Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 2)

Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta

di Mimmo Peruffo

Esaminiamo in questa seconda parte quali furono i criteri di scelta delle montature di corda sul nostro strumento nel corso del XVIII secolo, facendo riferimento ai pochi documenti rinvenuti.

LE TIPOLOGIE DI CORDE PER CHITARRA

Il Settecento
La chitarra allora disponeva di quattro corde doppie (i cosiddetti “cori”, ma preferiamo chiamarli “ordini”) più un cantino solitamente, ma non sempre, semplice e tasti costituiti da spezzoni di corda di budello. L’accordatura (in Mi per la maggior parte dei casi, ma talvolta anche in Re) prevedeva, come è noto, diverse varianti per quanto riguarda i due ordini bassi, che potevano essere accordati all’ottava o all’unisono. La gamma di lunghezze vibranti di questo strumento era notevolmente superiore – 69÷74 cm – rispetto ai 62÷63 cm tipici delle chitarre del tempo di Sor.
Perché proprio queste misure e non altre?
Per comprendere al meglio questo argomento si devono prima spendere due parole sul comportamento delle corde di quei tempi, quando il solo materiale disponibile era sostanzialmente il budello. In altre parole è un po’ come se noi oggi avessimo a disposizione – pur nei vari spessori necessari – soltanto fili di nylon e ci trovassimo nella difficile condizione di dover garantire una resa acustica accettabile in tutti i registri della chitarra (o del liuto). Quando una corda di un materiale qualsiasi viene progressivamente tesa tra due punti fissi (la lunghezza vibrante), si arriva ad un’altezza di frequenza provoca la rottura della corda perché si è raggiunto il suo carico di rottura, che per il budello oscilla mediamente intorno a 34 Kg/mm2, 43 valore che si può ritenere valido – per una serie di dimostrati motivi – anche per le corde realizzate nel XVIII-XIX secolo. In altre parole, le corde di allora avevano più o meno la stessa resistenza tensile delle nostre. Il valore di tale frequenza limite, detta “frequenza di rottura”, risulta completamente indipendente dal diametro e questo lo si può facilmente verificare sia per via matematica (applicando la formula
generale delle corde) che per via sperimentale.
Questa frequenza “di confine” è inversamente proporzionale alla lunghezza vibrante della corda stessa; così se la lunghezza vibrante si dimezza, la frequenza si raddoppia (e viceversa). In altre parole, il prodotto tra lunghezza vibrante – in mt – e frequenza di rottura – in Hz – è una costante definita “indice di rottura” .
L’indice di rottura sperimentale di una moderna corda di budello è compreso tra 220 e 290 Hz/mt, pari ad una media di circa 260 Hz/mt cui corrispondono appunto 34 Kg/mm2 di carico di rottura.44 Ciò sta a significare che alla lunghezza vibrante di un metro, una corda si romperà, almeno in via teorica, a 260 Hz.

Se si divide l’indice di rottura per la frequenza di intonazione richiesta alla prima corda (che è il dato di partenza del liutaio), si otterrà la lunghezza vibrante in cui – per l’intonazione data – la corda si romperà di netto.
Considerando ad esempio la frequenza del cantino di una chitarra barocca per un ipotetico corista seicentesco di 415 Hz – cioè Mi =311 Hz – ecco che la lunghezza vibrante teorica in cui il cantino si spezzerà sarà pari a 83 cm: basta dividere l’indice di rottura per la frequenza del Mi.

La scelta della lunghezza vibrante di lavoro dovrà per forza di cose considerare un accorciamento prudenziale di questa lunghezza limite. Ma di quanto? Per poter rispondere a questo quesito apriamo una breve parentesi.
Abbiamo già in precedenza visto come i musicisti del Cinque-Seicento che suonavano strumenti a pizzico (o ad arco) si preoccupavano affinché le corde di uno strumento si presentassero né eccessivamente tese né eccessivamente molli al tatto, sensazione da ritrovarsi poi identica tra tutte le corde della montatura.
Esattamente come faremmo noi se non esistessero più sets precostituiti, bensì corde sciolte di vario diametro. La ricerca di un giusto e soggettivo grado di tensione sottintende pertanto la scelta dei calibri più appropriati.
Vi è ora un secondo elemento da prendere in considerazione, da sempre croce dei musicisti e liutai nei tempi che precedettero l’avvento delle corde basse filate: mano a mano che una corda di budello aumenta di sezione – in condizioni di parità di tensione e di lunghezza vibrante – questa raggiunge sì frequenze sempre più gravi (diametro e frequenza sono infatti tra loro inversamente proporzionali), ma la resa acustica globale, in termini di dinamica, ricchezza di armonici e persistenza di suono, si riduce sempre di più, fino a raggiungere – oltre certi calibri – livelli assolutamente insoddisfacenti. Le corde, in pratica, a causa dell’aumento della loro rigidità dovuta ai grossi diametri, diventano sempre più smorzate e afone e questo lo possiamo agevolmente capire anche oggi se confrontiamo su di una comune chitarra le prestazioni acustiche del Sol rispetto a quelle del Mi cantino. Un Re e un La in puro nylon, anziché rivestiti, avrebbero un diametro di circa 1,4 mm e 1,9 mm rispettivamente: non è difficile immaginare cosa accadrebbe alla loro sonorità. Come se non bastasse, calibri di questa mole – qualora premuti sulla tastiera – risultano maggiormente crescenti in frequenza rispetto alle corde più sottili; modeste variazioni di pressione delle dita sui legacci determinano poi una notevole variazione nella frequenza di emissione. Tutto questo perché le corde di grosso diametro realizzate con un solo materiale (ad eempio in solo nylon) risultano per loro natura estremamente rigide.
Volendo perciò salvaguardare al meglio le prestazioni dei registri bassi tastati e non disponendo di altri materiali se non del budello (le corde di metallo c’erano ovviamente, ma oltre ad avere una timbrica completamente differente dalla minugia ponevano limiti tali da incidere pesantemente nelle caratteristiche progettuali dello strumento) l’unica strada percorribile dai liutai del tempo fu dunque quella di ricercare la massima lunghezza vibrante. Solo percorrendo questa via (dato che lunghezza vibrante e diametro sono tra loro inversamente proporzionali) si poteva infatti sperare di ridurre al massimo il diametro delle corde e ottenere da loro la migliore sonorità. Ricordiamo che la lunghezza vibrante era però vincolata dai limiti imposti dalla resistenza tensile del cantino, secondo quanto prima descritto.
Questo chiarisce alla rovescia la regola valida per il liuto, la chitarra e altri strumenti del Cinque-Seicento, oggi decisamente poco compresa: quella di tendere la prima corda al più acuto consentito. Solo il rispetto di questa condizione poteva infatti permettere – a parità di tensione – la massima riduzione dei diametri di corda, liberando al meglio il suono in tutte le sue componenti dinamiche e timbriche. Risulta facilmente intuibile che le lunghezze vibranti, calcolate dai liutai in base alle proprietà meccaniche e acustiche delle corde a loro disposizione, non potevano che far rientrare la frequenza del cantino – anche se poi intonato empiricamente dal liutista – in una finestra comunque ristretta di frequenze, pena o la rottura immediata della prima corda (se si è andati troppo in acuto) oppure una resa acustica deficitaria (se si è intonato lo strumento in un campo troppo grave per quella data lunghezza vibrante). Una lunghezza vibrante di 59 cm tipica di alcuni liuti storici come quello a sette ordini di Vendelio Venere45 fu calcolata appunto per ottenere una potenziale accordatura in Sol al corista veneziano del tardo Cinquecento, che era circa un semitono più acuto del nostro corista moderno (pari a 440 Hz), e fa presagire che i liutai di allora ebbero ben presente il concetto di indice di rottura.46 La stessa considerazione la si può estendere anche ai liuti tedeschi del XVIII secolo a 11 e 13 ordini con accordatura in Re minore: sapendo in questo caso per certo che la prima nota era un Fa “Kammerton”,47 – in pratica un semitono abbondante sotto il nostro moderno48 – con l’escursione di lunghezze vibranti tipiche di questi strumenti (68÷72 cm), emerge che il cantino lavorava automaticamente nei pressi della frequenza di rottura. In base a queste considerazioni – estendibili anche alla famiglia delle viole da gamba, almeno fino alla seconda metà del XVII secolo – i ricercatori hanno da tempo calcolato che la lunghezza vibrante di lavoro richiedeva un accorciamento prudenziale di circa 2-3 semitoni rispetto a quella “di rottura”, pari ad un indice di lavoro di 230 ÷240 Hz/mt.49 Questo valore si ricava anche nel Liuto della Tavola XVI n. 3 di Michael Praetorious (“Syntagma Musicum”, ‘Sciagraphia’, Elias Holwein, Wolfenbüttel 1615-20), dove il prodotto della lunghezza vibrante (che è determinabile, poiché l’autore precisa l’unità di misura) per la ipotizzata frequenza del cantino è pari a 235 Hz/mt.
Questa teoria trova infine un forte avallo sperimentale se si osserva il comportamento di un cantino di budello intero (così come venivano realizzati al tempo) all’aumentare pro g ressivo della frequenza di intonazione: proprio a circa due tre semitoni dalla rottura, esso comincia a perdere vistosamente la capacità di allungarsi, come se si trattasse di un filo di acciaio.50 In pratica, all’aumentare della tensione la frequenza della corda ad un certo punto sale molto più rapidamente del previsto, anche per piccoli avanzamenti del pirolo, fino a raggiungere in breve la rottura.

Fig. 1 Rapporto tra allungamento e tensione di un cantino di budello (gentile concessione di David van Edwards)

[fig 1] Questo fu indubbiamente un ottimo segnale per i liutisti/chitarristi di allora, ma anche per coloro – come i liutai – che dovevano dimensionare con perizia una chitarra, un liuto o una viola da gamba. La corda, in altre parole, segnalava automaticamente al suonatore quando il limite era raggiunto: essa suggeriva quindi al liutaio il giusto criterio per ben proporzionare uno strumento del quale conosceva soltanto l’intonazione del cantino (cui seguiva per proporzione quella delle altre corde) richiesta dalla committenza in funzione del corista del luogo dove poi lo strumento si doveva utilizzare. È noto infatti che non tutti i Mi, i Sol etc. delle varie regioni d’Europa erano uguali tra loro, ma variavano tra Stato e Stato anche di 2-3 semitoni e ciò doveva essere preso in dovuta considerazione dal liutaio di turno. Questo spiega perché un ipotetico arcileuto in Sol costruito dal veneziano Matteo Sellas nel 1640 abbia una lunghezza vibrante tastabile di soli 58 cm mentre uno strumento simile costruito da Bassiano Haim a Roma nel 1668 possieda ben 64,5 cm di lunghezza vibrante tastata.
La differenza tra le due lunghezze vibranti è di circa due semitoni e questo coincide esattamente con quella che si ritiene possa essere stata la diff e renza di frequenza tra il corista veneziano e quello romano del Seicento.
Che poi lo strumento fosse destinato ad assumere una forma a “otto” come la chitarra e la vihuela de mano, o a “pera” come il liuto o che si suonasse a pizzico o ad arco, nulla incideva su questo criterio di principio. Ecco perché la costruzione di copie esatte di strumenti originali del Cinquecento/primo Seicento – in particolare viole da gamba e liuti rinascimentali – pone a tutti un dubbio francamente irrisolvibile:
ammesso che tutte le parti siano in condizioni originali, per quale corista essi furono dimensionati? Non è infrequente infatti trovare oggi copie esatte di liuto in Sol (cioè “Mezano”, detto oggi “Tenore”) con lunghezze vibranti di 65 cm o peggio arcileuti con 68 cm tastati da accordare in Sol però al nostro Corista, cioè a 440
Hz. Il semplice prodotto tra la frequenza del Sol attuale (392 Hz) e la lunghezza vibrante farebbe immediatamente capire a chiunque che l’indice di lavoro, invece di limitarsi a 230-240 Hz/mt, balzerebbe oltre le possibilità offerte dal budello e che in tal caso sarebbe inutile montare un cantino più sottile nella speranza che non si rompa. In pratica, un liuto in Sol moderno montato con budello non dovrebbe mai superare la lunghezza vibrante di 61-62 cm.
In base a tali considerazioni, alla lunghezza vibrante di rottura prima indicata per la chitarra – pari a 82 cm – corrisponde dunque una lunghezza di lavoro di 69-73 cm che, guarda caso, è un intervallo di valori tipico degli strumenti a cinque ordini del Seicento e prima metà del XVIII secolo sopravissuti. Intonando il cantino a Mi (La=415 Hz), questo si trova così a due-tre semitoni dalla ipotetica rottura. La funzione originaria delle ottave appaiate alle corde dei bassi nel corso del Cinquecento ebbe molto probabilmente lo scopo di restituire per altra via (tramite cioè questo ingegnoso artificio) gli armonici superiori pesantemente penalizzati nelle corde più spesse (come sottolineato anche da Sebastian Virdung in Musica getusch…, Basel, 1511) e rimase stranamente in uso anche dopo l’invenzione delle corde rivestite.

Italia

Fig. 2: Descrizione delle corde della chitarra tiorbata (Cremona, Museo Stradivariano)

Nel Museo Stradivariano di Cremona sono presenti numerosi disegni e sagome di carta o cartoncino riguardanti strumenti musicali a pizzico e ad arco. Uno di questi (disegno n° 375) riveste un particolare interesse (vedi fig. 2) poiché porta segnata la descrizione delle corde necessarie per i cinque ordini tastati della “chitarra tiorbata”, che è in pratica una chitarra a cinque cori con cinque bordoni singoli in tratta:

– 1a e 2a corda (primo ordine): “Questi deve essere compani due cantini di chitara”.
– 3a e 4a corda (secondo ordine): “Queste deve essere compane due sotanelle di chitara”.
– 5a e 6a corda (terzo ordine): “Queste deve essere compane doi cantini da violino grossi”.
– 7a corda (quarto ordine): “Questa altra corda deve essere un canto da violino”.
– 8a corda (quarto ordine): “Questa altra corda deve essere una sotanella di chitara”.
– 9a corda (quinto ordine): “Questa altra corda deve essere un canto da violino ma di più grossi”
– 10a corda (quinto ordine): “Questa altra corda deve essere un cantino da violino”.51

Il Sacconi ritiene che queste indicazioni, che risalgono alla prima metà del XVIII secolo, siano ad opera di un figlio di Stradivari il quale, sebbene morì nel 1737, a partire dal 1725 fu obbligato a delegare molti lavori ai suoi assistenti.52
Tentiamo una stima dei diametri in gioco.  Così come si verificherà per la chitarra del secolo seguente, va osservato il riferimento – il primo in ordine cronologico – ai calibri del violino coevo. Attraverso il Conte Riccati (che fu, oltre che un grande fisico, un discreto violinista dilettante amico del Tartini) sappiamo per certo che i termini “Cantino” e “Canto” si riferiscono  rispettivamente al Mi e al La di questo strumento.53 Sempre in base alle indicazioni del Riccati – il quale intorno al 1740-50 compì alcune interessanti misurazioni sulle corde del suo violino – sappiamo che le misure del Cantino e del Canto erano rispettivamente intorno a 0,70 e 0,90 mm. 54 Ricordiamo che tali stime sono confermate indirettamente anche dai dati forniti dal viaggiatore francese e astronomo De Lalande – 1760 ca.55 – c i rca il numero di budelli utilizzati per realizzare le corde di mandolino, violino e contrabbasso dal celeberrimo cordaio abruzzese – operante in Napoli – Domenico Antonio Angelucci 56 e, fatto importante, che queste proporzioni si sono mantenute rigorosamente costanti fino alla fine del secolo seguente, sia in Italia che in Francia.57 Per quanto riguarda la dicitura cantini/canti “grossi”, consideriamo pertanto come traccia il valore di calibro più grosso (“thick”) di corde di Mi e La realizzate a partire da uno stesso numero di fili di budello, come indicato da George Hart.58

Fig. 3: G.A. Labarraque, 1822, p. 130.Tabella comparativa tra i cantini di budello

Sottolineata la grande standardizzazione nel processo manifatturiero delle corde da violino, ecco che allora è possibile azzardare l’ipotesi che un cantino a tre fili di tipo “grosso” possa aggirarsi intorno a 0,73 mm (che è all’incirca il massimo diametro ottenibile da tre fili di budello di agnello di 8-9 mesi, come peraltro da noi cordai verificato sperimentalmente) e 0,90 mm per il Canto “normale” e 0,95 mm per quello “un po’ grosso”.
Poiché il terzo ordine di questa chitarra utilizzava un cantino di violino (da sempre realizzato con tre budelli, detti altrimenti “fili”, Fig. 3) il secondo ordine, per semplice proporzione matematica, doveva essere costituito da due fili (come il cantino del mandolino e del pardessus di viola, secondo il De Lalande) e il primo di un budello soltanto, esattamente come i cantini del liuto.59 In condizioni di calcolo teorico, infatti, il rapporto esistente tra i diametri risulta pari alla radice quadrata del rapporto tra il numero dei fili utilizzati.
La prima corda non poteva che avere lo stesso calibro di quelli dell’ormai quasi tramontato liuto, visto che la chitarra del tempo non faceva altro che rispettarne gli stessi principi guida, vale a dire la ricerca della massima lunghezza vibrante così da lavorare con la prima corda prossima alla rottura. Visto che con tre “fili” si ottiene un diametro oscillante intorno a 0,70 mm, per semplice rapporto matematico si possono ricavare i diametri del primo, secondo e quinto ordine. Ecco pertanto l’ipotesi dei diametri:

1° coro: ~ 0,42 mm (un budello).
2° coro: ~ 0,57 mm (due budelli).
3° coro: ~ 0,73 mm (cantino “grosso” di violino: tre budelli).
4° coro: ~ 0,90 mm (canto di violino).
4° coro: ~ 0,57 mm (due budelli).
5° coro: ~ 0,95 mm (canto un po’ grosso di violino).
5° coro: ~ 0,70 mm (cantino di violino: tre budelli).

Come si può osservare, il quarto e quinto ordine sono costituiti da un basso fondamentale accoppiato alla sua ottava, sistema tipico più della scuola italiana del primo Seicento (vedi Benedetto Sanseverino etc.) che dei Francesi contemporanei a Stradivari, come ad esempio Corbetta e De Visée. Questi ultimi infatti prediligevano le due corde del quinto coro accordate in unisono all’ottava superiore, mentre il quarto era costituito dal basso fondamentale accoppiato ad una corda più sottile disposta in ottava. Per quanto riguarda la lunghezza vibrante della chitarra in oggetto, ci può venire in aiuto la sagoma n° 374 riguardante un’altra chitarra di cui Stradivari fornisce diverse misurazioni e così, per comparazione dei dati, si deduce una lunghezza vibrante di 68,3 ± 5mm.60 Ai fini della stima della tensione di lavoro resta da valutare il corista che per convenzione fissiamo a 415 Hz. Il fatto che le prime tre corde di questo strumento prendano rispettivamente uno, due e tre budelli (esattamente come accade per il liuto) suggerisce l’interessante ipotesi che gli intervalli di quarta tra le corde del liuto, chitarra e altri strumenti a pizzico fossero stati dettati non tanto da questioni di carattere musicale, filosofico o semplicemente di miglior posizione delle dita sulla tastiera ma, più banalmente, dal fatto che solo tali intervalli, tra tutti, permettevano di ottenere da corde di budello composte da uno, due e tre budelli (e così via) l’eguale sensazione tattile di rigidità.
Mano a mano che il numero di budelli accoppiati aumenta, lo scarto di diametro tra corde adiacenti (come ad esempio tra una corda composta da dieci budelli e una fatta da undici) tende naturalmente a diminuire; invece, la differenza di calibro che si riscontra nelle corde composte da pochi budelli è piuttosto significativa.
Ecco dunque i valori della tensione di lavoro per ogni singola corda; è evidente che essi sono
da ritenersi doppi (o sommati nel caso del 4° e 5° ordine) se consideriamo che le due corde di un ordine si  comportano al tatto pressappoco come se fossero un’unica corda:

1° ordine: ~ 3,3 Kg a corda (6,6 Kg totali se è doppio)
2° ordine: ~ 3,3 Kg a corda (6,6 Kg totali)
3° ordine: ~ 3,5 Kg a corda (7,0 Kg totali)
4° ordine ottava: ~ 4,6 Kg
4° ordine basso: ~ 3,0 Kg
5° ordine basso: ~ 1,87 Kg [!]
5° ordine ottava: ~ 4,0 Kg

Il valore di tensione per il basso del quinto ordine risulta decisamente inferiore alla media, mentre i rimanenti valori sembrano mantenere all’incirca la medesima tensione, eccetto le due ottave. Le indicazioni di Stradivari ci  consentono di osservare come la corda del secondo ordine veniva utilizzata anche per realizzare l’ottava appaiata al basso del quarto. Un calibro un po’ più sottile del terzo ordine realizzava invece l’ottava appaiata del quinto. La  spiegazione più plausibile per la ridotta tensione di lavoro della corda del basso risiede nel fatto che questo calibro indica con tutta probabilità la misura dell’anima da utilizzare per la successiva filatura metallica. Vi sono a tal  proposito esempi simili nei riguardi della quarta corda (la sola ad essere filata) del violino presi dai misuracorde del tempo (fig 4).61

Fig. 4: Misuracorde (da LOUIS SPOHR, Violinschule…, Wien 1832, vedi nota 61)

Dall’Italia non abbiamo purtroppo altre informazioni.

Francia

Fig. 5: Una corde buona e una falsa da A. Le Toy, a briefe and plaine instruction, London, 1574

Le Cocq, nel 1729, fornì utili indicazioni sulla scelta delle corde per la chitarra del suo tempo. 62
Dopo aver puntualizzato che tutte le corde sono in budello e spiegato il metodo per riconoscere una corda buona da una falsa (Fig. 5) nonché aver dato spiegazioni sui legacci, Le Cocq precisa che per il secondo e terzo ordine e per l’ottava del quarto si utilizzano corde di spessore similare; in pratica, se si è capito bene, con una sola misura di corda si “coprivano” ben tre cori: “‘Tout les autres rangs, ou cordes [cioè oltre la chantarelle, che era semplice]  peuvent étre d’une même grosseur…”. Per quanto concerne l’ottava del quinto ordine basso, o bordone, essa doveva avere un calibro impercettibilmente più grosso di quello delle corde del terzo ordine. I bassi del 4° e 5° coro erano filati e prevedevano l’impiego di un’anima grossa pari alle rispettive ottave appaiate, caricate poi con un sottile filo di ottone o meglio argento “[…] che ne les charge qu’à demi: c’est à dire qu’il reste un espace vide à le corde, de
la grosseur du dit filet ou même un peu plus…” […che le carica solo a metà: cioè lasciando su la corda uno spazio vuoto grosso quanto il filetto stesso o anche un po’ di più.”]
Va notato che la filatura non risulta a spire accostate come le corde generalmente disponibili nei negozi di Francia “completamente filate o t roppo grosse” (“…que celles qu’on trouve aux boutiques sont entierement chargées ou trop grosses … ”), bensì di tipo “demi”, cioè con le spire distanziate quanto il diametro del filo o poco di più e …“fatte in casa”. In questo modo, spiega Le Cocq (convinto di essere l’unico ad agire così nel suo Paese), il suono risulta meno secco e duro che utilizzando le comuni corde filate con le spire accostate che si trovano comunemente nel mercato, le quali sono anche a suo giudizio troppo grosse. Anche qui va sottolineata la presenza di bassi fondamentali al quarto e quinto ordine, in parziale difformità con i criteri adottati da De Viseé e Corbetta. Un buon esempio iconografico dove si possono osservare la quarta e quinta corda di colore bianco (filate quindi presumibilmente con argento o rame argentato) di una chitarra a cinque cori è una tela di Jean Baptiste Oudry (1686-1755): “Allegorie der Künste” , 1713 (Schwerin, Staatliches Museum). Nonostante queste informazioni, non vi sono comparazioni con i calibri di altri strumenti e così non è possibile fornire alcuna ipotesi di diametri di corda. Michel Corrette, 1761: “La guitarre se mont en cinq rangs de cordes, le 1er n’en a qu’un qui se nomme chantarelle, et les quatre autres rangs en ont chacum deux… Il faut observer que les deux cordes du 3me rang et la petite corde a l’octave du 5me rang soient égales en grosseur pas si forte que la chantarelle de violon. Les deux cordes du second rangégales et plus fines que les précédentes. La chantarelle et la plus petit du 4me rang égales en grosseur et plus fines que celle du 2me rang. La 1re du 4me rang demi-filèe, plus fortes que celle du 3me rang. La 1re du 5me rang, filée en plein plus forte que la 4me. On peut faire filer des cordes de soye à la manière des Chinois qui ne’en usent pas d’autres à leur instruments à cordes, ce qui rend le son plus agréable et plus sonor…”.63
Osservazioni: il punto di riferimento risultano il terzo ordine e l’ottava del quinto, che pre s e ntano un calibro pari al cantino del violino del tempo, cioè intorno a 0,70 mm (tre fili di budello di agnello di 8-9 mesi d’età.). Appare  pertanto evidente che il secondo ordine e il cantino non potevano che prendere rispettivamente due e un budello, in analogia ai diametri dei primi tre cori e alle considerazioni fatte per la “Chitarra Tiorbata” di Stradivari. A differenza del liutaio italiano, però, si osserva che l’ottava appaiata al quarto coro possiede lo stesso diametro del cantino (con Stradivari invece il calibro di questa corda è pari a quello delle corde del secondo ordine), mentre per quella del quinto si usa il calibro del terzo, quasi similmente alla “Chitarra Tiorbata” del celebre liutaio. Piuttosto interessante il suggerimento di utilizzare, in alternativa alle consuete a n i m e di budello, anche anime di seta ritorte alla maniera cinese (in pratica avvolte come un cordonetto) da ricoprire poi con il filo metallico. Questa è la prima indicazione pratica del XVIII secolo che suggerisca l’impiego della seta come anima per le filate.

Ecco ora i supposti diametri:
1° ordine: (~ 0,42 mm: un budello).
2° ordine: (~ 0,57 mm: due budelli).
3° ordine: ~ 0,70 mm (cantino medio di violino: tre budelli).
4° ordine basso: ?
4° ordine ottava: ~ 0,42 mm (= al cantino: un budello).
5° ordine basso: ?
5° ordine ottava: ~ 0,70 mm (cantino di violino: tre budelli).
Considerando una lunghezza vibrante che sia tipica di una chitarra francese, come ad esempio uno strumento di Alexandre Voboam del 1676 (Paris, Conservatoire, E 1532) pari a 69,4 cm, ecco dedotti i valori di tensione (per un corista francese intorno a 390 Hz):

1° ordine: ~ 3,0 Kg a corda (6,0 Kg totali se è doppio)
2° ordine: ~ 3,1 Kg a corda (6,2 Kg totali)
3° ordine: ~ 3,0 Kg a corda (6,0 Kg totali)
4° ordine ottava: ~ 2,4 Kg
4° ordine basso: ?
5° ordine basso: ?
5° ordine ottava: ~ 3,8, Kg

Si riscontra una certa discrepanza tra le tensioni delle ottave appaiate ai bassi del 4° e 5° ordine, mentre i cori superiori presentano valori comparabili all’esempio italiano.
P. J. Baillon, 1781: “La guitarre doint être montée au ton ordinaire d’un orchestre. Il faut avoir soin que les
cordes soient bien choisies et bien égales. La meilleur méthode est de la monter à cordes doubles; la chantarelle seule doint être simple: les secondes doivent être plus grosses que la chantarelle et montées à l’unisson: les troisiemes doivent être plus grosses que les secondes et montées de même à l’unisson: la quatrieme doint être en soie filèe en entier accompagnée d’une corde à boyau un peu plus grosse que la chantarelle et montée à l’octave de la corde filée: la cinquieme doint être aussi en soie filée en entier et plus grosse que la quatrieme; elle doit être  accompagnée d’une corde a boyau un peu plus grosse que les secondes et montée à l’octave de la corde filée. Il faut observer que les cordes qui accompagnent la quatriesme et la cinquieme doivent être posées après les cordes filées, c’est a dire, il faut qu’elles soient les premierès du coté du pouce.”64
– Osservazioni: per quanto riguarda i primi tre cori, non vi sono indicazioni particolari tranne la precisazione che il cantino è semplice. Interessante invece quanto indicato per le ottave del quarto e quinto ordine: dovevano essere un poco più grosse rispettivamente delle corde del cantino e del secondo coro, anziché del secondo e terzo come per Stradivari. Per quanto riguarda i bassi, va notata ancora una volta quella che ora compare come l’unica indicazione,  filare cioè le corde basse su seta.<strong>65 Un’ulteriore osservazione concernente le ottave dei bassi: per il quarto ordine va rilevata la sostanziale analogia con i criteri adottati da Corrette, vale a dire l’impiego di una corda da cantino – anche se un po’ più grossa – per l’ottava appaiata. Come per Le Cocq non è purtroppo possibile dedurre alcun diametro di corda. – Un’ultima notizia di fonte francese, tratta dall’Encyclopédie Méthodique riporta quanto segue: “Les bourdons filés ont deux inconvéniens, l’un d’user & de couper les touches; l’autre plus grand, est de dominer trop sur les autres cordes, & d’en faire perdre le son final par la durée duleur, principalement dans les batteries. Il est des accords oú ils peuvent bien faire, c’est lorsqu’ils produisent le son fondamental; mais comme cela n’arrive pas le plus souvent, il vaut mieux s’en tenir aux bourdons simples, à moins qu’on ne veuille que pincer. Visé, célèbre maitre de guitarre sous Louis XIV, n’en mettoit point au cinquième rang; mais il y perdoit l’octave du la, & par conséquent une demi- octave”.66
L’usura dei legacci di budello ad opera dei bassi rivestiti fu forse l’elemento scatenante che fece decidere la transizione ai tasti di avorio o metallo; questo spostò però il problema dell’usura alle stesse corde filate e tale si  presenta anche oggigiorno.

Messico
Può forse apparire strano che notizie riguardanti la chitarra possano provenire da una delle colonie spagnole in America, anche perché, in analogia con gli altri strumenti, ben poco di significativo oltre oceano si è sinora riscontrato. Il trattato di Antonio Vargas y Guzman (1776) merita un’attenzione particolare perché indica le corde da utilizzare nella chitarra a sei ordini, strumento in auge in Spagna nel tardo Settecento fino ai primi decenni del XIX secolo.67
Vargas precisa che la chitarra possiede sei ordini: i primi tre in unisono, mentre i bassi filati (detti entorchados) vanno normalmente all’ottava. Viene ulteriormente precisato che se la chitarra viene usata per accompagnare – soprattutto quando si tratta di una “grande” formazione orchestrale – allora anche i bassi vanno in unisono.Altro non viene purtroppo aggiunto.
Nel trattato in questione le corde del terzo ordine possiedono un calibro pari alla seconda corda del violino (quindi ~ 0,90 mm) e il secondo ordine pari a quelle del cantino dello stesso strumento, cioè ~ 0,70 mm di media.
Possiamo ora stabilire un’ipotetica lunghezza vibrante di 66 cm come quella della chitarra di Sanguiño di Siviglia (1759), che ha appunto sei o sette cori.68 Per quanto riguarda il corista le ipotesi sono ad ampio spettro poiché non abbiamo sottomano nulla di significativo; ma se per pura speculazione consideriamo quello di 415 Hz siamo in grado di stimare la tensione di lavoro per il secondo e terzo coro:

Si ~ 0,70 mm: ~ 4,8 Kg
Sol ~ 0,90 mm: ~ 5,0 Kg

La cosa certamente più significativa è che tra questi due ordini (ma con tutta probabilità anche tra le corde seguenti) si manifesti una condizione prossima all’eguale tensione di lavoro, in analogia ai casi precedentemente esaminati.
Va da sé che probabilmente anche il cantino dovrebbe prendere ~5,0 Kg di tensione determinando un diametro prossimo a 0,53 mm: grossomodo ciò che si ottiene con due “fili” di budello, impiegato come cantino del mandolino o del pardessus di viola.69
Con questi documenti si chiude quanto da noi conosciuto in merito alla chitarra del Secolo dei Lumi; come evidenziato dai pochi dati ritrovati sembra emergere un profilo di eguale tensione tra le corde.
Del Seicento invece non possediamo a tutt’oggi nulla di significativo tranne alcuni inventari di bottega che riportano le spese per l’acquisto di corde di vario genere, tra cui anche quelle per chitarra. Si può tuttavia affermare che la chitarra non potè beneficiare – almeno fino alla seconda metà del secolo XVII – dei bassi rivestiti.
In virtù della stretta parentela progettuale (i criteri di scelta della lunghezza vibrante in relazione all’intonazione della prima corda etc…) si ritiene tuttavia che i calibri in uso nella chitarra del XVII secolo non furono altro che gli stessi in uso comunemente nel liuto.
Per quanto riguarda la zona di provenienza delle corde da chitarra va sottolineata come per il violino la pre f e renza dei francesi verso il prodotto italiano – considerato insuperabile, soprattutto nei cantini – rispetto ad altre manifatture. Ecco ad esempio Michel Corrette: Les bonnes cordes à boyaux sont ordinairement de Rome, de Florence, de Naples, et de Lyon etc.70
La preferenza per le corde di provenienza romana e, ancora di più, napoletana emerge chiaramente anche dalle lettere del violista da gamba Forqueray e si mantiene intatta, anche per gli altri strumenti ad arco, almeno fino alla fine del XIX secolo.71
In concomitanza con il diffondersi dei bassi filati su seta nella chitarra (i quali presentano una resa acustica indubbiamente migliore di quelli filati su budello) la regola di ricercare la massima lunghezza vibrante, rispettata anche nella prima metà del Settecento, non ebbe più motivo tecnico di esistere. Questo rese accessibile ai liutai del tardo Settecento un consistente accorciamento della lunghezza vibrante (pari a circa un tono) anche nel nostro strumento, a beneficio dell’agilità di esecuzione, aspetto che si rendeva ora particolarmente necessario in conseguenza delle mutate esigenze musicali. Agilità ancor più favorita da una concomitante graduale eliminazione degli ordini in favore delle corde singole, dall’abolizione delle tastature in budello sostituite da quelle fisse in avorio o metallo e, finalmente, dall’aggiunta determ i n a n t e della sesta corda nel basso accordata in Mi, aggiunta che causò la fine dell’utilizzo degli accordi sempre rivoltati tipici dello strumento a cinque ordini. Va puntualizzato che uno strumento a pizzico a corde semplici possiede per sua natura una maggiore versatilità dinamica e agilità
esecutiva rispetto ad uno con i cori. In relazione ai motivi che poterono ispirare l’aggiunta della sesta corda nel basso non può trascurarsi probabilmente la mandora a sei chören, strumento in gran voga in Austria, Germania, Boemia e Moravia nell’epoca in cui avvenne questa importante trasformazione.72 Tale strumento presenta caratteristiche fortemente affini – nella quantità e disposizione di corde nonché nel tipo di prestazioni – a quella che sarebbe poi divenuta la chitarra a sei corde: tutto un altro mondo rispetto alla chitarra coeva di cinque ordini.
Questo a patto di trascurare il fatto che essa appariva morfologicamente assai simile al liuto di sei-otto ordini del periodo rinascimentale. Un discorso particolare merita l’incatenatura, che nell’area sotto il ponte si realizzava (stando almeno agli esemplari di mandora sopravissuti) emblematicamente con cinque catenine disposte a ventaglio e non secondo la disposizione classica del liuto (cioè due catenine oblique dalla parte del cantino e una catena assai sottile curvata un poco verso le doghe e posta trasversalmente alla tavola armonica a metà strada tra il ponte e il fondo della tavola ed estesa in lunghezza non o l t re la parte del ponte occupata dai bassi).
Esperimenti comparativi eseguiti tra l’incatenatura tradizionale e quella a ventaglio hanno evidenziato che quest’ultima presenta la particolarità di sostenere acusticamente in modo particolare il registro medio e basso di un liuto.73 La mandora possedeva poi un’accordatura generalmente in Re, ma con gli stessi intervalli della chitarra. Considerando che la lunghezza vibrante di molti esemplari conservati nei musei oscilla intorno a 70-72 cm, per  semplice proporzione si ricava una lunghezza vibrante di 62-64 cm (guarda caso!), qualora sia teoricamente p roporzionata per un’accordatura in Mi. Strumenti di questo tipo erano ricercati Oltralpe per la loro agilità e per la presenza di suono nella realizzazione della parte del basso, in strenua concorrenza alla tiorba e al liuto. La concorrenza era ancora più temibile per la chitarra a cinque ordini, la quale non godeva ormai più del seicentesco distinguo di suonarsi a botte che in qualche modo la differenziava dagli altri strumenti a pizzico e che si trovava  pertanto nell’assoluta necessità di adattarsi in qualche maniera per poterla contrastare. Ecco cosa dice in proposito
Simon Molitor nel 1807:
“Ora, la chitarra ha ottenuto un secondo miglioramento mediante l’aggiunta della sesta corda, esattamente il Mi basso, che da noi divenne subito comune. In questo modo la chitarra divenne del tutto simile alla mandora”.74
Non sono chiaramente espliciti i motivi per cui la chitarra si accorciò proprio di circa due tasti: visto però lo stretto legame simbiotico che essa sempre ebbe con il violino, viene da pensare che solo con questo preciso accorciamento si potessero utilizzare pari pari le prime tre corde di questo strumento garantendo allo stesso tempo un valore di tensione ritenuto giusto. Significativo il fatto che la chitarra assunse una lunghezza vibrante esattamente doppia di quella del violino presentando anch’essa il cantino in Mi: la chitarra del tempo di Sor e Giuliani era nata.

 

 

 

  1. La sezione di un mm2 corrisponde ad una corda di circa 1,13 mm di diametro
  2. DJILDA ABBOT – EPHRAIM SEGERMAN,Strings in the 16th and 17th centuries, “The Galpin Society journal”, XXVII 1974, pp. 48-73. In base a nostre sperimentazioni il valore di carico di rottura medio del budello indicato da Segerman (32 Kg/ mm2) risulta troppo basso
  3. Vendelio Venere in Venetia 1596”, liuto a sette cori, Bologna, Accademia Filarmonica. Vi sono altri validi esempi di liuti veneziani presenti nei musei: ‘”Giovane Hieber in Venetia”,seconda metà del XVI secolo, lunghezza vibrante 59 cm, Bruxelles, Musée Royal Instrumental, n° 1561; “Matteo Sellas in Venetia, 1638”, liuto attiorbato a 14 cori, lunghezza vibrante 58 cm, Paris, Musée de la Musique, n° 1028.
  4. ARTHUR MENDEL,Pitch in western music since 1500: a re-examination, “Acta musicologia”, L, 1978, pp. 1-93.
  5. Cfr. ERNST GOTTLIEB BARON,Historisch-theoretisch und practische Untersuchung des Instruments der Lauten, Johan Friedrich Rüdiger, Nürnberg 1727, tradotto da Douglas Alton Smith, Instrumenta Antiqua Publications, Redondo Beach (Cal.) 1976, p. 98.
  6. EPHRAIM SEGERMAN,On German, Italian and French pitch standards in the 17thand 18 th centuries, “Formhi quarterly”, n° 30, January 1983, comm. 442.
  7. R. THOMAS WILLIAM & J. J.K. RHODES,The string Scales of Italian Keyboard Instruments, “The Galpin Society Journal”, XX, 1967, p. 48.
  8. DANIELLO BARTOLI,Del Suono, de’ Tremori Armonici e dell’Udito,Trattato del P. Daniello Bartoli della Compagnia di Giesu, Roma 1679. A spese di Nicolò Angelo Tinassi. 4to, 8 + 330 + 1pp.; Proprietà Roberto Regazzi Bologna; ‘Capo Quinto’, “Disgressione. Se le corde in ogni lor parte sieno tese egualmente: e per qual cagione troppo tese si rompono.” Il Bartoli a pagina 263 così si esprime: “Una corda [da Liuto, n.d.r] stràpparsi allora che non può più allungarsi: cioè, che finche può allungarsi, non può strapparsi: e mi pare tanto vera, quanto è, il non venirsi nelle operazion naturali e necessarie, all’estremo, che prima non si sien passati tutti i mezzi, e vinte le lor resistenze, che si trovano sempre minori. Ma lo strapparsi, è l’estremo dello stiramento, adunque non si viene ad esso, mentre la corda, coll’allungarsi puo non strapparsi.
  9. PA T R I Z I A FR I S O L I,The Museo Stradivariano in Cremona, “The Galpin Society Journal”, XXIV, July 1971 p. 40.
  10. S. SACCONI,I segreti di Stradivari, Cremona, 1972. Manca il nome completo e la casa editrice
  11. PATRIZIO BARBIERI,Giordano Riccati on the diameters of strings and pipers, “The Galpin Society Journal”, XXXVIII, 1985, pp. 20-34: “Colle bilancette dell’oro pesai tre porzioni egualmente lunghe piedi 1 _ Veneziani delle tre corde del Violino, che si chiamano il tenore, il canto e il cantino. Tralasciai d’indagare il peso della corda più grave; perchè questa non è come l’altre di sola minugia, ma suole circondarsi con un sottil filo di rame.
  12. PATRIZIO BARBIERI, op. cit. Cfr. anche: MIMMO PERUFFO,Italian violin strings in the eighteenth and nineteenth centuries: typologies, manufacturing techniques and principles of stringing, “Recercare”, IX, 1997 pp. 155-203.
  13. FRANCOIS DE LALANDE,Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris 1786, pp. 514-9, Chapire XXII “Du travail des Cordes à boyaux…: “…on ne met que deux boyaux ensemble pour les petites cordes de mandolines, trois pour la premiere corde de violon…”.
  14. UBERTO ANDREA,L’antico abitato di Salle…,vol. I, Casamari, Tipografia dell’Abbazia, s.d., p.77: “Tra i cordari che lavoravano spessissimo fuori paese o vi tenevano negozio, si distinguevano Carlo Antonio Ruffini, Domenico Antonio De Domicis, Domenico Antonio Angelucci e Giosafatte Di Rocco...”. Archivio di Stato di Chieti, fondo della Regia Udienza di Chieti n. 77. Catasto di Salle del 1746.
  15. FRANCOIS DE LALANDE, op. cit., p. 174.
  16. GEORGE HART,The violin and its music, Dulau and Schott, London 1881, pp. 46-7.
  17. AT T A N A S I U S KI R K E R,Musurgia Universalis sive Ars Magna Consoni et Dissoni in X. Libros Digesta, Roma, 1650, Caput II, p. 476:“…ita hic Romae gravissimam tesdudinis chordam ex 9 intestinis consiciunt, secundam ex 8, & sic usque ad ultimam, & minimam, quae ex uon intestino constat.” .
  18. MARTYN HODGSON,The stringing of a baroque guitar, in “FOMRHI Quarterly”, n. 41, October 1985, pp. 61-67.
  19. Cfr. FILIPPO FODERÀ,Metododel 1834 citato da PATRIZIO BARBIERI in Acustica, accordatura e temperamento nell’illuminismo veneto, Istituto di Paleografia Musicale, Torre d’Orfeo, Roma, 1987, p. 42: Misura delle corde alla trafila delle grossezze Violino di Guarnerio Grado della trafila delle grossezze 

cantino Dritto 17/80 Rovescio 20/100

seconda Dritto 25/80 Rovescio 28/100

terza Dritto 29/80 Rovescio 35/100

Cordone – Rovescio 29/100

Queste misure si rifanno al misuracorde del Foderà e sono riferite ai due lati dello stesso. Un altro illuminante esempio è tratto dal misuracorde per violino di LO U I S SP O H R, “Violinschule [].”, Tobias Haslinger, Wien 1832,sulpp. 13-14, plate 1, figura IV, dove sono marcate le seguenti numerazioni: E 18, A 23, D 31 e G 25. L’unità di misura ci è purtroppo sconosciuta. Il misuracorde era costituito da una piastrina di metallo provvista di un intaglio graduato ad angolo molto acuto con delle tacche incise: la corda veniva infilata in tale spaccatura e, sposandosi verso il vertice interno, ad un certo punto – a causa del suo spessore – arrivava a toccare i due lati dell’intaglio graduato fornendo una misura approssimativa ma efficace. Tale strumento fu in uso a partire forse dall’inizio del sec. XIX fino alla metà di quello seguente.

  1. FRANÇOIS LE COCQ,Recueil des pieces de guitarre composees par Mr. Francois Le Cocq, Brussels, Bibliothèque du Conservatoir Royal de Musique, Ms. Littera S, no. 5615, 1730. Capitolo: “Des chordes”.
  2. MICHEL CORRETTE,Les Dons d’Apollon, Paris 1763, p. 22, Capitolo XVI.
  3. P. J. BAILLON,Nouvelle Méthode de Guitarre, Paris, 1781, p. 3. “La chitarra deve essere montata al tono solito dell’orchestra. Bisogna stare attenti che le corde siano ben scelte e uniformi. Il miglior metodo è di montarle doppie; solo il cantino deve essere semplice. Le seconde devono essere più grosse del cantino e montate all’unisono; le terze più grosse delle seconde e anch’esse all’unisono. La quarta deve essere di seta interamente filata e accompagnata da una corda di budello  un po’ più grossa del cantino e montata all’ottava della corda filata. La quinta deve essere anch’essa di seta interamente filata e più grossa della quarta e va accompagnata da una corda di budello un po’ più grossa delle seconde e montata all’ottava della corda filata. Bisogna far sì che le corde che accompagnano la quarta e la quinta siano poste dopo le corde filate, e cioè devono essere le prime dalla parte del pollice.”
  4. Per la verità i bassi filati su seta erano già stati descritti da Playford nel 1664(An introduction to the skill of music […]. The fourth edition much enlarged,William Godbid for John Playford, London, 1664), quando la recente invenzione delle corde filate fu annunciata ufficialmente al mondo musicale del tempo; anche se poi non esiste una sola fonte storica che documenti di un loro impiego prima della seconda metà del sec. XVIII.
  5. Encyclopédie Méthodique, Paris, 1785, Capitolo:L ’ a r t du faiseur d’instruments de musique. “I bordoni filati hanno due inconvenienti: l’uno è che consumano e tagliano i tasti; l’altro, il più grande, è che predominano sulle altre corde, di cui fanno sparire la fine del suono, specie nelle batterie, a causa della durata del proprio suono. Negli accordi in cui producono la nota fondamentale possono andare bene, ma visto che ciò non avviene spesso, è meglio limitarsi a tenere i bordoni semplici a meno che si debbano suonare solo pizzicando. Visée, celebre maestro di chitarra durante il regno di Luigi XIV, non ne metteva affatto al quinto ordine, perdendo così l’ottava del La e, di conseguenza, una mezza ottava.”
  6. RO B E R T ST E V E N S O N,A neglected Mexican Guitar Manual of 1776, “Inter. American Music Rewiew”, 1, 1979, pp. 205-10: “Explicacion para tocar la guita[r] rade punteado por musica o sifra y reglas vtiles para acompañar la parte del bajo dividila en dos tratados por D. Juan Antonio Vargas y Guzman. Professor de este ynstrumento en la Ciudad de Veracruz Año de 1776” , Newberry Library, Chicago, Case MS VMT 582 V29e; p. 291.
  7. Come suggerito, nel 1999, dal Dr. Paul Sparks in una comunicazione privata all’autore
  8. FRANÇOIS DE LALANDE, op. cit., p. 174.
  9. MICHEL CORRETTE, op. cit. p. 22. “Le buone corde di budello provengono di solito da Roma, da Firenze, da Napoli e da Lione.”
  10. Vedere la lettera di Forqueray al Principe Wilhelm, fine 1767-inizi 1768:”…que les deux dernières petites cordes soient romaines, les cinqe dernières de Naples...”. Citato da YVES GÉRARD InNotes sur la fabrication de la viole de gambe et la manière d’en jouer, d’après une correspondance inédite de J.B. Forqueray au prince FrédéricGuillaume de Prusse, Recherches sur la musique francais classique, II 1961-2 lettre 7: “A son altesse royale monseigneur le prince de Prusse”.
  11. PIETRO PROSSER,Calichon e Mandora, ovvero: das non plus ultra satis est,“il Fronimo”, n. 109, parte I, Aprile 2000, pp. 44-52.
  12. GEOFF MATHER,Enigmatic bars and below the bridge bars (some observations),“FOMRHI Quarterly”, Bulletin 23, April 1981, comm. 334, p. 47.
  13. PIETRO PROSSER,Calichon e Mandora, ovvero: das non plus ultra satis est,“il Fronimo”, n°110, parte II, Luglio 2000, p. 33, nota 56 a piè pagina.