Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 1)
Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta
di Mimmo Peruffo
“Las cualidades sonoras del mejor instrumento desmerecen si está provisto de cuerdas mediocres.” (Emilio Pujol, Escuela razonada dela Guitarra, Buenos Aires, 1934)
INTRODUZIONE
In fatto di corde e criteri di scelta delle montature per chitarra nel corso del XVIII, XIX e parte del XX secolo, lo studio del materiale storico recentemente reperito non ha mancato disuscitare una certa sorpresa, forse perché ben poco in questo campo è stato finora indagato. Inoltre è tuttora radicata l’opinione che tutto ciò che faccia parte del passato di questo strumento sia in qualche modo riconducibile semplicemente ad una serie di passaggi intermedi di quel lungo processo evolutivo che avrebbe portato alla cosiddetta “meta” finale: l’avvento della chitarra “di Torres” (e sue varianti), 1l’uso delle unghie della mano destra e l’abbandono delle primordiali corde di minugia in favore dei materiali sintetici. Vige poi l’idea – presa a prestito forse dagli strumenti ad arco riadattati per eseguire la musica barocca – che la chitarra dell’Ottocento e di parte del secolo seguente fosse caratterizzata da incordature assai leggere rispetto ai criteri odierni. Trattandosi infine nello specifico di corde di budello, è ancor più radicata l’opinione che le prestazioni acustiche globali dovessero essere in qualche modo inferiori a quelle delle corde di nylon o di PVDF (polivinil dilenfluoruro), il cosiddetto “carbonio”, nonostante siano ben pochi coloro che hanno provato sulla propria chitarra una sola corda di minugia. Ciò che ha cominciato in realtà a trasparire dall’esame della documentazione reperita – opportunamente integrata da una certa sperimentazione pratica – spinge con forza verso realtà sostanzialmente differenti. Questo contributo sembra rendersi dunque necessario, non soltanto perché si va sempre più ingrossando la schiera di coloro che stanno riscoprendo il gusto di suonare determinati repertori con strumenti d’epoca o copie degli stessi, ma perché, più semplicemente, si tratta di un atto di per sé doveroso per il recupero della storia (non solo musicale) del nostro strumento e, non ultimo, per poter ascoltare con spirito ancor più consapevole le incisioni chitarristiche anteriori agli anni Cinquanta, epoca in cui budello e seta regnavano indisturbati. Così, se la ricostruzione filologica degli antichi repertori musicali e il recupero degli strumenti ad essi relazionati non possono assolutamente prescindere dall’indagine, a sua volta puntuale e comparata, dei vari elementi a disposizione, allora la corda, quale essenza generatrice del suono, ne rappresenta certamente l’elemento cardine di partenza; essa è infatti – come già ormai dimostrato da numerosi studi –non più “pietra scartata dal costruttore” (semplice accessorio, insomma) bensì “pietra angolare del tempio”. Uno strumento privo di corde – Stradivari o Torres che sia – risulta privo di vita musicale propria, se non quella dovuta alla semplice percussione dello stesso.
Nella nostra trattazione si sono evitate di proposito le corde di metallo, le quali, nel mondo della chitarra, cominciarono a prendere piede, a partire dalla seconda metà del XIX secolo inconseguenza della comparsa dell’“acciaio da pianoforte” (1840 circa), materiale questo di elevatissima resistenza tensile rispetto al ferro fino ad allora impiegato (assieme ad ottone e bronzo)negli strumenti a tastiera e a penna (come ad esempio il mandolino) ma non nella chitarra asei corde. Nel mondo della chitarra – soprattutto se “còlta” – vi sono state, infatti, ben poche eccezioni al budello; circoscritte essenzialmente intorno alla popolana “Chitarra Battente” o a scelte particolari come quella di Agustín Barrios.2
LE QUATTRO ETÀ DELLE CORDE DI BUDELLO
Il budello è un un materiale di impiego millenario: sono state ritrovate ad esempio corde diminugia in antichi strumenti a pizzico egizi risalenti alla Terza Dinastia3. Nel corso dei secoli si assistette ad un processo di affinamento delle tecniche necessarie a produrre una buona corda, ma solo verso la seconda metà del secolo XVII questa lunga parabola evolutiva portò alla rivoluzionaria scoperta e diffusione delle corde gravi filate, costituite da un’anima di budello completamente rivestita da un sottile filo metallico, generalmente argento ma anche rame e ottone. La ricerca ha permesso di formulare l’ipotesi che la tecnologia di manifattura delle corde di budello si sia sviluppata non tanto attraverso una lenta progressione ma, piuttosto, per bruschi cambiamenti dovuti all’apporto di qualche novità tecnologica che si è poi ripercossa con sorprendente rapidità sugli strumenti musicali coevi, determinando la comparsa/scomparsa di alcune classi che si erano mantenute in relativo stato di quiete nei periodi “di transizione”. Questa affermazione può essere efficacemente verificata esaminando ad esempio gli effetti causati in alcuni strumenti musicali dalla comparsa delle corde gravi filate, responsabili dirette del rapido abbandono degli ingombranti bassi di violino in uso fino alla fine del Seicento –o poco oltre – in favore del nascente violoncello4. La comparsa delle stesse permise inoltre l’aggiunta della sesta corda ad una chitarra di limitata lunghezza vibrante rispetto a quelle del recente passato e questo senza conseguenze negative nella resa acustica. È da sfatare nel modo più assoluto la concezione ricorrente che le corde degli antichi fossero in qualche modo “primordiali”, lontane cioè dalla presunta perfezione delle nostre. La ricerca, si diceva, ha permesso di formulare l’ipotesi di quattro “età” caratteristiche della tecnologia di manifattura delle corde di budello. La “prima età” delle corde musicali si perde nella notte dei tempi ed è stata identificata in quel lungo processo di selezione empirica delle materie prime naturali atte a possedere un certo grado di resistenza tensile e una certa predisposizione spontanea a produrre suono una volta intrecciate tra di loro, prime fra tutti la seta e il budello. Quest’ultimo, forse a causa della più facile reperibilità, prese il sopravvento nell’occidente cristiano e nelle civiltà del bacino mediterraneo.
Ne sono seguite l’individuazione e la messa a punto progressiva del sistema di fabbricazione più idoneo, quello indicato, in buona sostanza, dai numerosi ricettari “fai da te” del Medioevo: procedimento sorprendentemente simile a quello attuale. Ecco ad esempio una ricetta di anonimo tratta dal Secretum Philosophorum, Secolo XV:
Ad faciendum cordas lire Cum autem volumus facere cordas lire […] recipe intestina oviumet lava ea munde et pone ea in aqua vel in lexivia per dimidium vel plus usque caro se separetleviter a materia corde que est similis quasi nervo. Post depone carnem de materia cum pennavel cum digito mundo. Post pone materiam inlescivia forti vel rubio vino per 2 dies. Post extrahe et sicca cum panno lineo et iunge 3 vel 4simul secundum quantitatem quam volueris habere et atturna ea usque sufficiat. Et extende easuper parietem et permitte sicare […].5
Il prodotto finito, in virtù del fatto che la manifattura non risultava ancora professionalizzata, doveva con tutta probabilità caratterizzarsi da una variabilità qualitativa piuttosto ampia.
La seconda tappa evolutiva si può senz’altro collocare tra la seconda metà del XV secolo e la metà del secolo seguente. Essa sembra coincidere con la comparsa della figura del cordaio, il quale perfezionò e razionalizzò le tecniche manufatturiere già in uso portando la qualità delle corde armoniche ai massimi livelli meccanici e acustici. Emblematica in tal senso la scomparsa pressoché totale, dai ricettari del tempo, dei procedimenti per far da sé le corde, ricette piuttosto diffuse nel Medioevo. Lungo il corso del Cinquecento, i centri più rinomati nella produzione di corde armoniche furono anche importanti centri di tintura e filatura di seta e cotone, basti ad esempio citare Barcellona, Monaco, Norimberga e Lione. Non possiamo escludere pertanto una possibile acquisizione, da parte dei cordai di queste città, delle più complesse tecniche di filatura in uso per le sete, acquisizione che permise una prima importante riduzione della rigidità delle corde più spesse utilizzate nei registri gravi degli strumenti.
Questi bassi dovettero per forza di cose essere ancor più elastici ed efficienti del solito, se ci si poté permettere un primo mutamento in ambito morfologico: il liuto, ad esempio, già verso la seconda metà del XV secolo poté espandersi decisamente verso il grave di un intervallo di quarta, talvolta quinta, con l’acquisto di una sesta corda doppia (il cosiddetto “coro”); così accadde anche per le viole da arco.
La terza tappa evolutiva si può collocare verso la seconda metà del XVI secolo quando vi fu un ulteriore, importante salto di qualità da parte degli strumenti musicali: al liuto venne aggiunto un settimo coro più grave (e inseguito diversi altri sulla tastiera) accordato già da subito addirittura una quarta, talvolta una quinta, al di sotto del sesto. Negli strumenti ad arco si è accreditata l’ipotesi di una certa contrazione delle lunghezze vibranti – a parità di intonazione, s’intende – rispetto a quelle precedentemente in uso.6
Studi recenti7 tendono a dimostrare che la ragione di queste repentine modifiche sia da ricondurre all’applicazione di un’idea rivoluzionaria: l’incremento del peso del budello utilizzato per fare le corde dei bassi mediante opportuni trattamenti di carica con metalli pesanti. Nell’iconografia musicale del Seicento non è infrequente infatti osservare che le corde di questi registri – che dai trattati per Liuto del tempo si sa essere sempre e solo di budello – si presentano con colorazioni che vanno dal rosso cupo fino al marrone, completamente differenti quindi da quella gialla, tipica del budello naturale: queste colorazioni compaiono proprio là dove oggi si utilizzano i bassi filati moderni. I fori per i bassi dei ponticelli (presunti) originali di numerosi liuti storici presenti nei musei risultano inoltre troppo stretti rispetto a ciò che si renderebbe necessario se si impiegassero corde di solo budello; a meno che dette corde non siano state appositamente appesantite. La matematica dimostra infatti che solo un peso specifico doppio del budello naturale permetterebbe a corde in grado di passare per questi sottili fori di raggiungere tensioni di lavoro opportune. Tale trattamento avrebbe permesso dunque la produzione di corde molto più sottili e sonore di quelle in uso fino ad allora, garantendo contestualmente una corretta tensione di lavoro. Questa terza fase evolutiva, che caratterizzò l’età di Monteverdi e Stradella, fu esattamente quella in cui la complessità manufatturiera generale delle corde di budello raggiunse probabilmente vertici rimasti poi assolutamente insuperati.

La quarta e ultima “età” delle corde da musica – quella che a noi interessa e che continua ancor oggi – si caratterizzò per la rivoluzionaria comparsa delle corde basse filate, costituite da un’anima di budello – ma anche di seta – su cui è avvolto strettamente, a spire accostate o spaziate, un sottile filo metallico: si trovò dunque un sistema alternativo e molto più efficiente per appesantire il budello invece di caricarlo per mezzo di trattamenti “chimici”.
La più antica testimonianza cartacea manoscritta a nostra disposizione risale al 1659: “[…]Goretsky hath an invention of Lute strings covered whith silver wyer, or strings which make a most admirable musick. Mr Boyle.”[…il Goretsky ha inventato delle corde per liuto rivestite da filo d’argento, ossia corde che fanno musica inmaniera assolutamente ammirevole] e ancora: “[…]string of guts done about with silver wyer, makesa very sweet musick, being of Goretsky’s invention.” […corda di budello ricoperta da filo d’argento, fa un suono dolcissimo ed è un’invanzione di Goretsky].8
A questa seguì, in ordine temporale, il Trattato per Viola da gamba di John Playford del 1664,il quale rappresenta per così dire l’annuncio “ufficiale” dato al mondo musicale del tempo9.
La diffusione di questi nuovi e più efficienti bassi non fu tuttavia rapida come si potrebbe pensare: emblematico il fatto che il violista da gamba Sainte Colombe le introdusse in Francia solo verso il 1675.10
In Italia, paese da sempre produttore di rinomate corde armoniche, se ne ha notizia dal 1677;11 risalgono comunque al1681/85 circa le prime raffigurazioni pittoriche europee a noi note di strumenti (violino e violoncello) in cui si possono osservare corde basse filate (la quarta corda grave di questi strumenti è bianca: filata in argento o rame argentato, con tutta probabilità).12 Riguardo agli strumenti a pizzico come il liuto non risulta però a tutt’oggi alcuna evidenza iconografica o scritta degna di nota che testimoni un loro utilizzo.

L’influenza in campo costruttivo e musicale di questa nuova invenzione fu, inutile dirlo, rivoluzionaria, tanto che si può senz’altro parlare di un vero e proprio “muro divisorio” tra il prima e il dopo. Infatti, se negli strumenti più acuti come il violino le lunghezze vibranti rimasero comunque “a misura d’uomo”, esse furono da sempre assai sproporzionate negli strumenti più grossi, rispetto all’estensione raggiungibile con facilità dalle dita della mano sinistra, almeno fino alla comparsa delle corde rivestite. Si intuisce facilmente che non appena gli antichi poterono disporre di bassi molto più esuberanti, la prima cosa che probabilmente venne loro in mente fu proprio quella di ridurre sistematicamente le lunghezze vibranti di alcuni di loro (il basso di viola, ad esempio) o introdurne addirittura di nuovi (violoncello) acquistando in agilità esecutiva: questo spianò del tutto la strada a nuove forme musicali e finalmente permise, verso la fine del XVIII secolo, l’aggiunta alla chitarra della sesta corda grave, con una contestuale, forte riduzione della lunghezza vibrante dello strumento e l’abbandono dei cori (e delle tastature per mezzo di legacci) in favore delle corde semplici.
LA TECNICA MANUFATTURIERA DELLE CORDETRA LA METÀ DEL ’700 E LA FINE DEL ’800.
Il procedimento manufatturiero delle corde nei secoli XVIII e XIX risulta a prima vista sorprendentemente analogo a quello odierno, ma in realtà vi sono alcune differenze sostanziali che portano a concludere che le corde di allora – e almeno fino alla fine del XIX secolo – fossero più elastiche e quindi, assai probabilmente, migliori delle nostre dal punto di vista della durata e della resa acustica. La procedura dell’epoca prevedeva normalmente l’impiego di budello intero di agnello(che, per inciso, vuoto e sgrassato appare come una membrana piatta semitrasparente di soli 34 mm di larghezza) di lunghezza pari ad almeno cinquanta piedi.13
Dopo essere stato accuratamente svuotato e sciacquato per alcuni giorni in acqua corrente, esso subiva una serie di trattamenti volti ad eliminare le parti inutili al fine di lasciare libera e perfettamente sgrassata la sola membrana muscolare, ovvero ciò che interessava al cordaio. Questo risultato si otteneva lasciando le budella in immersione per alcuni giorni in bagni alcalini a concentrazione via via crescente; in seguito, con una semplice e delicata raschiatura effettuata con il dorso di un coltello o per mezzo di un frammento di canna palustre, si asportavano con facilità le membrane non muscolari e il grasso che sempre accompagna la minugia. I bagni alcalini erano costituiti da ceneri vegetali stemperate in acqua (potassa). L’aumento progressivo della concentrazione dei bagni si può spiegare forse con il fatto che all’inizio del trattamento di sgrassatura sono sufficienti soluzioni diluite di prodotto alcalino, le quali sono già in grado di asportare le sostanze grasse più facilmente solubili. Si riserva la massima concentrazione di potassa solo alla fine, quando si rende necessaria un’azione molto più energica verso tutto ciò che risulta ancora difficilmente asportabile. In questa fase poteva essere anche aggiunta una modesta quantità di allume di rocca, il cui effetto astringente e conciante induriva un po’ il budello.
I bagni alcalini, in altre parole, provocavano un processo di fermentazione e saponificazione della materia organica tale da facilitare il distacco meccanico delle parti inutili. I budelli sgrassati venivano quindi accuratamente selezionati e riuniti in fasci paralleli in quantità variabile (a seconda del diametro di corda richiesto; fino anche a cinquanta nel contrabbasso), annodati agli estremi e successivamente ritorti per mezzo di un apposito mulinello (il capo opposto della protocorda veniva fissato ad un piolo bloccato a sua volta ad un lato del telaio di essiccamento. Dopo aver ritorto a dovere la corda, il capo libero veniva a sua volta fissato all’altro piolo dello stipite opposto del telaio, mettendo così in tensione la corda umida.
Quando il telaio risultava ben guarnito di corde lo si trasportava in un’apposita stanza di ridotte dimensioni, dove si provvedeva all’imbianchimento delle corde stesse per mezzo dell’insolforazione: esse venivano sottoposte per giorni all’azione sbiancante dell’anidride solforo sa che si sviluppava dalla combustione, in un bacile, di fiori di zolfo. Al termine di questa operazione le corde venivano ulteriormente ritorte, quindi si provvedeva al loro essiccamento finale in aria libera, operazione che prendeva poche ore. Essendo il budello fresco simile ad una spugna intrisa d’acqua, l’essicamento dello stesso comporta una notevole riduzione di diametro: in pratica una corda fresca e perfettamente bianca di circa 5 mm di diametro, una volta essicata, si riduce ad una giallastra di circa 1 mm soltanto. L’ultima fase consisteva nella levigatura, tramite sfregamento, della loro ruvida superficie, per mezzo di un’erba dotata di proprietà abrasive (imbevuta del liquido alcalino di sgrassaggio, o “tempra”): l’equiseto, asperella o coda di cavallo; solo nel corso del XIX secolo si cominciò a preferire maggiormente l’impiego della pomice in polvere.

Le corde, perfettamente levigate, si ungevano quindi con olio di oliva, venivano tagliate ai capi del telaio e confezionate in circoli; ogni confezione di carta oleata poteva contenere dalle quindici alle trenta corde o più.14 Potrebbe a prima vista sembrare che la modernizzazione della centenaria e immutata tecnologia per far corde sia stato un fatto totalmente positivo, ma le cose non stanno entro questi termini. Alcuni passaggi apparentemente banali del vecchio sistema di manifattura non sono mai stati investigati a dovere; la differenza pratica la si può riscontrare se si compie un confronto tra i pochi campioni di corde superstiti –anche dell’inizio del secolo – con quelle oggi disponibili: estremamente ritorte, morbide ed elastiche le prime, quanto generalmente rigide e poco ritorte le seconde. Le nostre corde inoltre, se non verniciate, possiedono in genere una durata nel tempo – una volta montate sullo strumento – decisamente breve.
La questione della durata si spiega facilmente in base al fatto che una corda fatta da budelli interi, trattata solo con una leggera levigatura con erba abrasiva o pomice, presenta un numero assai ridotto di fibre superficiali spezzate rispetto ad una corda costituita da fettucce di budello il cui diametro finale sia stato imposto per mezzo di una rettifica meccanica, la quale può asportare anche discrete quantità di materiale dalla superficie della corda grezza rendendola più soggetta a sfilacciamento prematuro. Il secondo importante aspetto – il quale va a influire pesantemente sulle prestazioni acustiche generali – verte sul fatto che le corde di budello di oggi sembrano in qualche modo indirizzate a rinunciare alla ricerca della massima elasticità in favore della sola resistenza tensile a causa della scarsa torsione a loro impartita: ci si dimentica che il compito di una corda armonica è quello di suonare al meglio, non certo di competere con una fune da traino. In altre parole, esse devono avere la capacità di trasformare l’impulso meccanico trasmesso dal dito in un moto vibrazionale che, per quanto possibile, deve essere scevro dagli attriti interni alla corda che ridurrebbero il rendimento di trasformazione dell’energia meccanica trasmessa al materiale.

Che le corde attuali siano in genere scarsamente ritorte rispetto a quelle del passato lo si deduce, oltre che dalle informazioni provenienti dagli antichi documenti, anche dall’esame di spezzoni sopravvissuti; superfluo ricordare come il fattore torsione risulti basilare nel determinare il grado di elasticità di una corda di budello: una corda molto ritorta è sempre meno rigida e maggiormente sonora.15 La conclusione porta a ritenere che le corde armoniche di un tempo fossero probabilmente superiori – dal punto di vista acustico e di durata – alle nostre, le quali, se non altro, vantano il fatto di essere almeno di dimensioni precise e quindi raramente “false”: vero e costante problema delle corde prima dell’avvento della rettifica meccanica introdotta soltanto dopo la metà del XX secolo.
I CENTRI DI PRODUZIONE
Nel corso del Seicento il centro più prestigioso di produzione di corde armoniche italiano ed europeo fu certamente Roma che nel 1735 vantava una ventina di botteghe cordaie (regolate da precisi ordinamenti statutari) in grado di rifornire tutta l’Europa di allora di corde armoniche di ottima qualità.16I cantini romani rimasero rinomati fin’oltre la fine del Settecento, secolo in cui fu sciolta la potente corporazione dei cordai dell’Urbe. Il primato della qualità venne quindi portato avanti per tutto l’Ottocento e oltre dai valenti cordai di Napoli, seguiti a ruota da quelli della città di Padova (nel 1786 spiccano i nomi del cordaio Antonio Bagatella e la bottega “Antonio fratelli Priuli detto Romanin”, fondata nel 1613 da Antonio Romanin, forse originario di Roma) dove la produzione di corde armoniche cessò per sempre nel 1911.17
Il De Lalande scrisse che: “La fabbricazione di corde di violino è pressochè un monopolio italiano, visto che Roma e Napoli ne forniscono tutta l’Europa ed esiste sempre molto mistero nei settori esclusivi del commercio…”.18
Ecco ora le indicazioni del Galeazzi: “Veniamo finalmente alle corde: devonsi provveder le corde alle migliori Fabbriche d’Italia; quali sono quelle di Padova; di Napoli; di Roma; di Budrio sul Bolognese; e dell’Aquila nell’Abruzzo. Vi sono ancora altre fabbriche in Città di Castello; Perugia; Rieti; Teramo; ed altri luoghi; ma le prime portano il vanto; specialmente quelle di Padova; e di Napoli.”.19 Il violinista Spohr riporta quanto segue: “Vi sono corde italiane e corde tedesche, delle quali le prime devono essere preferite; quantunque anche nelle corde italiane ve n’abbia delle cattive. Ordinariamente le migliori sono le corde Napolitane, poi vengono quelle di Roma ed infine quelle di Padova e Milano; ma queste ultime valgono poco.”20

La qualità impareggiabile dei cantini da violino – ma anche per altri strumenti21 – prodotti a Napoli costituì da sempre un autentico rompicapo per i francesi, abili a costruire qualunque tipo di corda fuorché i cantini per questo strumento. Questi venivano pertanto importati in grossa quantità dall’Italia e, pare, a prezzi proibitivi. I francesi, verso la fine del XVIII secolo, istituirono addirittura un riconoscimento per colui o coloro che fossero stati in grado di eguagliare la qualità del prodotto napoletano. La medaglia d’oro fu alla fine assegnata al cordaio parigino di origini… napoletane Savaresse, il quale risolse brillantemente il caso: il “segreto” era costituito dal fatto che a Napoli e in numerose altre zone d’Italia si utilizzavano – diversamente dalla Francia – budelli di bestie piuttosto giovani; ma questo era già stato scritto in verità dal De Lalande nel suo Voyage alcuni decenni prima.22 Il primato della qualità delle corde fabbricate in Italia si ritrova inalterato anche alla fine del XIX secolo, tanto che George Hart scrisse:
“Le corde musicali sono fabbricate in Italia, Germania, Francia e Inghilterra. Gli italiani sono al primo posto, visto che in passato in questa produzione la loro abilità era evidente nei tre requisiti principali che le corde devono avere: alto grado di rifinitura, grande durata e purezza di suono. Vi sono fabbriche a Roma, Napoli, Padova e Verona […] Le corde tedesche si classificano subito dopo quelle italiane e la sede della loro fabbricazione è la Sassonia […] I francesi si trovano al terzo posto […] Gli inglesi fabbricano tutte le qualità, ma principalmente quelle meno costose […]”23
Il Forino (1905) ci riporta a sua volta quanto segue:
“…furono celebri le fabbriche di Berti, di Colla a Roma, di Ruffini a Napoli. In oggi sono assai apprezzati i prodotti di Righetti a Treviso, di Raffaele di Bartolomeo a Napoli, di Nicola Morante a Tavernale di Barra (Napoli) di Nicola Di Russo e di Raffaele Pistola Profeta (successore di Ruffini) a Salle (Pescara), di Luigi D’Orazi anche a Salle e di Conti a Mugellano (Rieti) […]. All’Italia ed alla Germania segue terza la Francia che produce eccellenti corde soprattutto per arpa: le corde di Lione godono fama di ottime.”24
Emilio Pujol, unico caso di chitarrista a nostra disposizione che abbia citato espressamente la produzione di corde per chitarra scrisse nel suo metodo:
“Le corde migliori oggi ci sembrano essere quelle di marca Pirastro; e tra queste quelle con l’etichetta dorata. Il loro suono è chiaro senza essere stridulo; la loro intonazione è in genere precisa e la loro resistenza e durata rimangono tutt’ora insuperabili. Le marche “Pirazzi”, “Padova”, “Elite” e “El Maestro” sono anch’esse corde di budello con risultati eccellenti. Le corde di seta filata hanno di solito una giusta intonazione. Sono buone quelle fabbricate a Valencia da José M.Dutrá, quelle di H.Hauser a Monaco di Bavierae altre che, ignorando la loro provenienza, non posso specificare.”25
Come si può facilmente intuire la fabbricazione delle corde filate fu una prerogativa non tanto dei cordai quanto dei liutai, se non proprio dei musicisti.26
I CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE CORDE
Ma quali erano i criteri guida che contraddistinguevano una buona corda da una pessima.
La prima cosa da sottolineare è che traspare, da parte dei musicisti professionisti del tempo chitarristi compresi , una grande abilità nel saper distinguere al tatto e alla vista il materiale di buona qualità e vibrazione (la zona di provenienza era già di per sé considerata un indice sicuro). Queste conoscenze venivano tramandate da sempre di maestro in allievo, secondo una sorta di tradizione orale ma anchescritta 27che cominciò a spezzarsi forse a partire dagli albori del Novecento, quando prese progressivamente piede la consuetudine di affidarsi ciecamente alle grosse aziende cordaie che cominciavano a svilupparsi in Germania e Francia (ma non certo in Italia: il cordaio italiano come figura artigianale volgeva ormai al declino; dopo la Grande Guerra la maggior parte di loro cominciò a chiudere bottega o preferì emigrare all’estero, America in testa, determinandola rapida fine della gloriosa e pluricentenaria tradizione italiana), le quali imposero di fatto le loro scelte in termini di strategie manufatturiere e di calibri standard commerciali.28

La consuetudine secolare della tradizione orale potrebbe spiegare il fatto che, nei metodi per chitarra del tempo, si trovi ben poco sui criteri di scelta delle corde e quel poco che si riesce a sapere lo si trova principalmente nei metodi per violino strumento intorno al quale tutto ruotava o nei manuali riguardanti la liuteria per archi in genere. Ecco qui di seguito quanto riportato dalle fonti in nostro possesso:
M. Corrette: “Quelle più compatte sotto le dita e trasparenti sono le migliori.”29
F. Galeazzi: “La buona corda dev’esser diafana; color d’oro; cioè che dia sul gialletto, e non candida come alcuni vogliono; liscia; e levigata, ma ciò indipendentemente dall’esser pomiciata; senza nodi; o giunte; al sommo elastica, e forte; e non floscia, e cedevole.”30
A. Labarraque: “La corda migliore e che si può usare più a lungo è quella il cui aspetto cambia meno quando viene montata […]31
L. Spohr: “…La buona corda si distingue pel suo colore bianco, la sua limpidezza e liscezza[…]. Corde vecchie, guaste, oppure quelle di cattiva fabbrica si conoscono subito al loro colore giallo e fosco; esse non sono trasparenti, né elastiche come le corde buone”.32
Maugin et Maigne: “I cantini, dice il Signor P. Savaresse, devono essere trasparenti, perfettamente compatti e molto regolari nel calibro.
Non devono essere né troppo bianchi, perché ciò proverebbe che sono stati fatti da agnelli troppo giovani, e quando si preme con la mano un pacco di cantini, essi devono sembrare elastici e ritorna re subito sù come una molla d’acciaio. […] Le corde grosse, cioè la seconda e la terza, devono, al contrario, essere trasparenti e molto bianche. Devono inoltre essere molto molli quando se ne comprime un pacco, ma non devono cambiare colore e devono subito ritornare al loro stato cilindrico; se si presentano troppo rigide, ciò proverebbe che sono state fabbricate di budelli troppo resistenti e, in tal caso, produrranno un suono di cattiva qualità. ”33
G. Hart: “Scegliete quelle più trasparenti; le seconde e terze, essendo fabbricate con più fili, sono raramente molto chiare […] e perciò la mancanza di trasparenza nel loro caso denota l’uso di materiali di qualità inferiore.”34
L’ultimo documento che presentiamo fu dato alle stampe nel 1905 e costituisce probabilmente l’ultimo testo che indichi ancora i criteri di scelta di una corda armonica secondo la tradizione ottocentesca:
L. Forino: “Le corde tedesche hanno il pregio della resistenza e, come tutti i prodotti di quella nazione, hanno anche quello del buon prezzo. Sono levigatissime, dure al tatto tanto da sembrare di acciaio [!]: anche il suono risente ditale durezza […]. La buona corda deve essere non troppo liscia e bianca, chè l’azione della pomice non giova alla buona sonorità: deve essere molto elastica e perfettamente cilindrica […].Per provare l’elasticità basterà comprimere con le dita una corda ancora attorcigliata e fare l’esperimento, per esempio, fra una tedesca ed una italiana.”35
LA TENSIONE DI LAVORO E LA SENSAZIONE TATTILE DI RIGIDITÀ
L’aspetto più importante e universale che caratterizzò la scelta delle montature di corda per qualsiasi strumento, a pizzico o ad arco, dal Rinascimento fino ad almeno la metà del secolo decimonono, consistette nel fatto che in tutte le corde dello strumento, premute nel medesimo punto, si doveva manifestare una eguale sensazione tattile di rigidità.36 Questo criterio fu ribadito, nel corso dei secoli, fino alla noia dai più autore voli trattatisti che scrissero anche come le corde non dovessero presentarsi né troppo “dure” né troppo “molli”. Si capisce che mentre il criterio di “eguale sensazione di rigidità” tra tutte le corde risulta un criterio di natura universale (eguale significa eguale), viceversa il concetto di quanto“ dure o molli” debbano essere (in pratica la scelta dei calibri giusti) risulta invece di natura estremamente soggettiva, legata alla sensibilità individuale, al tipo di strumento etc:
T. Mace: “Un’altra osservazione generale, in realtà la più importante, è questa: qualunque sia il diapason del liuto che state per incordare, dovete scegliere le corde in maniera tale che (nel tipo di accordatura che intendete ottenere) tutte le corde abbiano una rigidità proporzionata e uguale, altrimenti si presenteranno due grandi inconvenienti: uno per l’esecutore e uno per l’ascoltatore. Nota bene che quando diciamo che un liuto non è incordato in modo uguale, significa che alcune corde sono dure e altre molli.”37
Robert Dowland: “[…] Anche questi bassi gravi non devono essere tirati troppo né troppo poco in maniera tale che, quando percossi dal pollice e dalle altre dita, producano in voi la stessa sensazione che producono le corde acute”.38
The Burwell Lute Tutor: “[…] quando suonate tutte le corde con il pollice dovete avvertire eguale rigidità […]39
Ma queste regole, estremamente funzionali, risultano oggi quasi completamente ignorate (anche da quei pochi che cercano di capire cosaci sia dietro un set commerciale di corde), sostituite oltremodo dal concetto di tensione di lavoro espressa in Kg o, peggio ancora, dai termini “light”, “medium”, “thick” etc. che appaiono sulle confezioni togliendo così spazio a qualunque ragionamento consapevole e alla voglia di sperimentazione da parte del musicista. Si ritiene che l’eguale sensazione tattile di rigidità tra le corde (che in uno strumento musicale a pizzico o ad arco è regola universale) corrisponda in tutto per tutto all’eguale tensione, ma questo non è vero.40
Vediamo di chiarire questo punto fondamentale, che ha inciso in termini negativi sulla ricostruzione delle montature di tutti gli strumenti a pizzico e ad arco del Rinascimento e del Barocco, nonché sulle montature moderne per chitarra barocca a cinque ordini o a sei corde semplici del periodo Romantico e oltre. Mentre la tensione di lavoro è un dato numerico in sé perfettamente definito dal suo stesso valore, la sensazione tattile di rigidità – essendo appunto una sensazione – è soggetta a diverse variabili .
Ecco alcuni esempi: tra due corde identiche sottoposte alla stessa tensione di lavoro – ma sottoposte a lunghezze di vibrazione diverse – quella più lunga risulterà più cedevole al tatto; così, tra due corde di budello di pari calibro, tensione di lavoro e lunghezza di vibrazione –ma di cui una sia molto ritorta e l’altra poco –la prima risulterà più cedevole alla pressione delle dita perché dotata di un cedimento elastico longitudinale maggiore (ecco per quale motivo risulta sempre problematica la sostituzione di uno stesso diametro di corda di una data marca commerciale con una di diversa provenienza: il grado di torsione, il tipo di materiale e la sua lavorazione potrebbero essere così differenti da rendere inutile l’eguaglianza del calibro ai fini dell’ottenimento della stessa sensazione di rigidità sotto le dita). Così, infine, tra due corde di cui sia identico il grado di torsione, la lunghezza di vibrazione e la tensione di lavoro – ma non il diametro – risulterà più cedevole al tatto quella più sottile. Si intuisce con facilità quali problemi di disomogeneità tattile si vengono a generare in un chitarrone (il quale presenta la caratteristica di avere le corde montate in due differenti lunghezze vibranti) qualora si disponga tutto – come comunemente oggi si fa – in eguale tensione anziché seguendo i criteri degli antichi. Ricapitolando, quando i documenti di allora– e per “allora” si intende almeno fino alla metà del XIX secolo – si riferivano alla parola “tensione” nei riguardi di una montatura reale di corde (cioè non nel caso si trattasse di pure speculazioni teoriche circa i rapporti esistenti tra vari parametri fisici come la frequenza, la lunghezza vibrante, il diametro etc, come ad esempio nel Trattato di Mersenne e altri), essa riguardava sostanzialmente la sensazione tattile di rigidità, non la tensione – in Kg – come oggi viene da tutti intesa. Il Galeazzi ci ha fornito un esempio decisamente pertinente: “…la tensione [nel Violino, n.d.r.] dev’esser per tutte quattro le corde la stessa, perché se l’una fosse più dell’altra tesa, ciò prudurrebbe sotto le dita, e sottol’arco una notabile diseguaglianza, che molto pregiudicherebbe all’eguaglianza della voce”.41
È trasparente il fatto che “tensione” coincide con sensazione tattile di rigidità. Nel trattato del Bartoli risulta altrettanto evidente la coincidenza tra “tensione” e sensazione tattile: “Quanto una corda è più vicina al principio della sua tensione, tanto ivi è più tesa […]. Consideriamo hora una qualunque corda d’un Liuto: ella ha due principi di tensione ugualissimi nella potenza, e sono i bischeri dall’un capo, e ’l ponticello dall’altro: adunque per lo sopra detto, ella è tanto più tesa, quanto più lor s’avvicina: e per conseguente, è men tesa nelmezzo”.42
introducono per primi il concetto che le corde di budello erano realizzate sia in bassa che in altatorsione. Più precisamente, secondo Segerman, fino alla fine del Medioevo le corde erano scarsamente ritorte; soltanto in seguito – e cioè in pieno XVI secolo – i cordai si accorsero che ritorcendo maggiormente una corda si otteneva una migliore resa acustica. Il nostro punto di vista sostiene invece l’ipotesi che fin da sempre le corde furono prodotte con un alto grado di torcitura – tranne forse le corde più sollecitate in assoluto: i cantini del liuto – e che questo non costituiva affatto un segreto, vista la banalità di realizzazione, consistente nel dare più o meno giri alla ruota del mulinello nella fase di torcitura.
qui est presque réservée à l’Italie, Naplés & Rome en fournissent toute l’Europe & il y a toiours beaucoup de mystère dans ces branches exclusives de commerce…” FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris, 1786, pp. 514519.
et, dans ce cas, elles auraient une mauvaise qualité de son.” JEANCARL MAUGINWALTER MAIGNE, Nouveau manuel complet du luthier, 2a edizione, Roret, Paris, p. 184.
e dell’Udito, Trattati del P. Daniello Bartoli della Compagnia di Giesu, Roma 1679. A spese di Nicolò
Angelo Tinassi. 4°, 8 + 330 + 1pp.; Proprietà Roberto Regazzi, Bologna.
- Per una più ampia trattazione dell’argomento vedi: STEFANO GRONDONA LUCA WALDNER, La chitarra di liuteria, L’Officina del Libro, Sondrio, 2001.
- La scelta di Barrios verso le corde di metallo potrebbe giustificarsi – oltre che per motivi puramente estetici – anche dal fatto che in Sudamerica non esisteva alcuna produzione autonoma di corde di budello, rendendo perciò necessaria la loro importazione dall’Europa a costi probabilmente proibitivi e con inevitabili lungaggini nei tempi di consegna. Una seconda ipotesi – tutt’altro che secondaria – verte sul fatto che in un clima caldo e fortemente umido come quello del Paraguay (stato in cui Barrios viveva) qualunque corda di minugia avrebbe una durata estremamente limitata. L’impiego delle corde di metallo fu osteggiato con veemenza da Segovia che durante un incontro con Barrios stesso nel 1944 a El Salvador definì senza mezzi termini la sua chitarra “a wire fence” (staccionata metallic a ) .Cfr. RICHARD STOVER, Agustin Barrios Mangoré. HisLife and Music. Part III: Cacique Nitsuga Mangoré,“ G u i t a rReview”, n. 100, Winter 1995, pp. 2021.
- WERNER BACHMANN, The Origins of bowing and the development of bowed instruments up to the thirtheen century, Oxford University Press, London, 1969 (edizione originale: Die Anfänge des Streichinstrumentenspiel, Breitkopf und Härtel, Leipzig, 1964), p. 79.
- STEPHEN BONTA, From Violone to Violoncello: A question of strings?, “Journal of the American Musical Instrument Society”, volume III, 1977, pp. 6499.
- CHRISTOPHERPAGE, Voices and Instruments of the Middle Ages: instrumental practice and songs in France,11001300, J. M. Dent & Sons Ltd; London, pp. 2345.
- DJILDAABBOT EPHRAIMSEGERMAN, Strings in the 16 th and 17th centuries, “The Galpin Society journal”, XXVII1974, pp. 4873
- MIMMO PERUFFO, The mystery of gut bass strings in the sixteenth and seventeenth centuries: the role of the loadedweighted gut, “Recercare”,V, 1993, Roma, pp.115151. ABBOTSEGERMAN, op. cit., introdussero negli anni ’70la teoria che le corde dei registri bassi fossero ritorte secondo le tecniche costruttive delle gomene marine equesto al fine di renderle notevolmente più elastiche e quindi più sonore. Da questo deriverebbe il nome “Catline”, una tipologia di corda bassa in voga nel Seicento, citata anche da Dowland.
- SAMUEL HARTLIB, Ephemerides, manoscritto (locazione non conosciuta), 1659; comunicazione privata fornita allo scrivente da Robert Spencer, 1995. Spencer suggerisce che l’informazione nei riguardi delle corde filate fu fornita a Hartlib dal noto chimico Robert Boyle.
- JOHN PLAYFORD, An introduction to the skill of mus i c[…]. The fourth edition much enlarged, William Godbid for John Playford, London, 1664; vedere pure CLAUDE PERRAULT, Œuvres de physique […], Amsterdam,1727 (1stedition, 1680) pp. 224225; capitolo: “Invention nouvelle pour augmenter le son des cordes”. Ved.fig.1 qui sopra.
- JEAN ROUSSEAU, Traité de la Viole[…], Christope Ballard., Paris, 1687
- PATRIZIO BARBIERI, Cembalaro, organaro, chitarraro e fabbricatore di corde armoniche nella “Polyantheatechnica” di Pinaroli (171832): con notizie inedite sui liutai e cembalari operanti a Roma, “Recercare I”,1989,p. 198 (da una fattura del costruttore di chitarre Alberto Platner: “…due corde di Violone, una di argento etun’altra semplice”.
- Vedere il quadro di Antonio Domenico Gabbiani ‘Ritratto di musicisti alla corte medicea” (Firenze, 16841687), Firenze, Palazzo Pitti, inv. 1890, riprodotto sulla copertina di “Early Music”, XVII/4, novembre 1990.
- FRANCOIS DE LALANDE,Voyage en Italie[…] fait dansles annés1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint,Paris, 1786, pp. 514519.
- È interessante notare, nell’iconografia musicale del Seicento, come il tratto di corda eccedente sullo strumento venisse riposto a mazzetto, quasi si trattasse di morbido spago. Questo suggerisce fortemente che le corde del tempo fossero estremamente morbide. A partire dal Settecento le corde venivano invece confezionate secondo un profilo circolare: questo sembra confermare i cambiamenti incorsi nel campo cordaio, accaduti forse dopo la comparsa delle corde filate.
- ABBOTSEGERMAN, inStrings in the 16thand 17th centuries…, introducono per primi il concetto che le corde di budello erano realizzate sia in bassa che in altatorsione. Più precisamente, secondo Segerman, fino alla fine del Medioevo le corde erano scarsamente ritorte; soltanto in seguito – e cioè in pieno XVI secolo – i cordai si accorsero che ritorcendo maggiormente una corda si otteneva una migliore resa acustica. Il nostro punto di vista sostiene invece l’ipotesi che fin da sempre le corde furono prodotte con un alto grado di torcitura – tranne forse le corde più sollecitate in assoluto: i cantini del liuto – e che questo non costituiva affatto un segreto, vista la banalità di realizzazione, consistente nel dare più o meno giri alla ruota del mulinello nella fase di torcitura.
- Statuto dell’università dei cordai di Roma,Archivio di Stato, Camerale II, Arti e mestieri, Statuti, coll. 312, busta 12, anno 1642.
- In base a ricerche da noi compiute alla Camera di Commercio di Padova, risulta che la fabbrica del Romanin fu gestita a partire dal 1849 dalla famiglia Calegari, fino alla cessione dell’azienda alla ditta “Eredi Nicola Bella” di Drezza Giuseppe in Verona, il quale non proseguì la produzione di corde armoniche e concluse così per sempre la lunga e gloriosa tradizione cordaia padovana.
- “La fabrication des cordes de violon est une chose
qui est presque réservée à l’Italie, Naplés & Rome en fournissent toute l’Europe & il y a toiours beaucoup de mystère dans ces branches exclusives de commerce…” FRANCOIS DE LALANDE, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris, 1786, pp. 514519.
- FR A N C E S C O GA L E A Z Z I,Elementi teoricopratici di Musica, con un saggio sopra l’arte di suonare il violino[…], Pilucchi Cracas, Roma, 1791, p. 71.
- LO U I S SP O H R, Violinschule, Tobias Haslinger, Wien,1832, pp.134.
- ANTOINEGERMAIN LABARRAQUE,L’art du boyaudier, Imprimerie de Madame Huzard, Paris 1822, pp. 3132.
- DE LALANDE, op.cit.,p. 514.
- “Musical strings are manufactured in Italy, Germany, France and England. The Italians rank first, as in the past times, in this manufacture, their proficiency being evident in the three chief requisites for string, viz. high finish, great durability, and purity of sound. There are manufactories at Rome, Naples, Padua and Verona […]. The German strings now rank next to the Italian, Saxony being the seat of manufacture […]. The French take the third place […]. The English manufacture all qualities, but chiefly the cheaper kinds…”. GEORGE HART,The violin and its music, Dulau and Schott, London, 1881, pp. 4647.
- LUIGI FORINO,Il violoncello, il violoncellista ed i violoncellisti, Hoepli, Torino 1905, pp. 5556.
- “Las mejores cuerdas nos parecen ser hoy las de la marca Pirastro; y de éstas las que llevan una etiqueta dorada.Su sonido es claro sin ser chillón; su afinación es generalmente justa, y su resistencia y duración no han sido hasta ahora superadas.Las marcas “Pirazzi”, “Padova”, “Elite” y “El Maestro” son también cuerdas de tripa de excelente resultado. Las de seda hilada suelen ser, de afinacion justa. Son buenas las que fabrica en Valencia José M. Dutrá, las de H. Hauser de Munich, y otras que por ignorar su procedencia, no puedo precisar.” EM I L I O PU J O L, Escuela Razonada de la Guitarra, basada en los principios de la técnica de T a r r e g a, Libro Primero, Ricordi Americana, Buenos Aires, 1934, p. 33.
- F. GALEAZZI, op. cit., pp. 7476.
- DI O N I S I O AG U A D O,Nuevo método para Guitarra, Madrid 1843 nel capitolo VII, punto 32 scrisse che “Il chitarrista deve essere maestro delle corde”.
- ARTHUR BROADLEY,String gauges, “The Strad”, April 1900, p. 371:“[At the present time the matter of string thickness seems to rest entirely with the makers, the player has practically to take what is given to him”. [Al giorno d’oggi la questione del calibro delle corde sembra dipendere completamente dai fabbricanti di corde e l’esecutore è praticamente obbligato a prendere ciò che gli viene dato. ]
- ’Les plus unies sous le doigt et transparentes sont les meilleurs”..MICHEL CORRETTE, Les Dons d’Apollon…, Paris, 1763, p. 221.
- F. GALEAZZI, op. cit, pp. 7172.
- “La corde la meilleure et qui doit faire le plus long usage, est celle qui change le moins d’aspect quand on la monte […].LABARRAQUE, op. cit., p. 131
- SPOHR, op. cit.,p.14.
- “Les chantarelles, dit M. P. Savaresse, doivent ètre transparentes, parfaitement unies et assenz régulières de grosseur. Elles ne doivent pas être trop blanches, car cela prouverait qu’elles ont été faites avec des agneaux tropjeunes, et lorsqu’on serre un paquet de chantarelles sous la main, elles doivent paraitre élastiques et revenir promptement comme le ferait un ressort d’acier.[…]. Les grosses cordes, deuxième et troisième, doivent, au contraire, être transparentes et très blanches. Il faut, en outre, qu’elles soient très molles quand on en comprime un paquet, mais elles ne doivent pas changer de couleur et elles doivent revenir promptement à leur état cylindrique; si elles présentaient trop de raideur, cela indiquerait qu’elles ont été faites avec des boyaux trop résistants,
et, dans ce cas, elles auraient une mauvaise qualité de son.” JEANCARL MAUGINWALTER MAIGNE, Nouveau manuel complet du luthier, 2a edizione, Roret, Paris, p. 184.
- “Choose those that are most transparent; the seconds and thirds, as they are made with several threads, are seldom very clear […] and hence, absence of transparency in their case denotes inferior materia”. HART, op. cit, pp. 4950.
- LUIGI FORINO,op. cit., pp. 556.
- Per “eguale sensazione tattile di rigidità” si intende lo stesso ammontare di spostamento laterale che si ottiene tra due o più corde anche diverse nel diametro, lunghezza vibrante, grado di torsione, intonazione etc. per mezzo di una stessa quantità di peso (simile in genere alla pressione indotta dal dito o dall’arco) agente nel medesimo punto.
- “Another general Observation must be This which indeed is the Chiefest: viz. that what siz’d Lute soever, you are to String, you must so suit your Strings, as (in Tuning you intend to set in at) the Strings may all stand, at a Proportionable, and ever Stiffness, otherwise, their will arise Two Great Incoveniences: the one to the Performer, the other to the Auditor. And here Note, that when we say, a Lute is not equally String, it is, when some Strings are stiff, and some slack.”THOMAS MACE,Musik’s monument […], the author & John Carr, London, 1676, Capitolo VI, pp. 6566.
- “[…] these double bases like wise must neither be stretched too hard, nor too weake, but that they may according to your feeling in striking with your Thombe and fingers equally counterpoyse the Trebles…”.John Dowland: “Other necessary observations belonging the lute”, in ROBERT DOWLAND,Varietie of lutelessons […], Thomas Adams, London 1610, paragrafo: “Of setting the right sizes of strings upon the lute”.
39 . “[…] when you stroke all the strings with your thumb must feel an equal stiffness[…]”. The Burwell lute tutor, manoscritto ca. 1670, facsimile con introduzione di Robert Spencer, Boethius Press, Leeds, capitolo IV: “Of the strings of the lute…”.
- SEGERMAN, inStrings through the ages, part 1, p. 55, scrive:“A more real advantage of equaltension stringing is that the ‘feel’ of each string is the same in the sense that the same force at the same relative position on the string pushes aside (or depresses) each string the same amount.…”. STEPHEN BONTA in Further thoughts on the history of strings, “The Catgut Acoustical Society”, Newsletter XXVI, 1 November, 1976, p. 22, riferendosi alle indicazioni di Thomas Mace riguardo alla omogenea sensazione tattile di rigidità da riscontrarsi sulle corde del liuto, scrive: “…it seems clear that tensions [intendendo come eguali Kg] between top and bottom strings on these instruments cannot have been too disparate for the very same reasons.”
- F. GALEAZZI, op. cit., pp. 7273.
- DANIELLO BARTOLI,Del Suono, de’ Tremori Armonici e dell’Udito, Trattati del P. Daniello Bartoli della Compagnia di Giesu, Roma 1679. A spese di Nicolò Angelo Tinassi. 4°, 8 + 330 + 1pp.; Proprietà Roberto Regazzi, Bologna.[/su_lightbox_content]