Perché la loro manifattura è ancora prevalentemente manuale e con un alto grado di specializzazione: siamo rimasti in pochi nel mondo a saper costruire le corde di budello adatte alle montature storiche.
Per realizzare una corda sono inoltre necessari almeno 10 –12 giorni di lavoro continuo.

Il colore con cui si presentato le corde di budello non ha alcuna influenza sia sulla resa acustica che sulla durata di vita di una corda.Esso è soltanto una pigmentazione naturale variabile da budello a budello. Corde troppo bianche (simili cioè al Nylon) potrebbero tuttavia indicare un trattamento di sbianca troppo energico.

No, il budello di qualunque animale, se non sbiancato, si presenta sempre più o meno marrone.

In altre parole questo sta a significare che quel particolare tipo di corda (nella fattispecie, il budello di montone) – per precisa scelta del cordaio – non ha subito un trattamento di sbianca del materiale.

Se le corde provvengono tutte da strisce non cambia nulla. La qualità acustica di una corda dipende infatti essenzialmente da due fattori: densità del materiale e modulo elastico.

A di là del valore storico, tutti questi materiali possiedono lo stessa densità (si tratta, alla fine, di carne essiccata).

Il modulo elastico invece dipende esclusivamente da come il cordaio ha realizzato la corda (in alta o bassa torsione; uso di sali indurenti etc).

Prove eseguite mediante il sistema detto ‘a doppio cieco’ hanno sinora dimostrato che non è possibile avvertire  alcuna sostanziale differenza acustica.

Le cose cambiano invece radicalmente se le corde sono fatte a partire da budello intero di agnello non tagliato in fettucce. Qui si riscontra di fatto una migliore resa acustica, rapida intonazione e stabilità della corda.

Fino alla metà del Seicento si ha comunque notizia che venivano usati indifferentemente, nelle diverse regioni d’Italia, budelli di capra, agnello, castrato, montone, pecora (più raramente lupo e manzo; vedere Attanasio Kircher: ‘Musurgia Universalis’, Roma 1650).

Questa affermazione oggi (2019) non è più vera. Il taglio in fettucce del budello destinato a fare le corde da musica è una tecnica  già utilizzata a partire dalla seconda metà del XVI secolo (vedere gliStatuti dei Cordai di Roma, 1589 e di Napoli, 1653) e, ancora più sicuramente, nella seconda metà del XVIII secolo ma che in Italia fu sempre considerata una frode commerciale.

Sino a poco fà non si conosceva più  –si intende qui nei minimi dettagli – il procedimento di lavorazione del budello intero.  Va rilevato inoltre, generalmente parlando, come sia oggi molto difficile reperire budelli di agnello che siano così sottili da poter ad esempio realizzare –partendo da tre di loro ritorti assieme –  un diametro pari a quello medio di un cantino di violino di tipo storico: in pratica si ottengono sempre corde molto più grosse, indice sicuro questo che di vero agnello (con meno di 1 anno di vita) non si tratta: da qui la necessità di fenderlo a metà al fine di produrre strisce più sottili come si faceva fuori dall’Italia e poi anche in questa Nazione a partire dal 1910-20.

Dopo diversi decenni di ricerca la nostra azienda è riuscita alla fine a realizzare corde di budello intero e non più a partire da strisce.

 

Vi possono essere diverse cause:

  • non siete ancora abituati a suonare con calibri più consistenti del solito
  • le corde di maggior spessore producono una pressione eccessiva sulla tavola armonica, pressione che va a soffocare il suono prodotto: diminuire la pressione riducendo l’angolo dato dalle corde sul ponte, per mezzo di uno spessore posto tra la cordiera e il bordo della tavola armonica (soluzione adottata anche dagli antichi) , oppure, se si può, abbassare il ponte stesso.
  • le corde sono troppo rigide sia per il tipo di materia prima, per la tipologia dell fasi chimiche adottate e per il grado di torsione.

Per ulteriori dettagli suggeriamo di visitare questo sito: www.damianstrings.com/baroque%20set-up.htm

Una differenza importante: una corda in alta torsione risulta essenzialmente molto più elastica, la quale reagirà di conseguenza con facilità sia a pizzico che sotto l’arco producendo una grande escursione dinamica e varietà timbrica.

Per contro una corda in bassa torsione – che è più rigida – risulta meno reattiva ma più robusta alla trazione: essa è pertanto destinata alle corde di cantino in genere

A parità di materiale elasticità e resistenza alla trazione sono inversamente proporzionali: ecco perchè non è possibile utilizzare una corda in alta torsione come cantino; essa si romperebbe facilmente.

Tutto bene invece se fosse realizzata in bassa torsione. Non così bene  infine se questa ultima dovesse essere impiegata in registri intermedi: la resa acustica ne uscirebbe impoverita.

Una corda moderna viene oggi levigata mediante un’apposita macchina fino ad ottenere una superficie perfettamente liscia: questo va certamente a discapito delle fibre superficiali che vengono così inevitabilmente danneggiate.

Nella corda semirettificata invece l’operazione di levigatura viene  fermata prima di arrivare ad ottenere una superficie completamente liscia: in questo modo si riesce non solo ad imitare al meglio la levigatura manuale di un tempo

ma si ottiene il risultato che la maggior parte delle fibre superficiali rimangono sostanzialmente intatte.

Questo si traduce in una maggior durata della corda, maggior tenuta di accordatura e miglior resa acustica (le fibre spezzate producono infatti un effetto smorzante sul suono).

Generalmente nessuna. Per le corde di contrabbasso si suggerisce invece di trattarle episodicamente, nel tratto soggetto all’azione delle dita della mano sinistra, con grasso di cervo reperibile in farmacia. Questo aumenterà la loro durata.

Se non trovate il grasso di cervo utilizzate pure il grasso incoloro da scarponi: è stato testato con pieno successo ed è sicuramente preferibile a quello di un essere vivente.

Nessuna in particolare. Umettarle nella loro lunghezza con olio d’oliva o mandorla qualora si manifesti, con i climi particolarmente secchi e freddi, una leggera vibrazione del filo contro l’anima interna.

Si deve fare il semplice test che risulta descritto in Ganassi, Mersenne, Le Roy ed altri ancora e che permette di distinguere rapidamente una corda falsa da una buona. In pratica si deve tendere la corda tra le mani e si pizzica ripetutamente con un dito a 5 cm circa da un termine osservando attentamente la qualità del fuso di vibrazione .Il fuso deve essere omogeneo senza alcun tremolo al suo interno. Questo test veniva diffusamente eseguito perché la levigatura delle corde veniva effettuata a mano libera con conseguente rischio di imprecisione nel diametro finale. Al giorno d’oggi, in virtù della rettifica meccanica, esso risulta generalmente superfluo.

L’ Indice di Rottura di una corda (Breaking Index), esprime la massima frequenza verso l’acuto dove la corda esattamente si rompe e per qualunque diametro (lo dimostra la formula delle corde) alla lunghezza vibrante unitaria di 1 metro.  Per il budello ed il Nylgut si ritiene valido il valore medio di 260 Hz/mt (in altre parole, ciò sta a significare che alla lunghezza vibrante di 1,0 metri una corda di budello -o di Nylgut-  si romperà statisticamente alla frequenza di 260 Hz: più o meno un ‘Do’).

Si evince quindi che il prodotto tra la frequenza di intonazione del cantino e la lunghezza vibrante dello strumento (prodotto detto più propriamente ‘Indice di Lavoro’) deve pertanto essere sempre al di sotto di un margine di sicurezza pena altrimenti la rottura immediata della corda (se si supera il valore di 260) oppure la rottura entro un breve lasso di tempo se si è compresi tra un indice di 240 e 260. Nessun problema al di sotto di 230. Questo è valido per gli strumenti a pizzico; per gli archi il valore di sicurezza è di 220 Hz/mt  inteso come valore massimo.

A cosa serve??

Questa formula è utile al fine di verificare se una data lunghezza vibrante risulta o no eccessiva per l’ intonazione richiesta al cantino. Preziosa quindi per i liutai.

Esempio: è possibile accordare in La (a- 440 Hz corista) un liuto di 62 cm di lunghezza vibrante?

Risposta: 62 cm = 0,62 metri. Quindi: 0,62 mt X 440 Hz (frequenza del la del cantino) = 272,8

La risposta è no

Quale dovrebbe essere la lunghezza vibrante corretta per poter accordare un liuto in La?

Per la sicurezza del cantino operariamo con un Indice inferiore o uguale  a 240.

Pertanto: 240/440 Hz (frequenza del cantino) = 0,545 metri.

In pratica sono da adottare non più di 54 cm di lunghezza vibrante.

Regola pratica per gli strumenti a pizzico:

  • Indice di  Lavoro  inferiore o uguale a 230: semaforo verde (il cantino si trova in una condizione di sufficiente sicurezza)
  • Indice di Lavoro compreso tra 240 e 250: semaforo arancione (il cantino potrebbe statisticamente rompersi entro poche ore/giorni, soprattutto se si è in condizioni di umidità elevata)
  • Indice di Lavoro maggiore di 260: semaforo rosso (il cantino si rompe istantaneamente o dopo alcuni minuti.

Per gli archi:

  • Indice di  Lavoro  inferiore o uguale a 200: semaforo verde (il cantino si trova in una condizione di sufficiente sicurezza)
  • Indice di Lavoro compreso tra 210 e 220: semaforo arancione (il cantino potrebbe statisticamente rompersi entro poche ore/giorni, soprattutto se si è in condizioni di umidità elevata)
  • Indice di Lavoro maggiore di 240: semaforo rosso (il cantino si rompe istantaneamente o dopo alcuni minuti.

Contrabbassi e Violoni: non superare un Indice di lavoro di 190

A causa dello scarso grado di standardizzazione questa verifica si impone soprattutto negli strumenti medioevali e nelle relative arpe o anche nelle copie esatte di strumenti da museo, liuti in testa (non è detto affatto che la lunghezza vibrante dello strumento originale – ottimizzata appositamente per il corista del committente di allora – sia idonea anche per il nostro corista moderno, generalmente più acuto!).

E’ il massimo diametro che risulta ancora atto a produrre una resa acustica  mediamente accettabile per le nostre orecchie (è in altre parole il suo grado di inarmonicità). Il limite risulta empirico ed è funzione innanzitutto del grado di elasticità della corda. Seguono poi i fattori esterni, vale a dire:

  • la lunghezza vibrante, se lo strumento è a pizzico o ad arco
  • la qualità dello strumento
  • la tensione di lavoro.

Si può anche qui esprimere come Indice di  Qualità Acustica, pari cioè al prodotto della lunghezza vibrante dello strumento in metri per la frequenza in Hz della corda in esame.

Empiricamente parlando, nella famiglia dei liuti mezzano in Sol (costruiti oggigiorno con 60-62 cm di lunghezza vibrante) una corda di 1,0 mm (5 coro) che sia stata realizzata in alta torsione comincia di per sé ad essere afona al punto tale da richiedere l’ottava appaiata. Il diametro di 1,40 mm, nel caso di una corda realizzata a gomena (tipo Venice) si può considerare senz’altro come il limite estremo di accettabilità (il 6 coro di un liuto). Nel caso di uno strumento ad arco di pari lunghezza vibrante tale  limite si eleva empiricamente di una fattore 1,1.

A cosa serve saperlo?

Serve per poter decidere, durante il calcolo dei diametri,  quando è arrivato il momento di passare da una corda in budello naturale, Nylgut o Nylon ad una di tipo ricoperto.

Regola pratica:

  • Indice di Qualità Acustica di 100: una corda di budello/Nylgut/Nylon comincia a manifestare una certa perdita di qualità acustica (necessità, ad esempio, delle ottave appaiate nei Liuti)
  • Indice di Qualità Acustica minore di 80: bisogna passare ad una corda di tipo rivestito o di budello appesantito.

Il diametro viene oggigiorno misurato per mezzo di un micrometro di elevata precisione.

Bisogna tuttavia avvertire di verificare accuratamente lo zero prima di ogni misura e di non schiacciare eccessivamente la corda durante la misura. In entrambi i casi si otterrebbero dati sfalsati.

E nel passato??

A partire dal 1830 circa e fino alla metà del XX secolo i musicisti si servirono del misuracorde o gauge (la prima descrizione si trova in LOUIS  SPOHR; Violinschule […], Wien 1832).

Luis Spohr’s gauge is a metal plate with an acute ‘V’ with gauges scored on the edges: the string slid in until it touches both sides of the V. at this point we read its gauge value.

This method, obviously, allows for a certain margin of approximation. We have no record of similar methods being used in the 18th century.

Marin Mersenne (Harmonie universelle, Paris 1636) suggests winding the string around a small cylinder a given number of times, measuring its length and dividing by the number of spires.

Esso è nella pratica una piastrina di metallo con un intaglio a ‘V’ piuttosto acuto: la corda da misurare si inserisce all’interno dell’intaglio spostandola fino a che non aderisce ad entrambi i lati  dello stesso. A questo punto si  legge la misura sulla scala graduata lungo l’intaglio. Va da sé che la misura presenta un certo grado di incertezza. Non sono noti sistemi simili in uso nel XVIII secolo. Marin Mersenne (Harnomie universelle […], Paris 1636) suggerisce di avvolgere  intorno ad un cilindretto un numero noto di spire ben accostate e quindi di misurarne l’intera larghezza e dividerla per il numero di spire. 

 

 

La scalatura dei diametri (esempio: 62, 64, 66 etc..) è un’invenzione relativamente moderna; adottata dopo l’introduzione della rettifica meccanica di precisione.

Sino agli inizi del XX secolo il diametro di una corda era stabilito soprattutto dal numero di budelli necessari per fabbricarla. Il cantino di violino ad esempio ne utilizzava generalmente tre.

Questo sta a significare che, essendo il budello un prodotto naturale non standardizzabile completamente nelle sue dimensioni fisiche, si otteneva non un calibro unico bensì un range di diametri prodotti.

Sempre nel caso del violino il range di calibri ottenibili con tre budelli di agnello variava tra 0,65 mm e 0,75 mm, con una forte prevalenza quantitativa dei calibri intermedi (0,68 mm – 0,70 mm).

Le corde venivano generalmente vendute in buste oliate contenenti 30-50 corde fatte tutte a partire dallo stesso numero di budelli: spettava al musicista innanzitutto selezionare, mediante il test di Mersenne, le corde false da quelle buone e poi, tramite il misuracorde, separare quelle per lui troppo sottili o troppo grosse.

Una corda viene verniciata al fine di ritardare l’usura superficiale.

L’operazione di verniciatura  non è storica; i primi campioni di corde verniciate da noi osservati risalgono soltanto agli anni al 1920-30.  Una corda verniciata presenta una resa acustica lievemente opaca mentre l’attacco dell’arco a volte risulta più difficoltoso e facile all’emissione di ‘fischi’.

La maggior parte delle rotture delle corde sono ascrivibili all’effetto taglio indotto dal capotasto e dal ponticello. Nel tardo Seicento ad esempio (Thomas Mace, 1676) si suggerisce quanto segue:

prendete un coltello e fate una piccola impressione sul capotasto, che deve poi essere limata abbastanza profonda da farci stare le corde…dopo aver marcato la posizione di tutte le corde, il che può essere fatto con una matita o inchiostro e penna. …dovete prenderlo [il capotasto] e polirlo molto bene (ma specialmente i solchi)…prendete un pezzo nuovo di pelle bovina e un po’ di gesso grattato e bagnato di saliva e strofinate accuratamente fino a che i solchi saranno molto lisci…

Ogni spigolo vivo e/o angolo brusco deve dunque essere accuratamente eliminato.

Soltanto al termine di questa operazione suggeriamo di disporre nei solchi della grafite lubrificante di una matita oppure del sapone ben secco: si otterrà un tal modo non solo una migliore stabilità e facilità di intonazione ma si eviterà anche che la corda -essendo tenera- si appiattisca e si inceppi all’interno del solco facilitando pertanto la sua possibile rottura.

John Dowland ad esempio (Other necessary observations belonging to the lute”, in ROBERT DOWLAND: Varietie of lute-lessons […], Thomas Adams, London 1610, paragraph “Of setting the right sizes of string”) suggerì quanto segue:

…il rimedio migliore quando le corde si attaccano è strofinare i solchi nel capotasto (dove scorrono le corde) con un po’ di olio, cera o matita nera’.

No, il budello è un materiale estremamente igroscopico: l’assorbimento di umidità incide pertanto in più o in meno nel diametro finale: corde misurate ad esempio durante una giornata piuttosto umida presenteranno un calibro maggiore e viceversa.

Si è rilevato sperimentalmente che una corda di budello di .82 mm durante una giornata umida può arrivare a misurare  fino a .84 mm; .80 mm invece durante una giornata particolarmente secca.  I diametri delle nostre corde sono riferiti alla temperatura di 20° C e 60% di umidità relativa.

Questa variazione di calibro incide tuttavia in maniera minima sulla tensione di lavoro.

Il nemico principale delle corde di budello è l’umidità: preservare le corde dentro sacchetti di nylon o scatole a tenuta ermetica.
Una corda ben stoccata conserva le sue qualità per molti decenni.

Le corde rivestite storiche, non disponendo del cuscino di compensazione tra l’anima e il filo di ricopertura, durante i climi particolarmente rigidi e secchi possono andare incontro a questo tipo di problema. I metodi del tempo (vedere FRIEDRICH DOTZAUER: “Methode de violoncelle”, Richault, Paris 1830 ca) suggeriscono di umettare leggermente e per tutta la sua lunghezza la corda con delle gocce d’olio di oliva o mandorla al fine di far gonfiare leggermente l’anima ed eliminare il problema del ronzio. Non usare mai acqua.

Curando essenzialmente che non vi siano punti che a contatto della corda che producano l’effetto taglio (capotasto, ponticello, cordiera; vedere questa faq ). La quantità di corda avvolta intorno al pirolo dovrebbe essere la minore possibile evitando troppi sormonti (che rendono la stabilità di incordatura evanescente) e che si schiacci lateralmente alla cassetta dei piroli (vedere THOMAS  MACE: Musik’s monument […], the author & John Carr, London 1676).

Liuti: vi suggeriamo di leggere un interessante lavoro fatto dal liutaio Jiri Cepelak: http://lute.cepelak.cz/care.pdf

E’ un numero che si ottiene dal prodotto tra la lunghezza vibrante in metri e la frequenza in Hz di intonazione del cantino. Esso sta ad indicare la bontà della ‘quantità’ di lunghezza vibrante prescelta rispetto all’intonazione richiesta; bontà che si traduce da un lato nel rischio di rottura prematura della prima corda (se tale lunghezza risulta eccessiva: vedere la faq #14) ; al lato opposto per la probabilità dell’insorgere di problemi di qualità acustica da parte delle corde più gravi (se la lunghezza vibrante risulta troppo ridotta si ottiene un suono più ovattato).

Negli strumenti a pizzico come il liuto e nel violino è bene che l’Indice di Lavoro si mantenga entro un range di 230-240 Hz x mt. In questo modo il cantino lavora nei pressi della rottura garantendo la miglior resa acustica possibile dei registri bassi.

Il Nylgut è un materiale sintetico da noi scoperto e brevettato nel 1997: esso presenta lo stesso peso specifico medio del budello ed un ridotto assorbimento di umidità -pari al 10% soltanto- di quello del Nylon da musica. In pratica si può definire un ‘budello sintetico’.Teoricamente una corda di budello e una di Nylgut dovrebbero avere lo stesso calibro. A causa però dell’elevato allungamento longitudinale del Nylgut si suggerisce di utilizzare, per quest’ultimo,  un diametro leggermente superiore. Tirare bene e a più riprese le corde di Nylgut in fase di prima accordatura. Per l’effetto taglio seguire gli stessi suggerimenti indicati per le corde di budello in questa faq.

A causa di problemi di scivolamento d’attacco il Nylgut non è  utilizzabile negli strumenti ad arco

L’argomento è certamente piuttosto vasto. Si suggerisce pertanto questo approfondimento.

In estrema sintesi:

Violino: prime tre corde in budello nudo; quarta di tipo rivestito con filo tondo

L’impiego di una terza corda rivestita di tipo moderno non è storicamente corretto. Fu tuttavia in uso, nella sola Francia del XVIII secolo, il RE di tipo demifilè (open- wound), sostituito poi nel XIX secolo da una corda in budello naturale.

Viola: Prime due corde in budello naturale; terza e quarta di tipo rivestito.

Cello: per repertori  antecedenti al 1730 ca: prime tre in budello naturale; quarta di tipo rivestito.

Dopo il 1730 ca: terza e quarta di tipo rivestito.

Contrabbasso a tre corde: le prime due in budello naturale; la terza sia in budello naturale che rivestito

Contrabbasso a quattro corde: le prime due in budello naturale; la terza sia in budello naturale che rivestito; la quarta rivestita

Si sottolinea qui come l’uso delle corde  rivestite moderne (filo metallico piatto; anime di budello piuttosto rigido; seta tra l’anima e l’avvolgimento metallico; bilanciamento tra anima e metallo differente dai criteri storici etc) così diffuso al giorno d’oggi vada a snaturare pesantemente la vera espressività dello strumento con montatura storica

Le corde rivestite costruite secondo il metodo storico presentano le seguenti caratteristiche generali:

  • filo metallico a sezione rotonda
  • anime di budello in media o alta torsione
  • assenza di seta tra l’anima e il rivestimento metallico
  • uso di metalli quali l’argento, il rame argentato, il rame puro e sue leghe (ottone)
  • bilanciamento caratteristico tra anima e avvolgimento

Le corde rivestite moderne:

  • filo metallico di tipo piatto
  • anima di budello rigida e scarsamente ritorta
  • presenza di seta tra l’anima e l’avvolgimento metallico
  • uso di metalli di più recente scoperta (Tungsteno, Nichel, leghe particolari etc)
  • bilanciamento tra anima e metallo a favore del metallo

Le differenze acustiche sono pertanto notevoli; ed investono sia la qualità dinamica che timbrica. L’attacco sotto l’arco risulta parimenti diverso: più affine al budello nel caso si tratti di corde storiche.

Le tipologie furono tre:

  • corde a filatura semplice accostata: il filo metallico risulta avvolto una sola volta intorno all’anima e le spire risultano tra loro accostate. Sono queste le corde rivestite di uso comune
  • corde in doppia filatura sovrapposta: il filo metallico risulta avvolto a spire accostate e per due volte sovrapposto su sè stesso.  Per la notevole quantità di metallo rispetto al budello il loro loro utilizzo fu indicato per tutti quei strumenti che presentavano una corta lunghezza vibrante rispetto all’incordatura richiesta (es. Violoncello da spalla, 5a del Contrabbasso etc)
  • corde a filatura semplice di tipo spaziato: il filo metallico risulta avvolto una sola volta con le spire non accostate ma spaziate del diametro del filo stesso o poco più (vedere F. Le Cocq, Paris 1724); corde usate esclusivamente nel XVIII secolo come corde di  transizione tra quelle superiori in budello e i gravi a filatura semplice accostata (ad esempio come 4a del Basso di viola, come terza di Violino etc.)

Non si possono pertanto ritenere storiche molte delle corde demifilè oggi disponibili le quali sono realizzate con spaziatura molto aperta e/o con filo metallico affondato nel budello.

l concetto di tensione espresso in Kg  è un concetto squisitamente moderno, comparso probabilmente per la prima volta intorno al 1860 (MAUGIN – MAIGNE: Nouveau manuel complet du luthier).

Fino alla metà del XIX secolo tensione di una corda veniva intesa esclusivamente in termini di sensazione tattile di rigidezza, che è un’altra cosa rispetto alla  tensione come oggi viene generalmente intesa.

Infatti, mentre il valore di tensione  è espresso soltanto dal suo valore in Kg, la sensazione tattile di rigidezza  è invece influenzata da diversi parametri come ad esempio la lunghezza vibrante (ecco perchè le corde di una Tiorba, qualora calcolate tutte diligentemente  in eguale tensione, quelle in tratta si presentano poi così molli rispetto a quelle  in tastiera!), il tipo di corda ed il suo diametro. Una montatura di corde calcolate tutte in eguale tensione -ma con diversa posizione e  diametro in seno allo strumento ad esempio-  manifesteranno una sensazione tattile piuttosto diversa tra loro: questo è in contraddizione con i criteri indicati nei trattati del XVI e XVII secolo, i quali prescrivono che una montatura è ben fatta quando le corde  manifestano tutte uno stesso omogeneo  feeling sotto le dita.  In conclusione, a parità di tipologia di corde, una montatura in equal feeling dovrà essere sempre  di tipo più o meno scalare. Clicca qui  per maggiori approfondimenti.

Ammesso che i punti di contatto con la corda siano stati ben levigati ed arrotondati la prima cosa da fare, in fase di prima accordatura è quella di tirare con le mani la corda fino a che non rimanga stabile di intonazione: moderatamente per i cantini e le rivestite ma con più energia nel caso si tratti di corde più grosse.

Questo consiglio vale sia per il budello che per il sintetico; il Nylgut specialmente.

Meglio seguire i consigli di Thomas Robinson (inizi XVII sec): abbassare di un poco l’intonazione del cantino riducendo pertanto lo stress da trazione.

La differenza è sostanziale: la ricerca nel campo delle montature di corda del passato e di spezzoni antichi ha permesso infatti di appurare che, generalmente parlando, furono utilizzati non solo calibri di corda più grossi rispetto alla  consuetudine di oggi ma anche con superfici levigate a mano  (e pertanto non completamente liscie).

Ora, la scelta di utilizzare una montatura costituita da diametri storici  può comportare talvolta un riadattamento del set-up dello strumento (con particolare riferimento all’angolo formato dalle corde al ponte) talvolta non ben direttamente accetto dallo strumento. Ecco perché,  assieme alla proposta di una montatura storica (da noi sempre auspicata) affianchiamo comunque una montatura di tipo consueto (nelle versioni light, medium e heavy).

La ricerca della giusta tensione di lavoro di uno strumento è un dato sostanzialmente empirico, legato  al tipo di strumento, al tipo di corde ed alla sensibilità del musicista.

Non esistono in altre parole formule matematiche apposite.

Suggeriamo pertanto la seguente procedura: montare sullo strumento (indifferentemente a pizzico o ad arco) una seconda o terza corda  di diametro noto e che si ritenga teoricamente idoneo.  Portare quindi in intonazione la corda e  verificare allora se la stessa appare (secondo la propria sensibilità)  troppo molle o troppo tesa.  A questo punto abbassare (od innalzare) di tanti semitoni quanto sono necessari perché la corda sia portata al giusto valore di tensione; vale a dire, secondo il proprio soggettivo gusto: ovverossia né troppo molle né troppo tesa.

Applicare ora la seguente formula:

Corda che era in origine troppo tesa: moltiplicare (per tante volte quanti sono i semitoni in meno che si è dovuto calare di intonazione)  il diametro di partenza per il valore 0,944: ogni volta che si esegue la moltiplicazione si avrà una riduzione di un semitono nel diametro

Corda che in origine era troppo molle: moltiplicare (per tante volte quanti sono i semitoni in meno che si sono dovuti innalzare di intonazione) il diametro della corda per il valore 1,059: ogni volta che si esegue la moltiplicazione si avrà una crescita di un semitono nel diametro.

Richiedere nuove corde arrotondando il valore determinato mediante il calcolo al diametro commerciale immediatamente prossimo.

Esempio: ho montato sul mio liuto (o strumento ad arco in genere) una quarta corda di diametro 82 ma, posta in intonazione, è troppo leggera di tensione.

Risposta: partendo dalla corda posta in intonazione corretta innalzarla di un semitono alla volta sino a che la tensione non risulti soggettivamente giusta.

Mettiamo che siano necessari due semitoni di innalzamento: moltiplicare per due volte il diametro di partenza (82 mm) con il coefficiente 1,059: il diametro corretto sarà di  91,9 mm, ovvero una 91 commerciale.

Le corde possono fischiare per diverse cause anche concomitanti.

Vediamo ora soltanto la più  frequente: un motivo comune per cui l’attacco dell’arco produce un fischio iniziale può essere il fatto che non si è provveduto ad asportare con cura ’olio con cui le corde vengono trattate.

Si consiglia quindi prima del loro montaggio sullo strumento di pulirle accuratamente con un panno imbevuto con un po’di benzina per smacchiare gli abiti.

Una corda di budello può saltare  immediatamente o dopo poche ore per tre condizioni: la corda è difettosa, la lunghezza vibrante è eccessiva (si è superato l’Indice di Rottura), i punti di contatto con la corda (solchi al capotasto e al ponticello; i fori della cordiera etc) sono taglienti e non lubrificati con grafite o sapone solido come suggerito dagli antichi.

  • Corda difettosa: in genere una corda difettosa si riconosce perché non salta generalmente di netto bensì per progressivo sfilacciamento, preannunciato dalla comparsa di piccoli peli e sbocciature lungo la sua superficie
  • Lunghezza vibrante eccessiva: verificare se il prodotto tra lunghezza vibrante (in metri) e la frequenza è maggiore del valore 240 in liuti, chitarre barocche, ribeche e vielle e strumenti per musica medioevale in genere.
  • Rottura causata da tagli sulla corda: una rottura di questo tipo si caratterizza per un cedimento istantaneo della corda la quale si rompe nel luogo ove l’effetto taglio si manifesta.

Attenzione: la corda si rompe in stato di trazione: questo significa che una volta che si è tagliata ad esempio al capotasto il punto di taglio nella corda non sarà più corrispondente ad esso perché la corda ora non è più in allungamento. Il punto di taglio si manifesterà pertanto alla seconda/terza posizione oppure -se è stato il ponticello a tagliare- tra il ponte e la cordiera.

Le Venice sono corde che presentano un’ elasticità piuttosto elevata, molto più di quella ottenibile da una normale corda in alta torsione. Essendo l’elasticità e la resistenza alla trazione inversamente proporzionali, si evince che questo tipo di corda non deve essere usata in posizioni dove l’ Indice di Qualità Acustica (che è il prodotto tra la l.vibrante in mt e la frequenza della corda in Hz) supera il valore di 140 Hz.mt (vale a dire quella dei cantini in genere).

Le corde di tipo DE sono state appositamente ideate per colmare il vuoto altrimenti esistente nel campo dei bassi che si trovano nelle tratte corte e medie degli arcileuti in genere e liuti in re minore a ‘collo di cigno’.

Le DE sono corde appositamente sbilanciate a favore dell’anima di Nylgut piuttosto che del metallo di ricopertura.

Si è ottenuto pertanto un risultato acustico tale da stemperare decisamente la sonorità tipica delle corde rivestite tradizionali, dominata dalla persistenza acustica, sovrarichezza di armonici e povertà di fondamentale.  Resa, in altre parole, eccessivamente chitarristica.

Per contro, qualora montate in liuti privi di tratta, la resa acustica sarà  centrata soprattutto sulla fondamentale, rendendo indispensabile l’uso delle ottave appaiate. Come al tempo, del resto.

Lo speciale bilanciamento delle DE è stato appositamente studiato al fine di ricostruire la sonorità tipica delle nostre corde in budello appesantito.

Due corde dello stesso diametro e fatte dello stesso materiale (in condizioni di  parità di l. vibrante ed intonazione), secondo la formula delle corde,  manifestano anche la medesima tensione di lavoro. Questo è però vero a condizione che il diametro rimanga il medesimo, per entrambe, anche in stato di trazione.

In pratica questo si verifica soltanto se si è in presenza di corde fatte esattamente nella medesima, identica maniera.  In altre parole esse devono manifestare -a parità di Kg- lo stesso cedimento longitudinale e, di conseguenza, la stessa riduzione percentuale di diametro (evidenziato ad esempio dallo stesso numero di forniti giri al pirolo in fase di accordatura).

Un corda tipo Venice, per sua natura, si allunga molto di più di una in alta torsione ordinaria. Di conseguenza, a parità di frequenza di intonazione, il suo diametro si ridurrà percentualmente di più.

Da qui la necessità di utilizzare un calibro di partenza un pò più grosso: sotto tensione, il nuovo assetto di calibro andrà ad eguagliare quindi quello della corda ordinaria .

La tensione di lavoro sarà dunque finalmente eguale.

In pratica il diametro corretto di una Venice si ottiene moltiplicando per il coefficiente 1,07  il calibro di una data corda in alta torsione da rimpiazzare.

No:  l’esame della documentazione storica ha sinora ampiamente dimostrato che sia la chitarra a sei corde doppie (Spagna del tardo Settecento-inizi secolo seguente) o a corde semplici  utilizzò esclusivamente bassi rivestiti su anima di seta.

La seta, nei bassi della Chitarra, rimase in uso fino alla comparsa commerciale del multifilamento di nylon vale a dire intorno al 1946-50.

Due corde dello stesso diametro e fatte dello stesso materiale (in condizioni di  parità di l. vibrante ed intonazione), secondo la formula delle corde,  manifestano anche la medesima tensione di lavoro. Questo è però vero a condizione che il diametro rimanga il medesimo, per entrambe, anche in stato di trazione.

In pratica questo si verifica soltanto se si è in presenza di corde fatte esattamente nella medesima, identica maniera.  In altre parole esse devono manifestare -a parità di Kg- lo stesso cedimento longitudinale e, di conseguenza, la stessa riduzione percentuale di diametro (evidenziato ad esempio dallo stesso numero di forniti giri al pirolo in fase di accordatura).

Un corda tipo Venice, per sua natura, si allunga molto di più di una in alta torsione ordinaria. Di conseguenza, a parità di frequenza di intonazione, il suo diametro si ridurrà percentualmente di più.

Da qui la necessità di utilizzare un calibro di partenza un pò più grosso: sotto tensione, il nuovo assetto di calibro andrà ad eguagliare quindi quello della corda ordinaria .

La tensione di lavoro sarà dunque finalmente eguale.

In pratica il diametro corretto di una Venice si ottiene moltiplicando per il coefficiente 1,07  il calibro di una data corda in alta torsione da rimpiazzare.

No, la documentazione sinora reperita (con particolare riferimento ad alcuni metodi di Sor, Carulli ed Aguado) dimostra che la chitarra di allora utilizzava i medesimi calibri medi del violino coevo; si tratta in pratica di tensioni di lavoro paragonabili a quelle delle odierne chitarre classiche.

Unica eccezione le montature per chitarre napoletane dei primi decenni del XIX secolo (Fabbricatore, ad esempio): alcuni documenti dimostrano l’impiego di calibri leggermente più leggeri di quelli del violino.

Il profilo di tensione tra le sei corde fu inoltre decisamente meno scalare di quello attualmente seguito in tutte le montature commerciali sino a rasentare l’eguale tensione propriamente detta.

Si suggerisce  di verificare sempre preventivamente (e con cura) lo stato di incollatura del ponticello qualora si intenda dotare una chitarra originale di una montatura di corde.

Questo è un problema che si riscontra di frequente e non è, in genere, imputabile alle corde.

La causa principale è dovuta al fatto che lo strumento presenta probabilmente una lunghezza vibrante eccessivamente corta  per l’intonazione richiesta e, soprattutto, in relazione al fatto che si vuole una montatura in tutto budello.

Prima della diffusione delle corde rivestite -apparse dopo la metà del XVII secolo- la famiglia delle Viole da gamba presentava  lunghezze vibranti piuttosto notevoli rispetto a quelli oggi tradizionalmente in uso.

Dalle tavole di Marin Mersenne ad esempio si calcola che il Basso di viola in Re possedeva una lunghezza vibrante di circa 85 cm contro i tipici 68-70 cm di un basso di viola attuale. La stessa cosa in proporzione con il Tenore in sol: 55-56 cms attuali contro i 60-62 cm del tardo Cinquecento/ prima metà del Seicento.

Gli strumenti del tempo possedevano una lunghezza vibrante maggiore allo scopo di far lavorare i cantini nei pressi della rottura (Indice di lavoro non inferiore a 220 Hz x mt: vedere questa faq). Solo per mezzo di questo artificio si poteva infatti garantire il minimo diametro di tutte le corde, bassi in testa.

Lunghezza vibrante e diametro sono infatti inversamente proporzionali.

Una  riduzione del diametro di una corda ( a parità di tensione, si intende) comporta sempre un benefico effetto sia  nella qualità del suono prodotto che nella facilità di attacco sotto l’arco. Esattamente quello che serve ai bassi, le corde più critiche per eccellenza.

Viceversa, se la lunghezza vibrante risulta più corta ecco allora che le corde vanno ad  assumere range di diametri superiori andando a peggiorare la resa acustica per l’aumentato coefficiente di smorzamento interno alla corda (indice di ‘inarmonicità’).

Le soluzioni? Essenzialmente tre:

  • Utilizzare  strumenti con lunghezze vibranti tipiche del periodo precedente la comparsa delle corde rivestite; vale a dire 82-85 cm per il Basso; 61 cm circa per il Tenore e circa 41 cm per il Soprano per le proporzioni relative tra gli strumenti (vedere Thomas Mace: Musik’s monument […], the author & John Carr, London 1676). In questo modo una montatura in puro budello suonerà in maniera eccellente e pronta.
  • Se si può (nel senso che l’altezza del ponticello lo permette) spostare il ponte verso la base delle ‘C’: così facendo si incrementa la lunghezza vibrante a beneficio della resa acustica globale; ricordarsi di calcolare i diametri tenendo conto di questa modifica.
  • Impiegare corde basse di tipo ricoperto (questo soltanto nel caso non si possa disporre di uno strumento più idoneo o non si intenda sfruttare l’accorgimento -peraltro storico- di ricollocare il ponte più in basso).

Una corda di budello  che è stata piegata di netto manifesta, nel punto della piega, un tratto biancastro. Questo effetto è dovuto ad una  leggera  perdita di coesione tra le fibre ma non indica affatto che la corda è danneggiata. In altre parole la corda è ancora perfettamente integra.

Provate ad annodare le corde come facevano talora gli antichi:
Non esiste purtroppo un’indicazione esatta su come procedere: occorre pertanto agire per via sperimentale via via con ciascuna corda. Da non applicare alle corde rivestite!

Si. La misura del diametro esterno risulta utile soltanto nelle corde composte da un solo materiale, come ad esempio quelle in budello nudo, in Nylon o in Nylgut o in solo metallo. Le corde rivestite sono corde composite,  costituite cioè da materiali diversi accoppiati assieme.

Una corda rivestita si caratterizza invece per questi due parametri:

  • il suo ‘Budello Equivalente’
  • il suo ‘Indice di Metallicità’

Budello Equivalente

Essendo le corde filate costituite dall’accoppiamento di materiali di natura eterogenea si è convenuto di caratterizzarle in termini di budello equivalente: ci si riferisce in pratica al diametro di una corda di budello  teorica che possiede lo stesso peso della corda filata in esame, per lunghezza unitaria. Alla stessa intonazione e lunghezza vibrante si avrà pertanto  la stessa tensione di lavoro. E questo dato è utile per il calcolo dei diametri necessari.

Come si fa a ricavare il budello equivalente di una corda rivestita da sostituire e di cui non conosciamo nulla?

Risposta: si pesa la corda con una bilancia che rilevi i grammi e se ne misura poi l’intera lunghezza. A questo punto si divide il peso in grammi per la lunghezza in metri. Il numero che ne risulta si mette sotto radice quadrata: questo è il budello equivalente (espresso in mm).

Esempio: la mia corda filata pesa 35,5 grammi ed è lunga 98 cm.

Quindi: 35,5 gr/0,98 mt= 36,22 (ora si fa la radice quadrata di questo valore…) =  6,05 mm

In pratica la corda filata in esame equivale ad una corda di budello teorica pari a 6 mm di diametro.

Indice di Metallicità

A parità  di budello equivalente una corda filata può essere realizzata con  innumerevoli rapporti  tra la percentuale di metallo e quella del budello.

Ovvio che all’aumentare dell’uno corrisponda il calare dell’altro, questo al fine di mantenere costante il peso totale della corda,  ovvero il suo budello equivalente.

Maggiore sarà la  prevalenza del budello rispetto al metallo, e più la sonorità tenderà ad  essere opaca. L’esatto contrario  nel caso vi sia più metallo. Il rapporto corretto tra la percentuale di metallo rispetto alla percentuale dell’anima è un dato  dettato puramente dal gusto estetico il quale si rifà a quel particolare impasto timbrico/ dinamico che si ha in mente e che viene giudicato soggettivamente ‘bello’.

Non esiste in altre parole una formula che ci possa dire quale è il giusto grado di bilanciamento.  Si vuole con questo affermare che, una volta stabilito il valore del budello equivalente di una corda (in altre parole la sua corretta  tensione di lavoro), il bilanciamento tra metallo e l’anima è ricavabile esclusivamente con l’esperienza.  L’Indice di Metallicità è legato anche alla posizione occupata dalla corda in seno allo strumento. E’ evidente in altre parole che la terza corda rivestita del violoncello dovrà possedere un Indice di Metallicità inferiore a quello della quarta. Questa ultima corda infatti  dovrà possedere una maggior prevalenzapercentuale del metallo di ricopertura rispetto all’anima (incremento dell’Indice

di Metallicità) al fine di compensare la naturale perdita di  brillantezza per il minor valore dell’Indice di Qualità Acustica (vedere questa faq).

Due corde caratterizzate dallo stesso valore espresso in budello equivalente possono tranquillamente possedere Indici di Metallicità completamente differenti.

E’ il caso ad esempio della quarta corda della viola da braccio e della terza del violoncello. Nel primo caso -il Do della viola-  si avrà una netta prevalenza del metallo (Indice di Metallicità maggiore) che non nel Sol del violoncello. Ecco perchè non si può montare un Sol di violoncello come Do di una viola: la tensione di lavoro potrebbe anche essere giusta ma con una resa acustica decisamente insoddisfacente.

Probabilmente per queste cause:

  • perché si aveva successivamente modificato od integrato l’ordine originale
  • perché si erano chieste corde per uno strumento speciale o di cui non si conoscevano i calibri
  • l’indirizzo non era completo o corretto o mancava il codice fiscale (obbligatorio dal Gennaio 2007)
  • non avevi aggiunto un recapito telefonico (obbligatorio nel caso di pacchi corriere o veloci in genere)
  • eravamo momentaneamente a corto di alcuni calibri
  • sei stato messo in lista di attesa perchè eravamo momentaneamente intasati da ordini
  • a causa di un disservizio postale (succede in media 2 volte al mese)

Queste corde sono state da noi realizzate in base alle conoscenze storiche da noi acquisite dopo anni di ricerche. A causa della spaziatura tra le spire del filo metallico, questo tipo di corda risulta estremamente delicato. Durante la fase di prima accordatura è bene pertanto tenere sollevata di qualche mm la corda sopra il solco del capotasto e del ponticello e lasciarla andare soltanto quando si è prossimi all’intonazione richiesta. La spaziatura dell’avvolgimento infatti non permette per sua natura lo scorrimento della corda nei solchi. In questo modo si elimina il rischio di danneggiamento del filo metallico.