9.
- Cryseul, Géoffrion: “Moyen De Diviser Les Touches Des Instruments à Cordes, Le Plus Correctement Possible…On y Voit La Manière Dont Les Artistes Doivent Considérer Les Loix Qu’Impose Le Tempérment…Et L’on Imagine Un Moyen D’Accorder Les Clavessins.”Paris: Rodez, 1780.
- http://harps.braybaroque.ie/Taskin_stringing3.htm
In questo sito vi sono delle interessanti comparazioni circa la scala dei gauges di Cryseul e i relativi diametri in mm secondo le opinioni di diversi ricercatori.
- Don Juan Guerrero: “ Methode pour Aprendre a Jouer de la Guitarre”. Paris 1760.
- Patrizia Frisoli, The Museo Stradivariano in Cremona, “The Galpin Society Journal”, XXIV, July 1971 p. 40.
- Patrizio Barbieri: op cit 21.
- De Lalande: op. cit 19.
- PHILIPPE SAVARESSE: “Cordes pour tous les instruments de musique”, in CHARLES-P.-L. LABOULAYE: Dictionnaire des arts et manufactures, 3rd edition, vol. I, Lacroix, Paris 1865.
- George Hart, The violin and its music, Dulau and Schott, London 1881, pp. 46-7.
Michel Corrette: “Les Dons d’Apollon”. Paris 1763, p. 22, Capitolo XVI - Attanasius Kircher: “ Musurgia Universalis sive Ars Magna Consoni et Dissoni in X. Libros Digesta, Roma, 1650, Caput II, p. 476: “…ita hic Romae gravissimam tesdudinis chordam ex 9 intestinis consiciunt, secundam ex 8, & sic usque ad ultimam, & minimam, quae ex uon intestino constat.”.
- Michel Corrette: “ Les Dons d’Apollon” Paris 1763, p. 22, Capitolo XVI.
- SEBASTIEN DE BROSSARD: [Fragments d’une méthode de violon], manuscript, ca. 1712, Paris, Bibliothèque Nationale, Rés. Vm8 c.i, fol. 12r (cited in BARBIERI: “Giordano Riccati”, p. 34.
- JEAN-BENJAMIN DE LABORDE: Essai sur la musique ancienne et moderne, Eugène Onfroy, Paris 1780, livre second, “Des instruments”, pp. 358-9: “Violon […] Ordinairement la troisième et la quatrième sont filées; quelque fois la troisième ne l’est pas” (Violon […]
- Il diametro più sottile della scala dei Gauge di Creyseul è il n° 12, pari a 0,15 mm circa.
- James Grassimeau : “A musical Dictionary” London 1740.
Nel dizionario ci viene precisato che con la tecnologia metallurgica corrente si possono ottenere fili di oro, argento ottone e ferro di diametro compreso da 1/20 di inch fino a 1/100 di inch: 0,50-0,25 mm di diametro. Questo volume è una traduzione ampliata del dizionario di Sébastien de Brossard del 1703.
- Marco Tiella; informazioni segnalate allo scrivente: il diametro più sottile di filo di ottone da lui ritrovato in alcune spinette si aggirava intorno a .15 mm di diametro.
- Gli abiti del passato possono rappresentare un ulteriore ed inusitato campo di indagine sulla tecnologia dei fili metallici: i fili metallici a sezione rotonda avevano infatti una grande parte nella realizzazione di complicati disegni dei suntuosi abiti medioevali e rinascimentali: un primo esame di fili a sezione piatta e tonda sembra aver evidenziato che i diametri più sottili di filo d’oro (il metallo più duttile in assoluto) dei costumi del tempo si aggirano intorno a 1/100 fino a 1/120 di inch al massimo: vale a dire circa .12 mm che però ha già subito lo stiro; un filo integro potrebbe arrivare facilmente a 0,14-0,15 mm di diametro.
VIDEO: Le montature di corda per chitarra del nuovo modello torres tra il 1880 e il 1945
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Perché non possiamo calcolare noi la montatura della tua arpa (ma lo devi invece fare tu)?
Introduzione
Capita ogni tanto che qualche arpista ci chieda di calcolargli una intera montatura per la sua nuova arpa: a questa richiesta rispondiamo che non è possibile farlo senza avere lo strumento tra le mani e, meglio ancora, in presenza dello stesso musicista.
Perché?
L’arpa è uno strumento molto particolare: non solo è provvisto di molte corde ma è anche uno strumento con rendimento acustico ‘autocompensato’
Cosa significa ‘rendimento acustico autocompensato’?
Significa che a mano a mano che si procede verso le frequenze più gravi (dove si assiste ad un aumento del diametro delle corde; come è normale che accada) si ha anche un concomitante e progressivo incremento della lunghezza vibrante la quale agisce appunto da elemento compensatorio, di contrasto cioè all’aumento dell’inarmonicità (cioè la perdita progressiva delle sue qualità sonore) che le corde via via più grosse manifestano.
Nella natura delle cose infatti, all’aumentare del diametro, le corde diventano via via meno acusticamente efficienti; accade però che con un concomitante aumento della lunghezza vibrante i diametri risultano essere inferiori rispetto a quello che sarebbe stato se essa fosse stata lasciata fissa come invece succede con gli strumenti a pizzico e ad arco (tranne pochissime eccezioni come la chitarra Lira e la tiorba).
Diametro e lunghezza vibrante sono infatti inversamente proporzionali.
Più la corda si rende sottile con un qualche artifizio (aumento della lunghezza vibrante o della sua densità o entrambe queste due soluzioni che lavorano così in sinergia) -a parità di nota e tensione in Kg- meglio essa risponde acusticamente.
Ma a quale valore di tensione andranno calcolate tutte queste corde?
Già negli strumenti a pizzico e ad arco -pur con una lunghezza vibrante fissa- calcolare il giusto di valore di tensione ‘a tavolino’ risulta problematico se non ‘impossibile’.
Esso è infatti un dato meramente soggettivo, assimilabile ad esempio a quanti cucchiaini di zucchero uno desidera nel suo cappuccino: non è possibile prevederlo a priori, soprattutto poi se chi ha ordinato il cappuccino non è presente nel locale ma in qualche altra sede e desidera sia effettuata là la consegna del prodotto. In altre parole non si è in grado di poter prevedere se al cliente (non presente nel locale) piaceranno uno, due o più cucchiaini di zucchero.
Alcuni infatti prediligono tensioni di lavoro genericamente ‘leggere’ (un cucchiaino di zucchero nel cappuccino…); altri ‘medie’ (due cucchiaini…) e altri ancora tensioni ‘più forti’ (vale a dire tre o più cucchiaini nel cappuccino).
Se tutto questo è già complicato su strumenti con le corde sono sottese tutte alla stessa lunghezza vibrante (dove alla fine si suggerisce di montare inizialmente una muta cosiddetta a ‘media’ tensione e poi fare le prove su questa tendendo o calando di mezzo tono e verificare il risultato) lasciamo immaginare cosa può capitare se la lunghezza vibrante è invece costantemente mutevole come è appunto il caso dell’Arpa: al fine di ottenere un medesimo feel tattile da parte delle corde non esisterà pertanto un unico valore di tensione in Kg ma diversi valori di tensione a seconda della specifica lunghezza vibrante delle varie corde.
Un’arpa da 38 corde avrà dunque 38 differenti valori di tensione (in Kg).
Ci si potrebbe domandare perché all’aumentare della lunghezza vibrante la tensione debba aumentare invece di rimanere sempre la stessa per tutte le corde (con lo stesso valore di tensione tra tutte le corde, mediante una formula matematica, potremmo infatti calcolare agevolmente tutti i diametri).
Bisogna però qui considerare che in realtà quando un musicista preme le corde egli sta valutando la sensazione tattile di tensione, non la tensione in Kg propriamente detta (la quale si può misurare solo attraverso un calcolo o uno strumento di misura) e la sensazione tattile di tensione dipende anche dalla lunghezza della corda: a parità di Kg, una corda più lunga sarà più molle al tatto che la preme rispetto ad una più corta.
Una montatura calcolata tutta con lo stesso valore in Kg presenterebbe di conseguenza delle corde via via sempre più molli a mano a mano che ci si sposta verso le corde più gravi e che diventano via via più lunghe.
——-
Il criterio guida valido per tutti gli strumenti musicali siano essi a pizzico o ad arco è il seguente: una volta raggiunto con una corda quel valore di ‘tensione’ (inteso come feel tattile poi convertibile mediante un calcolo nella tensione in Kg) giudicato soggettivamente ‘giusto’ (vale a dire il giusto numero di cucchiaini di zucchero nel cappuccino) quella medesima sensazione tattile di tensione debba poi ritrovarsi eguale anche tra tutte le corde della montatura ( è il principio dell’equal feel tattile delle montature storiche per strumenti sa pizzico che ad arco dei secoli passati).
Come abbiamo visto, nel caso dell’Arpa l’eguaglianza di feel tattile tra corde di diverso diametro e lunghezza vibrante comporta che le tensioni in Kg siano crescenti a mano a mano che la lunghezza vibrante aumenta.
Ad esempio se per ipotesi una ‘giusta’ sensazione tattile di tensione di una corda acuta di 20 cm di lunghezza vibrante corrisponda poi, da calcolo, a 2,0 Kg; la medesima sensazione tattile di rigidità di una corda più grossa -ma alla lunghezza vibrante di 130 centimetri- potrebbe corrispondere invece ad una tensione di 8-10 Kg (è solo un esempio).
Se la curva del profilo delle varie lunghezze vibranti (segnatamente il modiglione o anche collo) fosse idealmente simile a quella parabolica tipica di un clavicembalo (e magari anche uguale tra tutti i vari modelli di arpa) si potrebbe agevolmente ricavare una formula che determini i Kg da fornire ad ogni corda per ciascuna di queste lunghezze vibranti; sempre al fine di mantenere costante lo stesso feel tattile tra tutte.

Ma nel pratico questa situazione non esiste: il ‘collo/modiglione’ o parte superiore di un Arpa assume infatti forme ad ‘esse’ molto diverse tra strumento e strumento; alcune curve superiori hanno una sorta di ‘esse’ molto pronunciata, altre molto meno: vi è infatti in gioco qui anche/soprattutto la componente estetica dello strumento (altrimenti il profilo delle lunghezze vibranti più adatto sarebbe appunto quello in uso nel clavicembalo il quale, sotto certi aspetti, non è altro che un’arpa orizzontale dotata di tasti meccanici agenti al posto delle dita).
Anche l’inclinazione dalla cassa di risonanza non è standardizzata e tale inclinazione influisce sulla ‘ripidità’ di aumento della lunghezza vibrante passando da corda a corda.
In conclusione, siamo dunque in presenza di una variabilità molto elevata che rende di fatto impossibile il fatto di poter calcolare ‘a distanza’ una qualsiasi montatura per arpa.
Purtoppo questo progressivo aumento di Kg necessari a recuperare l’eguale feel tattile tra le corde mano a mano che diventano piu’lunghe ha come conseguenza l’incremento dei i diametri in gioco, cosa che và vanificare in parte il beneficio indotto dall’aumento compensativo della lunghezza vibrante.
Per approfondimenti sul feel tattile/tensione di lavoro in Kg:
Eguale tensione in Kg/ eguale sensazione tattile di tensione: alcuni utili chiarimenti
Quali soluzioni?
Prima di entrare nella tematica delle soluzioni proposte è bene verificare (basta una volta soltanto) il prodotto FL delle corde dell’ottava più acuta della propria arpa o di quella sotto esame.
Ma che cosa è questo prodotto FL?
E’ un valore guida che ci permette di capire se l’arpa è stata ben proporzionata dal liutaio attuale, soprattutto se si tratta poi di uno strumento utilizzato per repertori medioevali e rinascimentali (di cui non esistono originali sopravvissuti e ci si rifà pertanto alla sola all’iconografia cercando di ricavarne le dimensioni da adottare) ed ha come diretta conseguenza il fatto che le corde più sottili si rompano o no per motivi totalmente indipendenti dalla loro bontà.
Nel caso di un’arpa originale invece, il prodotto FL ci permette di poter dedurre indicativamente per quale corista del tempo essa fu’ progettata e regolarsi di conseguenza.
Infatti, se il prodotto FL risulta al di fuori di certi limiti anche la migliore corda del mondo si spezzerà (budello o sintetico che sia).
Per risolvere il problema di un’Arpa già accquistata di cui ci si accorge poi (seguendo queste indicazioni) che non sia stata ben proporzionata non rimane che passare a delle corde sintetiche particolarmente robuste (Nylon o Fluorocarbonio) oppure rassegnarsi ad accordare lo strumento ad un corista di riferimento che sia tale da far rientrare il prodotto FL entro il range di sicurezza (si capisce che questo non è sempre possibile a causa della copresenza nel gruppo di strumenti ad intonazione ‘fissa’ etc).
Ma perchè si deve calcolare il prodotto FL delle corde della sola ottava piu’ acuta?
Si utilizza solo questa perché è proprio quella in cui le corde lavorano nelle condizioni limite piu’ estreme, del tutto analoghe a quella del cantino di un Liuto: siamo infatti nei pressi della rottura.
Nelle ottave via via seguenti il prodotto FL si riduce progressivamente fino ad arrivare, nell’ultimo basso, anche a valori inferiori a 70.
Come si calcola questo prodotto FL e quale è questo range di sicurezza appena citato?
È molto semplice: si tratta di moltiplicare la frequenza della corda sotto osservazione per la lunghezza vibrante a cui è sottesa in metri. Il numero che ne risulta è appunto il prodotto FL (Frequenza x Lunghezza vibrante).
Facciamo un esempio: nota sol (corista 440) pari a 784 Hz; lunghezza vibrante di 28 cm (0,28 metri).
Quindi: 784 X 0,28 = 219,5 (prodotto FL)
Quindi si confronta questo valore con la seguente tabella
- se il valore e minore o pari a 220: semaforo Verde (la corda non si romperà)
- se il valore e tra 220-230: semaforo Arancione (la corda è a rischio di potenziale rottura per particolari condizioni climatiche, perché la data partita di corde è leggermente piu’ debole. Per il particolare sudore delle dita etc etc)
- se il valore supera 240: semaforo Rosso (la corda potrebbe spezzarsi in fase di accordatura nei pressi della nota finale o dopo pochi minuti)
Attenzione: I valori riportati sopra sono da adottare per le sole corde di budello.
Nel caso dei materiali sintetici, utilizzare la seguente tabella:
- se il valore e minore o pari a 240: semaforo Verde (la corda non si romperà)
- se il valore e tra 250-260: semaforo Arancione (la corda è a rischio di potenziale rottura per particolari condizioni climatiche, perché la data partita di corde è leggermente più debole. Per il particolare sudore delle dita etc etc)
- se il valore supera 260: semaforo Rosso (la corda potrebbe spezzarsi in fase di accordatura nei pressi della nota finale o dopo pochi minuti)
Nota bene: si suggerisce di controllare il prodotto FL non su una corda soltanto della prima ottava acuta ma su almeno quattro/cinque della stessa ottava cercando di individuare proprio quella tra loro che presenta il valore FL più elevato e fare quindi il confronto con le tabelle di cui sopra.
Interessante notare il fatto che a valori FL inferiori a 100 si comincino ad introdurre tipologie di corda con prestazioni acustiche migliori (rivestite su anima di seta, budello appesantito, corde in budello realizzate come una gomena, materiali sintetici caricati con metalli, materiali sintetici dotati di alto peso specifico etc). La domanda: ‘ma quando è che giunge il momento di passare alle corde corde rivestite/appesantite’ etc’ trova così la sua riposta: esattamente quando il prodotto Fl comincia ad essere inferiore a 100. Ne range di prodotto FL compresi tra 110 e 100 potrebbe essere forse utile l’impiego di corde di budello realizzate in alta torsione.
Conoscendo a cosa serve il prodotto FL si riesce ora a capire facilmente come mai nelle arpe a pedali moderne l’ottava ‘zero’ e la prima ottava utilizzano delle corde di Nylon invece di quelle di budello: i prodotti FL delle corde di questo range molto acuto supera infatti il valore 240 fino a raggiungere picchi di 265 rendendo impossibile l’impiego di corde di materiale naturale. Và però anche detto che le arpe di questo genere utilizzano corde di budello molto verniciate ed estremamente rigide richiedendo pertanto elevate tensioni di lavoro per poter riuscire a lavorare bene (molto disarmante notare il brusco incremento di feel tattile e la grande differenza acustica che si nota nel passaggio tra l’ultima corda di budello alla prima corda rivestita su anima metallica).
Il prodotto FL in strumenti originali (o loro copie fedeli)
Il problema del calcolo preventivo del prodotto FL risulta di una certa rilevante importanza soprattutto se si ha a che fare con strumenti originali o copie degli stessi (indipendentemente che siano del Cinquecento; Seicento, Settecento e Ottocento).
Potremo infatti scoprire dei valori di prodotto FL delle corde della prima ottava siano troppo elevati o viceversa piuttosto ridotti, oltre cioè il ‘semaforo arancione’ o, viceversa, situati nel range più basso del citato ‘semaforo verde’ (per inciso, il range di prodotto FL di 225-235 da noi denominato ‘semaforo arancione’ è quello tipico che si è riscontrato in numerosi Liuti, Tiorbe e chitarre a cinque ordini originali di cui si suppone non siano stati modificati la cui provenienza riguarda zone e periodi il cui corista standard sia stato accertato con una certa sicurezza: mezzo punto veneziano; corista romano del Seicento, Corista Francese del Seicento; il Kammerton tedesco tipico della metà del Settecento)
Perché?
Perché il corista di riferimento da noi probabilmente adottato per il calcolo del detto prodotto FL (in genere 440 oppure 415 ma talvolta -anche se molto più raramente- 390 o 465) potrebbe non coincidere con il corista standard che l’antico costruttore dell’arpa adottò e a cui si riferì nella scelta delle lunghezze vibranti.
Tuttavia se si considera il valore medio del range di sicurezza ‘arancione’ il quale fu tipico degli strumenti a pizzico come i Liuti e le Chitarre pari a 230 come il valore guida adottato anche dall’antico costruttore (l’Arpa è sempre all’interno della famiglia degli strumenti sa pizzico) potremo arrivare a stimare persino quale fu questo misterioso corista mediante i seguenti passaggi di questo esempio pratico:
Nella posizione deputata alla corda del ‘La’ della prima ottava più acuta consideriamo che sia ipoteticamente accordata secondo il corista moderno di 440 Hz, per cui saranno 1760 Hz.
Misurata che sia la la sua lunghezza vibrante in metri (poniamo di trovare che sia di 13,9 cm; vale a dire 0,139 metri) ora calcoliamo il prodotto FL:
1760 Hz x 0,139 metri= 244,6 di prodotto FL (semaforo rosso!)
Ora vediamo quale dovrebbe essere la percentuale di riduzione di frequenza necessaria affinché il prodotto FL vada al valore medio adottato, cioè 230, mediante questo calcolo:
230/244,6= 0,94
Ciò significa che la frequenza della nota ‘la’ da noi impostata che era riferita al corista moderno di 440 Hz deve ridursi dello 0,94 (cioè del 6%).
Quindi:
1760 Hz x 0,94 =1654,4 Hz (andando quindi giù di due ottave si arriva ad un ‘La’ standard pari a 413 Hz: il corista originale fu pertanto intorno a questa frequenza).
Se si intende utilizzare una montatura in budello l’arpa potrà per esempio lavorare intorno al corista barocco attuale di 415 Hz e rispetterà molto da vicino le condizioni progettuali del costruttore.
Utilizzando delle corde sintetiche si potrà tuttavia arrivare ad accordare anche al corista di 440 Hz attuale (adattando naturalmente i diametri delle corde e non semplicemente accordandola più acuto a meno che il feel tattile delle corde non si ancora congruo).
Nota per i liutai: volendo fare una copia esatta di questo nostro esempio di arpa ma che sia invece ritarata/riportata al corista attuale di 440 Hz tutte le lunghezze vibranti dovranno essere moltiplicate per il coefficiente 0,94%. In pratica l’intera arpa dovrebbe essere ridotta in proporzione secondo questo coefficiente (a titolo di esempio: è come se con la fotocopiatrice riducessimo il testo originale allo 0,94% dell’originale).
Per maggiori approfondimenti sul prodotto FL:
Soluzioni proposte
(attenzione: in questo nostro lavoro non vengono trattate tutte quelle arpe antiche che presentano i cosiddetti ‘arpioni’. In questa specifica situazione le cose si rendono più complesse sia perché gli arpioni sono uno diverso dall’altro e sia per la speciale e delicata taratura richiesta al fine di produrre il caratteristico ronzio)
Le soluzioni che suggeriamo sono essenzialmente tre:
1) La prima verte sul fatto che ci venga fatta pervenire la lista dei diametri adottati dal costruttore o in alternativa indicati da un amico/collega che usa lo stesso modello di arpa. Sarà poi compito nostro convertire i diametri a seconda della natura del materiale delle corde.
Si suggerisce tuttavia di non credere ciecamente a ciò che ci verrà dato: una volta montate le corde verificare l’effettiva omogeneità del feel tattile di tutta la montatura correggendo le corde che dovessero risultare o piu’ molli o piu’ tese rispetto alla media. Si tratta semplicemente di innalzare od abbassare la corda molle o troppo tesa di un semitono e quindi verificare se feel tattile si è finalmente allineato.
Per ricavare il diametro da reinstallare fare come segue:
-moltiplicare per 0,944 il diametro di corda nel caso ci si debba calare di mezzo tono
-moltiplicare per 1,06 il diametro di corda nel caso ci si debba alzare di mezzo tono
Se la differenza è invece di un tono ripetere l’operazione sopra riportata moltiplicando il diametro ottenuto ancora con il coefficiente precedentemente usato.
2) La seconda soluzione è più laboriosa ma porta a risultati molto buoni: si tratta di ricostruire ‘l’abito su misura’ procedendo per ‘steps’ successivi.
Si parte acquistando una certa quantità base di corde di diverso diametro; l’ideale sarebbero dei calibri di diametro compreso tra 0,50 e 1,80 mm (si può stare tranquilli per la spesa: alla fine verranno utilizzati tutti nella montatura definitiva).
Ad esempio: 0,50; 0,60; 0,70; 0,80; 0,90; 1,00, 1,10; 1,20; 1,30; 1,40; 1,50; 1,60; 1,70; 1,80 (non ha alcuna importanza se si tratta di corde sintetiche o di budello purché siano tutte della stessa natura, non mix vari)
Il passo successivo è quello di trovare i calibri giusti per tutte le note ‘sol’ delle varie ottave partendo però da quello della prima ottava così procedendo:
Si installa un diametro di corda che sia leggermente più grosso di quello che si presume sia corretto e si va via via su’ di frequenza sino a che si raggiunge una nota qualsiasi dove il feel tattile di tensione manifestato dalla corda sia quello da noi desiderato giusto.
Poniamo che si abbia voluto utilizzare come test il diametro 50 (0,50 mm cioè) e che già alla nota di Mi si sia manifestato il feel tattile di tensione che desideriamo (siamo a tre semitoni al di sotto dal Sol). Come si fa a ricavare il diametro di corda che portato a Sol mi vada a manifestare fornisce lo stesso feel tattile di tensione di questo 50 che si trova alla nota di Mi?
Facile:
basta moltiplicare il diametro 0,50 per il coefficiente 0,944 e si ottiene un salto di diametro pari a mezzo tono. Moltiplicando ripetutamente ogni nuovo risultato per 0,944 si ottengono i vari diametri calanti di mezzo tono alla volta. Va da sé che allora essendo la distanza tra mi e Sol pari a tre semitoni che moltiplicando per tre volte con il coefficiente 0,944 si vada alla fine a ritrovare il diametro di corda incognito il quale accordato finalmente a Sol manifesterà lo stesso feel tattile di tensione da noi considerato giusto della corda 50 accordata a Mi.
Quindi: 0,50 x 0,944 = 47,2 (nota Fa naturale); 47,2 x 0,944= 44,5 (nota Fa diesis); 44,5 x 0,944= 42,0.
Il diametro da utilizzare per la nota Sol della prima ottava e che fornirà un feel tattile di tensione da noi desiderato sarà dunque una 42.
Fatta questa operazione si procede ora con la nota Sol della seconda ottava ricalcando esattamente la procedura sopra indicata (installando naturalmente un diametro che sia piu’ grosso e moltiplicando ‘enne’ volte il diametro ottenuto tanti sono i semitoni necessari raggiungere la nota Sol.
Si procede via via in questo modo per tutti i Sol delle varie ottave.
Ci si potrebbe ora domandare come mai si è scelto di installare una corda che sia più grossa e non più sottile di quella che stimiamo che possa essere giusta.
La risposta è semplice: se la corda fosse troppo sottile nella ricerca del giusto feel tattile di tensione ci si troverebbe ad eccedere la nota finale di una valore tale da comportare il superamento del valore FL max suggerito (pari a 230) e conseguente eventuale rottura della corda di test: ricordo che nella prima e seconda ottava le corde lavorano tutte nei pressi della loro rottura (cioè prodotti FL maggiori di 210). Partendo ‘dal basso’ non si corrono invece questi rischi.
Qualora si notasse che la corda prescelta come test del feel di tensione tattile andasse a superare la nota finale suggeriamo di fermarsi ed utilizzare al suo posto un diametro un poco più spesso.
Passate le prime due ottave il rischio di superamento del prodotto FL e relativa rottura della corda non sussiste più: ecco allora che si rende possibile -nella ricerca del feel tattile giusto di tensione- superare la nota finale cercata (Sol nel nostro caso) e moltiplicare ‘step- by -step’ di un semitono alla volta in questo caso discendente mediante il coefficiente 1,06 che non è altro che il reciproco di 0,944.
Esempio:
vogliano trovare il diametro giusto di corda per il Sol terza ottava. Stimiamo che una corda da 1,20 mm possa andare bene per il test. Andando su di un semitono alla volta ci accorgiamo che alla nota di Sol essa è ancora ‘molle’ per i nostri gusti mentre raggiunge il valore di tensione tattile giusta solo quando raggiunge il La diesis.
Tra Sol naturale e il La diesis ci sono tre semitoni. Moltiplicando 1,20 mm per il valore 1,06 otteniamo quale dovrà essere il diametro per la nota La naturale. Proseguendo step by step con il nuovo risultato trovato si ha un incremento di diametro di mezzo tono alla volta sino a raggiungere la nota voluta, che è Sol:
1,20 mm x 1,06 coefficiente= 1,27 mm (sarebbe il diametro per nota La naturale); 1,27 mm x 1,06= 134,8 mm (sarebbe il diametro per nota La bemolle); 134,8 mm x 1,06 = 142,9 mm (questo è il diametro per la nota Sol naturale che noi desideriamo).
Questo valore andrà poi arrotondato ai diametri commerciali disponibili: 1,32 mm o 1,36 mm (meglio optare per il 136).
Ma perché siamo partiti proprio dal Sol?
La domanda è lecita: nulla vieta infatti di partire anche da un’altra nota tuttavia il Sol è quello piu’ comodo rispetto a un Do che risulta colorato di rosso o ad un Fa che risulta colorato di blu o nero.
Comunque sia andata con questa prima operazione abbiamo individuato i diametri giusti per tutte le corde Sol della nostra arpa.
La tappa successiva è individuare i diametri giusti di tutte le corde di Re della montatura.
Perché proprio le corde di Re?
Perché il Re è la nota che sta grossomodo ‘in mezzo’ tra i Sol di due diverse ottave.
Si procede esattamente come abbiamo fatto con le corde di Sol ma con un vantaggio in piu’: ora abbiamo a disposizione il diametro di corda del Sol che precede il nostro Re e del Sol che lo segue.
Come corda ‘test’ per il Re si suggerisce pertanto di utilizzare una valore di diametro che stia a metà di quello dei due Sol.
Facciamo un esempio pratico:
Poniamo che il Sol che precede il nostro Re abbia un diametro di 1,36 mm e che il Sol che segue abbia invece un diametro di 0,58 mm. Per testare il feel tattile della nostra supposta corda di Re -la quale si trova all’incirca a metà tra i due Sol- si potrebbe utilizzare allora una corda di diametro intermedio tra le due: 1,36 +0,58/2= 0,97 mm.
E’ molto probabile che non si sia in possesso di questo diametro esatto; al fine del nostro test è tuttavia sufficiente utilizzare un diametro che sia intorno a questo valore, per esempio tra 0,90 e 1,05 mm.
Quindi si esegue la solita procedura moltiplicando con il coefficiente 0,944 se il giusto feel tattile di tensione viene raggiunto alle note più gravi del Re o 1,06 se invece il detto feel tattile di tensione viene raggiunto a frequenze oltre il nostro Re.
Attenzione: ricercando i diametri della corda Re della prima e seconda ottava si suggerisce ancora una volta di installare un diametro un po’ più grosso di quello che pensiamo sia giusto in modo tale che il feel tattile corretto si raggiunto stando alle note più basse del Re (evitando quindi di incappare in rotture della corda se si eccede di frequenza oltre al Re superrando così il prodotto FL ‘di garanzia’ di 230)
Compiuta questa seconda operazione abbiamo finalmente trovato tutti i diametri delle corde di Sol e di Re che danno luogo al feel tattile di tensione da noi desiderato.
Per ricavare i diametri delle restanti note che si trovano ‘in mezzo’ La, Si, Do Re, Mi, Fa si tratta di tentare un ‘raccordo ponte’ di natura empirica tra i vari diametri.
Suggeriamo tuttavia di lavorare per un raccordo tra i diametri che sia meno ‘allargato’, individuando ad esempio anche le corde adatte per tutti i Si della montatura seguendo il metodo di cui sopra con l’ulteriore vantaggio che ora l’incertezza del diametro si và ulteriormente a ridursi.
Fatta questa operazione non ci resta che ‘raccordare’ i diametri intermedi delle note che stanno ‘in mezzo’, ovvero La, Si Do e delle note dopo il Re: Mi, Fa.
Finita l’intera montatura seguiranno piccoli aggiustamenti perché nel tempo le corde possono avere assestamenti individuali: quello che è sicuro è che così procedendo si realizza un vero e proprio ‘abito su misura’; condizione questa che si incontra molto raramente nelle montature calcolate a distanza.
3) Esiste un terzo metodo per ricavare l’intera montatura. Si procede in questo modo: si sceglie una nota che sia all’incirca a metà della cordiera e si installa una corda di diametro verosimile a quello che si presume sia quello giusto (se siamo a metà della cordiera non saranno naturalmente diametri maggiori di 1,50 mm o inferiori a 0,60 mm); poniamo che si decida di installare una 0,94 di budello. Si va quindi su’ di frequenza sin tanto che si raggiunge il feel tattile di tensione giudicato ‘giusto’.
A questo punto si rileva la nota raggiunta e a quanti Hz essa coincida: facciamo finta che sia un Do a corista 440 (essa corrisponde a 130,8 Hz).
Avendo quindi Lunghezza vibrante (0,90 metri); diametro della corda (0,94 mm); densità del materiale (per il budello 1,3) possiamo -mediante la formula delle corde- calcolare a quanti Kg corrisponde il feel tattile di tensione da noi considerato appropriato:
Esempio pratico:
Frequenza: 130,8 Hz
L. vibrante: 0,90 metri
Densità: 1,3
Diametro: 0,94 mm
Risultato del calcolo: 5,1 Kg
Significa che per la lunghezza vibrante di 0,90 metri il giusto feel tattile di tensione si manifesta quando la tensione è intorno a 5,1 Kg (sottolineo la parola ‘intorno’: che siano 5,0 o 5,2 Kg si farà fatica a precepire un’aprezzabile differenza di feel tattile). Utilizzando un diametro della corda il feel tattile da noi considerato ‘giusto’ si manifesterà naturalmente ad una frequenza piu bassa; utilizzando invece un diametro piu’ sottile sarà invece ad una frequenza piu’ acuta ma saremo sempre al valore di 5.1 Kg di tensione.
Giunti a questo punto si applica la regola empirica -da noi verificata sperimentalmente mediante un apposito atrezzo- che al fine di mantenere costante il feel tattile di tensione, la tensione in Kg si deve elevare di 2 etti ogni 10 cm di lunghezza vibrante in piu’ (o due etti in meno ogni 10 cm di lunghezza vibrante in meno). Ovviamente si può ricavare il valore incrementale della tensione anche per lunghezze vibranti intermedie mediante una semplice proporzione.
Procedendo in questo modo si riesce a ricostruire i valori di tensione della intera montatura (anche se noi suggeriamo di limitarsi a ricavarla solo per due per ottava come ad esempio il Sol e il Re oppure tre note per ottava: Sol, Re e Si procedendo poi a ‘raccordare’ come nel precedente esempio 2) .
Avendo dunque uno schema di valori di tensione per le note Sol, Re e Si di tutte le ottave non resta che ricavare il diametro delle varie corde mediante l’equazione:
Facendo un esempio pratico:
Tensione: 5,1 Kg
Frequenza: 130,8 Hz
L. vibrante: 0,90 metri
Densità: 1,3
Risultato del calcolo: 0,94 mm diametro.
Un ultimo avvertimento:
Cambiando marca e tipologie di corde della nostra montatura saranno probabilmente necessari dei piccoli o medi aggiustamenti nella scelta dei diametri. A seconda del fabbricante le corde di budello possono essere infatti più o meno rigide. E’ pertanto evidente che dovendo sostituire una data corda di diametro ad esempio 1,20 dotata di una certa elasticità con un’altra che sia magari più rigida che la stessa appaia poi un poco piu’ ‘tesa’.
Naturalmente è sempre una sensazione tattile di tensione. Può capitare anche il fenomeno esattamente inverso nel caso si passi da una corda rigida ad una piu’ elastica.
La soluzione consiste nel calare od alzare la corda di mezzo tono alla volta ed utilizzare il coefficiente 0,944 se la corda si deve calare cala o 1,06 se la corda si deve alzare al fine di riaggiustare il corretto feel tattile e ricalcolare così il nuovo assetto di diametro.
Nel caso di materiali sintetici bisogna tenere ben presente che esistono di base tre tipologie aventi densità differenti: quelle di Nylon (densità 1,04); quelle in Nylgut/Silkgut SH/Sugar (densità 1.30) e infine quelle in Fluorocarbonio (densità 1.78). Si rende necessaria in altre parole una operazione di conversione dei diametri. Ad esempio passare dal Nylon al Nylgut7Silkgut/Sugar SH rende necessario moltiplicare il diametro dei calibri in nylon per 0,91; 1,10 se si desidera invece passare da questi tre materiali alle corde di Nylon.
Considerando tuttavia che il Nylgut/Silkgut/Sugar si allungano maggiormente del Nylon si suggerisce di passare direttamente al diametro commerciale immediatamente superiore.
Per esempio: corda di Nylon da 1,00 mm x 0,91 = 91 Nylgut/Silkgut/Sugar SH: adottare non il 91 ma il 94 (che è appunto il diametro commerciale immediatamente superiore). Naturalmente il musicista valuterà tattilmente se è meglio stare sul 91 o sul 94.
Va tuttavia tenuta ben presente una regola generale: una volta calcolato il profilo corretto dei diametri secondo il nostro metodo dove si è utilizzata una ben definita tipologia di corde (attenzione: le corde di budello variano molto a seconda del manifattore) passare ad altri materiali mantenere gli stessi medesimi diametri potrebbe non funzionare.
Per prima cosa è bene fare pertanto un test sostituendo più o meno a metà della cordiera una data corda di diametro noto con una dello stesso calibro di quelle che desiderano poi montare: se le cose vanno bene potremo notare una invarianza di feel tattile rispetto alle corde delle posizioni adiacenti. In caso di varianza si tratterà di andare in su’ o in giu’ di tot semitoni fino a recuperare lo stesso feel tattile delle posizioni adiacenti ed utilizzare il coefficiente che se ne ricava per moltiplicare TUTTI i diametri della vecchia montatura con lo stesso coefficiente. Ad esempio se si decide di installare tutte corde sintetiche in Nylon -indipendentemente dal fatto che il Nylon ha un diverso peso specifico- si installa una corda di questo materiale che abbia lo stesso diametro di quella precedente (che può essere stata di budello, Nylgut etc) e si esegue la verifica suggerita ricavando il coefficiente correttivo (che in genere è di uno o due semitoni). Se il coefficiente correttivo sta ‘in mezzo’ tra uno e due semitoni si fa una media.
Delle corde gravi rivestite /appesantite
Le corde rivestite utilizzate nel mondo dell’arpa del passato furono sostanzialmente quelle con anima di budello ricoperto a spire accostate con filo di falso argento (così nel Settecento chiamavano il filo di rame argentato) seguite verso la metà del secolo dalle corde di multifialmento di seta sempre rivestite da rame argentato.
In alcune fonti iconografiche si ha anche evidenza di corde basse di tipo demifilè su anima di budello
Oggi tutte queste tipologie di corda sono state nella maggior parte dei casi sosituite da quelle con multifilamento di Nylon ricoperte sempre di rame argentato; le differenze sostanziali consistono nel fatto che le corde moderne hanno una resa acustica piu’ brillante, maggior sustain; maggior restistenza alla trazione e maggior stabilità ai cambi climatici.
Ma come si caratterizza una corda rivestita?
La misura piu’ comune che viene riportata a noi cordai quando si tratta di duplicare una corda rivestita è il suo diametro esterno.
Ma questa misura non risulta di alcuna utilità pratica: esistono infatti ‘infinite’ proporzioni tra anima di multifilamento e diametro di metallo la cui combinazione può portare ad avere lo stesso medesimo diametro esterno mentre le proprietà acustiche cambiano drasticamente.
Ad esempio una corda filata da 2,0 mm di diametro può benissimo essere una anima interna di 1,95 mm filata con un filo metallico di 0,025 mm come avere un’anima interna da 1,0 mm e il filo metallico di ricopertura pari a 0,50 mm di diametro. ma entrambe hanno un diametro esterno di 2,0 mm!
E allora che si fà?
Al cordaio che le deve duplicare/realizzare serve invece quanto segue:
1) che gli si invii un pezzetto di corda e poi lui si arrangia
2) che si calcoli il suo budello equivalente e che poi glielo si comunichi
Ma cosa è il budello equivalente e come si calcola? Si tratta di una corda ipotetica di un certo diametro ‘x’ la quale messa sulla bilancia pesa esattamente come la corda filata sotto esame. Il detto budello equivalente alla nostra filata se fosse montato ed accordato avrebbe pertanto la stessa tensione in Kg (ma la resa sonora sarebbe ovviamente scarsa).
Calcolare il budello equivalente non è difficile: si pesa la corda e si misura la sua l’intera lunghezza; si divide quindi il suo peso in grammi/ lunghezza in metri: il numero che ne risulta si mette sotto radice quadrata e il risultato ottenuto lo si moltiplica per 0,99.
Il numero che ne risulta è il nostro budello equivalente.
Và da sè che si può effettuare questo calcolo anche in presen za di soli 10 cm di corda: ovviamente il valore del budello equivalente sarà un poco meno accurato.
Giunti a questo punto sembra che sia fatta ma non è così. manca all’appello l’Indice di metallicità
In altre parole: se consideriamo il peso della corda, la parte di metallo che percentuale prende del detto peso? Questa ripartizione percentuale del peso dell’anima e del metallo ha importanza diretta nel tipo di sonorità finale: Indici di Metallicità piu elevati produrranno sonorità piu’ ‘metalliche e brillanti; viceversa sonorità piu’ rotonde e ridotto sustain.
Qui non esiste formula matematica che tenga perchè si tratta di un fattore legato esclusivamente al gusto estetico/tipo di strumento/tipo di repertorio etc etc: una volta fissato il budello equivalente (vale a dire la tensione di lavoro) sarà dunque compito del cordaio realizzare tre, quattro corde rivestite con Indici di Metallicità vicini così che il musicista possa decidere la tonalità timbrica da lui desiderata.
Ciò detto, lo scrivente ha scoperto che il range di Indici di metallicità graditi ai musicisti non è in realtà così ampio: se si rappresenta il tutto in una curva a campana detta Gaussiana esso risulta circoscritto in un ristretto range dove se si và oltre sulla ‘sinistra’ la corda diventa eccessivamente sorda e poco performante a causa del basso Indice di Metallicità (vi è un netto prevalere della massa dell’anima sopra quella del filo metallico); viceversa se ci si spinge troppo ‘a destra’ la corda comincia ad essere eccessivamente brillante e metallica a causa dell’elevato Indice di Metallicità (la massa del filo metallico prevale su quella dell’anima). In seguito a ciò lo scrivente ha definito con una certa dose di fantasia il ‘range del bello‘ quel breve tratto di Indici di Metallicità dove la totalità dei musicisti alla fine si ritrova (nei valori estremi di questo range troviamo quelli che amano sonorità piuttosto rotonde e percussive; viceversa coloro che amano sonorità decisamente brillanti se non proprio metalliche).
Corde appesantite/caricate: il solo dato che interessa conoscere è il budello equivalente: valgono pertanto le regole sopra suggerite (pesare la corda e ricavare la sua intera lunghezza etc etc). Il valore di diametro esterno potrebbe tuttavia tornare utile nel caso si desideri poi calcolare il suo peso specifico così da risalire alla quantità di polvere metallica che fu aggiunta al budello/polimero (esistono infatti corde gravi appesantite che hanno percentuali diverse di carica metallica)
Ulteriori informazioni circa le corde rivestite storiche:
Avvertimenti finali
Sembra opportuno, giunti a questo punto, segnalare quali potrebbero essere i tre rischi potenziali.
- Il primo è rappresentato dal fatto che in presenza di un’arpa originale si potrebbe correre il rischio di montarla inavvertitamente con più tensione di quello che potrebbe effettivamente reggere a causa della sua età.
- Il secondo problema potrebbe essere costituito dal fatto che il ‘feel tattile’ di cui si ha esperienza potrebbe essere quello ‘costruito’ intorno all’arpa a pedale e poi inavvertitamente applicato ad arpe più delicate o di natura diversa.
In situazioni di questo genere si suggerisce di sentire prima il parere di un liutaio specializzato in Arpe, il quale è in grado di poter esprimere un parere sullo stato fisico dell’arpa.
- Il terzo problema è costituito dal fatto che non ci si è curati di verificare almeno una volta i prodotti FL delle corde della prima ottava: fatelo!
Conclusioni
Come si è visto, l’Arpa è l’unico strumento che faccia lavorare quasi una buona metà delle corde della sua montatura nelle condizioni tipiche dei cantini degli strumenti ad arco (cioè con prodotti FL compresi tra 230-180: siamo tra i due i quattro semitoni dalla rottura); la restante parte della montatura -che riguarda ovviamente le frequenze medie fino alle più gravi- presenta prodotti FL via via inferiori; si ha quindi un maggior margine di sicurezza.
In virtu’ di questo fatto per le prime due ottave acute è bene pertanto utilizzare delle corde di budello che NON siano troppo elastiche e quindi maggiormente robuste alla trazione. Sono da prediligere allora corde piuttosto rigide e poco flessibili (realizzate cioè in bassa torsione) le quali garantiscono una grande resistenza tensile, minor usura e minori giri avvolti attorno alle spine coniche/ bischeri.
Procedendo verso le corde più spesse a partire da metà circa della intera montatura si può cominciare invece a pensare di utilizzare corde dotate di maggior elasticità (alta torsione cioè) guadagnando pertanto il più possibile in rendimento acustico così da limitare al massimo la necessità di intervento con altre tipologie prima elencate, tra cui in primis le corde rivestite.
Essendo corde più elastiche ci si accorgerà che sarà necessario incrementare di un qualcosa il loro diametro sempre al fine di mantenere costante il feel tattile tra tutte.
Non sarebbe infine malvagia la pratica di pre-tirare queste corde più grosse prima di installare dopo averle fissate ad esempio da un lato ad un morsetto tirandola la pinza dall’altro lato in modo da scaricare il cosiddetto ‘allungamento non recuperabile’, il quale altrimenti lo troveremo sotto forma di giri inutili in più al bischero (che offre già di per se poco spazio ai giri della corda).
Vivi felice
Mimmo Peruffo, Giugno 2020