Music China – From 11 to 14 October 2023 – Shanghai China
We will be visiting the Music China.
Music China – From 11 to 14 October 2023 – Shanghai China
Cremona Musica - from 22nd to 24th September 2023 - Cremona Italy
We will have our own booth at the fair: Cremona Experience - Cremona Italy - Piazza Zelioli Lanzini, 1 - 26100 Cremona
Cremona Experience
Vivi insieme a noi l'esperienza musicale Cremona Musica.
Cremona Musica 2023 è un evento musicale di grande importanza, che si svolgerà nella bellissima città di Cremona. La manifestazione è diventata un appuntamento fisso per gli amanti della musica classica e contemporanea provenienti da tutto il mondo. Durante l’evento, verranno presentati spettacoli di artisti di fama internazionale, che eseguiranno brani di musica classica, jazz e pop.
Il programma di Cremona Musica 2023 è ricco e variegato, e comprenderà concerti, esibizioni di solisti e orchestre, oltre a performance di strumenti musicali moderni. La città di Cremona durante i tre giorni di manifestazione offre anche molte opportunità per scoprire la sua storia e la sua tradizione musicale. Durante l’evento infatti saranno organizzati tour guidati nei luoghi più importanti di Cremona, come il Museo del Violino, per conoscere da vicino la città e la sua cultura.
Cremona Musica 2023 è un evento che offre un’esperienza unica e indimenticabile per gli amanti della musica.
The Raphael Mest Lute a musical gem - 16th September 2023 - Linköping Sweden
15 Giugno 2023Non categorizzato,News & Eventi
We are pleased to present the event “THE RAPHAEL MEST LUTE A MUSICAL GEM” September 16th 2023 – Linköping Library auditorium Sweden
The Raphael Mest lute’s
The 12 course lute of the Linkoping library is a unique case among all surviving historical lutes: in it there are in fact fragments of strings that could most likely date back to the 18th century: more precisely, these are open-wound strings on a gut core (exactly like those indicated by le Coq in 1729 concerning the five-course guitar or for Violin by Brossard 1708 and Laborde 1782), The open wound strings, or demifileè fell into disuse towards the end of the 18th century. The rather long finding of a 1st gut string is interesting: if it is original it can be a Minikin? Following a string survey completed in 2018, it was then decided to have an exact replica of the instrument, which will be donated to the library where the original instrument is kept. In conjunction with the event of handing over the instrument, it was also planned to organize a small symposium with several speakers that will be followed by a short concert.
Speakers
September 16th 2023 – 14.00 – 17.30
Kenneth Sparr
Researcher
14.00 – 14.45
‘A Lute by Raphael Mest in Sweden’
Anthony Bailes
Musician
14.45 – 15.30
‘The Rise and Fall of the Twelve-Course Lute – the Raphael Mest Lute in context’
Mimmo Peruffo
String maker and Researcher
15.45- 16.30
‘The string’s fragments of the Raphael Mest lute: what we can say?’
Antonio Dattis
Luthier
16.30 – 17.15
‘The making of a copy of the lute by Raphael Mest, Padua 1633’
Concert
September 16th 2023 – 12.00 – 13.00
Jakob Lindberg – Anna Lander
MUSIC FROM ENGLAND, SCOTLAND, FRANCE AND SWEDEN
Anna Ander – voice | Jakob Lindberg – 12 course lutes
William Lawes: Why so pale and wan young lover
Henry Lawes: Chloris now thou art fled
William Lawes: I am sick of love
Jacques Gaultier: Allemande-Courante-Sarabande
Michele Lambert: Ombres de mon amant – Vos mepris, chaque jour
From Otto Fredrik Stålhammar’s lutebook: Air (Losy) – March de Narva – Sjö combat – Jag ledz vid verlden – Hammarsmeden – La belle homicide (Gaultier) – Chaconne (Losy)
Pelham Humphrey: Oh, that I had but a fine man
Henry Purcell: She loves and confesses too – What a sad fate – Dear pretty youth
From Balcarres Lute Book : Sweet Willie – A Scots tune – I will have my gown made – Katherine Ogie – I love my love in secret – Love is the cause of my mourning – My Nannies
John Eccles: I burn, my brain consumes to ashes – Find me a lonely cave
CantoMundi - From Friday 12 to Sunday 14 May 2023 - Gennevilliers France
Avremo un nostro stand in fiera: CantoMundi - Gennevilliers Francia
Da venerdì 12 a domenica 14 maggio 2023
Tre giorni di esposizioni di liutai e professionisti nel campo della musica antica e tradizionale attendono un pubblico ampio e variegato.
Concepita come una delle principali esposizioni internazionali di strumenti di musica antica in Europa, la Fiera CantoMundi presenterà un centinaio di espositori in uno spazio espositivo di 1000 m².
Riunisce professionisti e appassionati del mondo della musica antica e tradizionale in un'atmosfera calda e accogliente, e invita chi non conosce questi repertori a venire a scoprirli.
"Dalla fonte all'orecchio
Un salone e concerti acustici esclusivi senza microfoni La musica antica e quella tradizionale hanno in comune la ricerca di timbri originali e colori sonori insoliti che sfidano il nostro ascolto abituale... e che andrebbero persi se filtrati da un microfono.
CantoMundi si unisce a musicisti che sostengono la conservazione di radici vive e dinamiche. La musica antica e tradizionale ha bisogno di essere ascoltata nell'intimità di un incontro diretto con il suono, un suono vero, direttamente dalla sorgente all'orecchio.
Per permettere al fiore della musica antica e tradizionale di sbocciare, occorre prestare attenzione alle sue radici... e le radici hanno bisogno di ombra.
In questo caso, il timbro di uno strumento è come una fragranza che viaggia direttamente dal fiore al naso. A CantoMundi, la musica viaggerà dallo strumento all'orecchio senza passare attraverso laboriosi fili e filtri.
The Namm Show – From 13 to 15 April 2023 – Los Angeles USA
Visiteremo il Namm Show.
Il Namm Show - Dal 13 al 15 aprile 2023 - Los Angeles USA
Ci vediamo al NAMM Show Il NAMM Show 2023 si terrà dal 13 al 15 aprile presso l'Anaheim Convention Center di Anaheim, California.
Roma Expo Guitars - From 24 to 26 March 2023 - Rome Italy
Avremo un nostro stand in fiera: Roma Expo Guitars - Roma Italia
Dal 24 al 26 marzo 2023 - Roma Eventi - Fontana di Trevi - Piazza della Pilotta, 4
VIDEO - Le montature storiche per mandolini a 4, 5, 6 ordini e 4,6 corde semplici
23 Giugno 2022Mandolino,Blog Musica Antica
Le montature storiche per mandolini a 4, 5, 6 ordini e 4,6 corde semplici
VIDEO - L'arpa e il segreto della sua montatura: trucchi, strategie per ottimizzarla al meglio
13 Maggio 2021Arpa,Blog Musica Antica
L'arpa e il segreto della sua montatura: trucchi, strategie per ottimizzarla al meglio Parte Prima
L'arpa e il segreto della sua montatura: trucchi, strategie per ottimizzarla al meglio Parte Seconda
Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 4)
29 Aprile 2021Chitarra,Blog Musica Moderna
Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 4)
Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta
di Mimmo Peruffo
Le basi che caratterizzarono la chitarra del XXsecolo furono gettate già verso la secondametà dell’Ottocento e consistettero sostanzialmentenell’avvento della chitarra di Antonio deTorres. Ciònonostante, nessuno a quel tempo poteva lontanamente prevedere il cambiamentoepocale che la chimica di sintesi avrebbe prodottoverso la metà del secolo seguente nel mondodella chitarra. Non ci soffermeremo ovviamentesui dettagli organologici e costruttivi delnostro strumento, dettagli che si possono ritrovarein altre più recenti opere.109 Quello che quiimporta sapere è che con Torres la lunghezzavibrante della chitarra si elevò e si stabilizzò intornoa 65 cm e così è sostanzialmente rimastasino ai nostri giorni, tranne alcune eccezioni comead esempio gli strumenti costruiti daiR a m i rez (67 cm circa di lunghezza vibrante). Sono tuttora ignote le ragioni che spinsero ilgrande liutaio a questo preciso incremento, vistoche la tecnologia cordaia e le frequenze deicoristi non subirono variazioni degne di nota rispettoal consueto.
Per quanto riguarda in particolare la questionedel corista del tardo Ottocento/iniziNovecento, si può anzi ritenere che esso si stabilizzòsostanzialmente intorno ai 435 Hz, fruttodei primi efficaci accordi internazionali di finesecolo.
IL NOVECENTO
Riguardo alla produzione cordaia va purtropporilevato l’inizio di un inarrestabile fenomeno:il brusco tracollo della gloriosa e centenaria produzioneitaliana, asse portante per secoli del farmusica in Europa.110
Mentre in Italia la produzione di corde – diffusa in buona parte della zona centro settentrionale– si caratterizzò sempre come un fatto dinatura esclusivamente artigianale e individualista,in Francia i cordai vantavano invece l’attenzione dell’amministrazione dello Stato, che li considerava con orgoglio. In Germania la produzione di corde di budello aveva di fatto preso un andamento di tipo industriale. Nonostante la qualitàdel prodotto tedesco lasciasse spesso a desidera re (si trattava di corde sì economiche, ma piuttostorigide),111 i tedeschi, già nei primi decennidel XX secolo, erano in grado di dominare buonaparte del mercato europeo, malgrado la rapidae crescente diffusione tra gli strumenti ad arco– che erano i maggiori utilizzatori di cordea rmoniche – delle corde di metallo.
Le cause del rapido declino italiano, oltre cheper la natura “puntiforme” della produzione nazionale,sono da ricercarsi probabilmente nellegenerali grandi difficoltà economiche che gravavanola popolazione di allora. Tali problemi derivavano in parte dall’ancor fresca Unità d’Italia in un primo momento e dagli eventi bellici del ’15-’18 successivamente. Molti italiani, per sbarc a re il lunario, scelsero la via dell’emigrazione e assieme a questi anche diversi cordai; alcuni di questi riuscirono, tra mille difficoltà, a gettare le basi di quella che sarebbe poi diventata la florida produzione nordamericana (D’Addario, La Bella- Mari etc: tutti cognomi di origine abruzzese).
Non è ancora noto quando la chitarra cominciò a rendersi indipendente dal confronto con le corde del violino. Possiamo supporre che ciò possa essere accaduto in coincidenza con l’aumento della sua lunghezza vibrante: tale “distacco” si rese necessario al fine di mantenere i valori di tensione più o meno invariati rispetto alla consuetudine acquisita, poiché una lunghezza di corda maggiore necessita l’impiego di calibri più sottili. Va infatti notato come il passaggio da una lunghezza vibrante di circa 62 cm (tipica delle chitarre della prima metà del XIX secolo) a 65 cm – quasi un semitono in più di lunghezza – andrebbe a comportare un aumento della tensione di lavoro – se le corde fossero le stesse – di quasi un kg in totale.
Per poter disporre di dati significativi, riferiti esclusivamente alla chitarra, bisogna tuttavia giungere a Pujol.112 In base alle precise indicazioni fornite nel suo Metodo, si osserva così che vi fu effettivamente un lieve calo del diametro medio delle corde acute rispetto al secolo precedente e, fatto importante, compare per la prima volta una certa scalarità della tensione di lavoro; aspetto pressoché sconosciuto alle montature per chitarra del XIX secolo:
Diámetros en décimas de milimetros.*
Prima de 12.5 a 13..5 (0,63-0,68 mm)
Segunda de 16 a 17.5 (0,80-0,88 mm)
Tercera de 20 a 21.5 (1,00-1,08 mm)
Cuarta de 15 a 16 (0,75-0,80 mm esterno)
Quinta de 18.5 a 19.5 (0,93-0,98 mm esterno)
Sexta de 23 a 24 (1,15-1,20 mm esterno)
Al corista di 435 Hz e alla lunghezza vibrante di 65 cm (Pujol possedeva una chitarra Torres) risultano i seguenti intervalli nei valori della tensione di lavoro:**
mi: 7,4-8,6 kg
si: 6,0-8,1 kg
sol: 6,6-7,7 kg
Nonostante si tratti di calibri specifici per chitarra, l’allineamento delle tre acute con i calibri in uso nel violino coevo è ancora sorprendente, e tale si mantenne per almeno un decennio ancora: si osservi ad esempio i diametri per violino suggeriti da Carl Flesh nel 1924:113
NOTA mi DIAMETRO 0,63 mm
NOTA la DIAMETRO 0,82 mm
NOTA re DIAMETRO 1,09 mm
Per quanto riguarda la seconda corda, Pujol suggerisce curiosamente che essa sia la metà esatta dello spessore della terza e il doppio di quello della prima motivando questo con il fatto che “la necesidad de una cierta claridad que secunde en esta cuerda el carácter expressivo de la prima, hace que se prefiera ligeramente delgada, siempre que no cerdée.” [“la necessità di una certa chiarezza che assecondi in questa corda il carattere espressivo della prima fa sì che si preferisca leggermente sottile, sempre che non perda l’intonazione”]. Il significato di questa indicazione non ci è chiaro: dalla tabella emerge invece che il diametro della seconda corda è esattamente la media del diametro tra la prima e la terza corda.
Nel Manuale viene riportato ancora l’antico test per riconoscere una corda falsa da una buona: ciò sta a significare che all’epoca le corde erano ancora levigate a mano. Interessante la descrizione del micrometro della Pirastro per la misurazione dei diametri della corda, strumento che cominciava allora a soppiantare il vecchio misuracorde a piastrina del XIX secolo.
La diretta conseguenza dell’introduzione della tensione scalare fu che la sensazione tattile di rigidità cominciò a manifestarsi con più omogeneità tra le corde.
Ecco ora degli esempi di corde di budello per violino che abbiamo ritrovato: risalgono ai primi decenni del XX secolo e ci possono fornire un utile confronto con quelle della chitarra:
NOTA DIAMETRO OSSERVAZIONI
1a mi 0,66 mm Bustina in carta oleata ‘Bimba,’ London. Alta torsione.
1a mi 0,68 mm Bustina non classificabile. Alta torsione.
3a re 1,14 mm Provenienza non nota. Alta torsione
3a re 1,17 mm Bustina ‘Lustral’, Valtelot-Hekking, Paris. Alta torsione.
Ecco quindi le misure di corde di budello per chitarra risalenti forse agli anni ’40/’50 ritrovate intatte nelle loro confezioni sigillate. Sono contrassegnate con (a) le corde messe gentilmente a nostra disposizione dal l iutaio Lorenzo Frignani di Modena e con (b) i campioni ritrovati nella custodia di una chitarra di To r res del 1867 presente al Palacio de la Guitarra di Ibaraki (Giappone) :
NOTA DIAMETRO OSSERVAZIONI
mi 0,64 mm Bustina in carta oleata ‘Perfect’, Francia. Media torsione. (a)
mi 0,65-0,67 mm Corda avvolta a circolo mai usata. Alta torsione (b)
la 0,84-0,86 mm Corda avvolta a circolo mai usata. Alta torsione (b)
sol 1,02-1,04 mm Corda avvolta a circolo mai usata. Alta torsione (b)
sol 1,0-1,03 mm Corda avvolta a circolo mai usata. Alta torsione (b)
sol 1,02 mm Bustina in carta oleata ‘Perfect’, Francia. Bassa torsione. (a)
sol 1,05 mm Bustina in carta oleata ‘Celesta’, Francia. Bassa torsione. (a)
In queste misure si ritrova una totale analogia con quanto scritto da Pujol, oltre alla conferma della scalarità delle tensioni di lavoro e del legame generico ancora esistente – anche se sottacciuto – con i calibri del violino. In altre parole esso non viene più menzionato come termine di paragone.
Va sottolineata la scarsa elasticità osservata in alcuni campioni di cui sopra: duri e rigidi al tatto, sono realizzati con un basso grado di torcitura, caratteristica che li discosta notevolmente dall’alta qualità delle corde prodotte nel XIX secolo in Italia e Francia. Ricordiamo che una corda scarsamente ritorta, in virtù della notevole rigidità, non permette certo la migliore resa acustica. 114
Va fatto presente che la tensione di lavoro media del cantino non subì in realtà variazioni di sorta rispetto all’Ottocento, se si considera il fatto che all’aumento di circa un tasto incorso nella lunghezza vibrante ad opera degli spagnoli, corrisponde una riduzione compensativa del diametro di corda in uso pari proprio a circa un semitono.
Esaminiamo ora alcuni campioni di corde filate su seta risalenti probabilmente agli anni ’30/’40 da confrontare poi con quelle moderne, in particolare per quanto riguarda il diametro dei fili metallici impiegati, il diametro esterno e il budello equivalente. Come indicato precedentemente, le corde contrassegnate con (a) e (b) provengono rispettivamente dal liutaio Frignani e dalla Torres custodita al Palacio de la Guitarra, mentre quella contrassegnata con (c) è stata messa a nostra disposizione da Kenneth Sparr di Stoccolma.
L’AVVENTO DEL NYLON
Con la comparsa delle poliammidi (il nylon) – siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale – lo scenar io cambiò radicalmente. Probabilmente non è noto a tutti il ruolo assolutamente determinante che ebbe Andrés Segovia nel dare impulso all’applicazione dei nuovi materiali sintetici sostitutivi del budello in un periodo storico in cui (c’era la guerra) tutta la minugia disponibile andava utilizzata per fare filo chirurgico ad uso militare.115 In Italia, ad esempio, gli alleati pare abbiano letteralmente “sequestrato” gli ultimi centri produttivi di corde di budello italiani – come ad esempio Salle e Musellaro, in Abruzzo – per destinarli alla produzione massiccia, esclusiva e “Top Secret” di filo da sutura. Questo nuovo indirizzo produttivo è rimasto ancor oggi in vita soppiantando quasi del tutto la produzione di corde armoniche.
In questo scenario, dove trovare corde di budello per uso musicale rappresentava un’avventura impossibile, entrarono improvvisamente in scena, come si diceva, le poliammidi. La palma d’oro della sperimentazione tecnica applicata alla chitarra spetta incondizionatamente al newyorkese Albert Augustine, uno dei liutai conosciuti da Segovia, che, sotto le irresistibili pressioni del Maestro, riuscì nell’intento di perfezionare per fini musicali questo materiale sintetico disponibile sotto forma di filo recentemente scoperto (1938) dal dottor Wallace Carothers, capo ricercatore dei laboratori dell’americana DuPont Company.116 La nuova classe di materiali, che rivelava straordinarie proprietà meccaniche, venne battezzata dalla compagnia stessa con il “cognome” generico di nylon. Il perlon (poliammide 6) rappresentò il capostipite della serie dei nylon e fu subito impiegato per la pesca, per le calze da donna, ma soprattutto per realizzare i paracadute ad uso bellico.
Segovia, già agli inizi del 1947, fu tra i primi a poter provare il nylon grazie a dei campioni di filo (non ancora tali da chiamarsi propriamente corde) fornitigli dal generale Lindenman, personaggio determinante, che egli conobbe fortuitamente durante un ricevimento all’ambasciata spagnola di Washington nel Natale del 1946. Nel corso del ricevimento, Segovia ebbe a lamentarsi casualmente con lui della mancanza endemica sul m e rcato di corde di budello e in particolare dei cantini a causa della guerra (ricordiamoci che proprio la Germania deteneva negli anni ’30 il primato della produzione europea). Il generale in quella occasione gli promise l’invio di alcuni campioni del nuovo materiale che lui stesso avre b b e chiesto confidenzialmente alla DuPont. Il mese dopo alcuni fili di nylon che potevano assomig l i a re ad un cantino di chitarra arrivarono all’hotel dove Segovia risiedeva: li testò immediatamente sul suo strumento intuendone all’istante le grandi potenzialità. Da questo preciso momento l’era del budello finì per sempre. Nonostante lo scetticismo degli esperti della stessa DuPont, Albert Augustine (in collaborazione, pare, anche con la Ditta Mari/La Bella, noti cordai di New York di origine italiana, manifattori di corde di budello )117 riuscì poi, stimolato costantemente da Segovia, nella messa a punto finale dei canti e anche dei bassi con la nuova anima di fiocco di nylon: una sorta di “seta artificiale” insomma.
Questo permise la prima produzione commerc i ale di corde sintetiche per chitarra sotto il marchio “Augustine”. La DuPont sviluppò immediatamente – già nei primi anni ’50 – prodotti più adatti alla musica (dotati cioè di alto modulo elastico e basso assorbimento di umidità) come ad esempio la poliammide 6-12 (meglio conosciuta come Tynex e ancora oggi usata per le corde della chitarra) il cui massiccio uso per la verità si incentrava, allora come oggi, nella produzione di setole sintetiche per… spazzolini da denti.118
Viene da domandarsi se la transizione dal budello al nylon abbia comportato grossi cambiamenti nella scelta dei calibri e nelle tensioni di lavoro: la risposta è sì, ma con gli opportuni distinguo.
La prima considerazione riguarda le proprietà acustiche e meccaniche del nylon negli acuti: senza scendere troppo in dettagli tecnici, peraltro già ampiamente trattati,119 va detto che questo materiale presenta il pregio dello scarso assorbimento di umidità atmosferica (per il Tynex pari al 3% circa a saturazione contro il 20 % circa del budello), un basso costo, una superficie perfettamente lucida – cosa non permessa al budello – e infine una notevole resistenza all’abrasione: questi sono vantaggi meccanici e di affidabilità indubbi, ma che di per sé non incidono minimamente sulla qualità del suono. Per contro, il peso specifico delle poliammidi risulta discretamente inferiore al materiale naturale (1,07 gr/cm3 contro 1,30 gr/cm3 del budello), un grosso handicap dal punto di vista del suono perché si traduce in una resa acustica meno brillante, con un transitorio di attacco meno pronto e più rumoroso del budello, il quale per certi versi tende invece ad assomigliare molto più al carbonio che al nylon. In altre parole, l’avvento del nylon ha causato per la prima volta un allontanamento rimarchevole dalla tradizione acustica indotta fin dalla notte dei tempi dalle corde di budello.
Nei bassi si verificò invece un’autentica rivoluzione: il nylon in forma di multifilamento presenta infatti una resistenza alla trazione talmente superiore alla seta (oltre a possedere un minor grado di assorbimento di umidità atmosferica) da permettere per la prima volta una forte riduzione del diametro dell’ “anima” in favore del filo metallico. La conseguenza di tale modifica è stato un notevole incremento della prestanza acustica dei registri bassi, praticamente sconosciuta ai chitarristi fino ad allora. Tanto per fare un esempio concreto, nella corda di Mi si è passati da un filo di rame arg e ntato di soli 0,30 mm tipico delle corde con anima di seta agli attuali 0,35 mm, a tutto vantaggio del suono. Espresso in altri termini (poiché la qualità sonora – a parità di budello equivalente – dipende da quanto è sottile l’anima utilizzata), se nei primi del Novecento il diametro dell’anima di seta del Mi basso era intorno a 0,70 mm, con il nylon si riduce a soli 0,52 mm circ a : in entrambe le condizioni una corda di basso si trova comunque progettata a lavorare al limite, in pratica uno o due semitoni al di sotto del punto di rottura dell’anima. Ci si accorge facilmente dell’app rossimarsi dell’exitus poiché la corda non c resce più di frequenza nonostante la rotazione della chiavetta della meccanica, mentre si cominciano ad avvertire dei piccoli crepitii dovuti alle fibre che in rapida successione si spezzano all’int e rno della corda stessa.
Va rilevato che i nuovi bassi presentano un cedimento longitudinale maggiore rispetto a quelli con seta; ciò si traduce in un maggior numero di giri alla meccanica prima di poter raggiungere l’intonazione richiesta e questo è un vantaggio per la precisione dell’intonazione stessa.
Per gli acuti si barattò dunque la vocalità del budello con il basso costo, l’affidabilità, la stabilità climatica e di intonazione del nylon. La resa acustica degli acuti divenne però più ovattata e meno brillante (aspetto solo in parte colmato dal carbonio, materiale di brevetto giapponese introdotto in Europa negli anni ’70, il cui peso specifico va ben oltre quello del budello stesso: 1,78 gr/cm3 rispetto a 1,30 gr/cm3 del budello), producendo pertanto una sonorità certamente pronta e incisiva, ma da molti giudicata “emozionalmente fredda”.
Va osservato come la comparsa dei materiali sintetici abbia inevitabilmente comportato un certo appiattimento tecnologico: infatti mentre le corde di budello venivano prodotte artigianalmente da numerosi centri manifatturieri europei dove ognuno seguiva la propria idea di corda, i fili di poliammide vengono fabbricati da pochi produttori internazionali. La maggior parte delle aziende che “producono” corde da chitarra si limitano in definitiva al semplice imbustamento dopo l’acquisto di “stecche” del peso di qualche Kg composte da qualche migliaio di fili di nylon della stessa misura, filo utilizzabile in verità per diversi scopi tra cui anche quello musicale. Va notato come gli intervalli dei calibri commerciali a disposizione dell’acquirente siano stati già da tempo standardizzati – leggi imposti – dalla stessa azienda che effettua l’estrusione del filo. La stessa identica situazione si può rilevare anche per il multifilamento dei bassi, il quale viene venduto in misure standardizzate secondo i criteri derivati dal comparto tessile (visto che esso viene utilizzato principalmente come componente di rinforzo nei copertoni per auto e per usi tessili in genere); si tratta soltanto, in definitiva, di rivestirlo con il filo di rame argentato o di altre leghe – tra cui l’ottone o, più raramente, leghe contenenti una maggior quantità di argento – e tagliare la corda ottenuta a misura commerciale.
Risulta ovvio, pertanto, che le corde prodotte dalle varie marche sono inevitabilmente piuttosto simili – per non dire uguali – tra loro. E non può essere che così, visto che il multifilamento di nylon è praticamente sempre quello per tutti, e che la percentuale tra metallo e multifilamento ha raggiunto ormai da tempo l’ottimizzazione oltre la quale la corda in tensione potrebbe arrivare a spezzarsi prematuramente. Per il nylon dei canti si osserva lo stesso problema, poiché procedono anch’essi per canali di produzione industriale predeterminati. Quanto affermato lo si può peraltro facilmente verificare nella seguente tabella, dove vengono messi a confronto tra loro set di corde per chitarra di alcune tra le marche più note.120
Hannabach serie 815 Low tension, busta verde:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,73 mm / 0,66 mm 8,3 Kg
si 0,85 mm / 0,77 mm 6,4 Kg
sol 1,02 mm / 0,93 mm 5,9 Kg
RE 0,77 mm 0,14 mm 1,47 mm 8,2 Kg
LA 0,91 mm 0,22 mm 1,80 mm 7,5 Kg
MI 1,12 mm 0,33 mm 2,40 mm 6,9 Kg
Hannabach serie 728 MT, Medium tension, nera:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,71 mm / 0,64 mm 7,8 Kg
si 0,83 mm / 0,75 mm 6,0 Kg
sol 1,01 mm / 0,92 mm 5,7 Kg
RE 0,75 mm 0,15 mm 1,46 mm 8,1 Kg
LA 0,93 mm 0,24 mm 1,93 mm 7,9 Kg
MI 1,12 mm 0,34 mm 2,45 mm 7,2 Kg
Hannabach serie 8271 HT High tension, busta blu “flamenco”:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,76 mm / 0,69 mm 9,1 Kg
si 0,85 mm / 0,77 mm 6,4 Kg
sol 1,07 mm / 0,97 mm 6,4 Kg
RE 0,76 mm 0,15 mm 1,51 mm 8,6 Kg
LA 0,95 mm 0,24 mm 1,97 mm 8,3 Kg
MI 1,13 mm 0,34 mm 2,48 mm 7,3 Kg
Hannabach serie 900 Medium tension, busta rosa:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,72 mm / 0,65 mm 8,1 Kg
si 0,84 mm / 0,76 mm 6,2 Kg
sol 1,05 mm / 0,95 mm 6,1 Kg
RE 0,75 mm 0,14 mm 1,48 mm 8,3 Kg
LA 0,93 mm 0,23 mm 1,95 mm 8,1 Kg
MI 1,12 mm 0,34 mm 2,46 mm 7,2 Kg
Agustine Light tension, busta nera:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,75 mm / 0,68 mm 8,3 Kg
si 0,84 mm / 0,77 mm 6,4 Kg
sol 1, 06 mm / 0,97 mm 6,4 Kg
RE 0,76 mm 0,13 mm 1,40 mm 8,2 Kg
LA 0,85 mm 0,17 mm 1,90 mm 7,5 Kg
MI 1,13 mm 0,28 mm 2,35 mm 6,9 Kg
Agustine Heavy tension, busta blu:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,72 mm / 0,66 mm 8,3 Kg
si 0,83 mm / 0,76 mm 6,2 Kg
sol 1, 00 mm / 0,91 mm 5,9 Kg
RE 0,77 mm 0,15 mm 1,44 mm 8,2 Kg
LA 0,94 mm 0,24 mm 2,01 mm 7,5 Kg
MI 1,13 mm 0,34 mm 2,48 mm 7,3 Kg
Savarez-Alliance 540 RH, High tension:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,63 mm PVDF / 0,74 mm 10,5 Kg
si 0,69 mm PVDF / 0,81 mm 7,0 Kg
sol 0,84 mm PVDF / 0,98 mm 6,5 Kg
RE 0,76 mm 0,14 mm 1,48 mm 8,3 Kg
LA 0,84 mm 0,23 mm 1,79 mm 6,8 Kg
MI 1,09 mm 0,34 mm 2,42 mm 7,0 Kg
(Densità PVDF = 1,78 gr/cm3)
Daddario Compositum High tension, busta giallo/nera:
NOTA Ø CORDA Ø FILO MET.* Ø B U D E L L O E Q. TENS.**
mi 0,71 mm / 0,64 mm 7,8 Kg
si 0,83 mm / 0,75 mm 6,0 Kg
sol 1,04 mm / 0,94 mm 6,0 Kg
RE 0,74 mm 0,13 mm 1,43 mm 7,7 Kg
LA 0,94 mm 0,22 mm 1,98 mm 8,3 Kg
MI 1,16 mm 0,33 mm 2,55 mm 7,7 Kg
Ecco ora ulteriori considerazioni. La prima verte sul corista, il quale si stabilizzò (quasi) definitivamente a 440 Hz. Per quanto riguarda la lunghezza vibrante, si osserva che non subisce oggi grosse variazioni rispetto alla chitarra di Torres, eccezioni a parte.
Abbiamo riportato nei grafici n° 1 e 2 l’andamento delle tensioni di lavoro rispettivamente dei canti e dei bassi dei set prima considerati.
Osservazioni:
La cosa che indubbiamente colpisce maggiormente di questi set attuali è l’andamento ancor più fortemente scalare delle tensioni di lavoro rispetto a quelle riferite da Pujol, tali da farle assomigliare a quelle del violino del XIX secolo.
Tensioni che risultano oltremodo suddivise – nell’ambito dello stesso set – in due andamenti indipendenti che riguardano o le tre corde più acute di nylon/PVDF o i tre bassi filati.
Lo scopo di un così bizzarro profilo di tensione, che risulta assai simile tra le varie marche, è finalizzato a recuperare al meglio l’eguaglianza della sensazione tattile di rigidità tra tutte le corde. Si noti nel grafico n° 3 l’andamento tipico dei valori di tensione di tutte le corde componenti un set.
Assolutamente curioso (se non inquietante) che l’ampiezza di tensione di lavoro tra set estremi (‘Light’ ed ‘Heavy’ ) dello stesso modello non riesca a superare il semitono. Si può in aggiunta osservare il caso di alcune corde della versione ‘Light’ che risultano più tese della versione ‘Medium’ e, dulcis in fundo, che quanto stampato all’esterno di talune confezioni (i diametri delle corde, la tensione di lavoro etc.) non corrisponde affatto ai calibri di corda reali, risultati da accurate misurazioni di laboratorio. Si hanno spesso, in altre parole, tensioni e diametri piuttosto diversi da quanto dichiarato sulle buste. S e m p re in tema di tensione, a titolo di esempio, se si prende in esame il diametro in budello equivalente del Mi della serie Hannabach ‘Low tension’ si vede che esso è pari a 2,41 mm. Se si salisse di un semitono (andando a costituire ciò che può essere quasi considerata una Medium Tension) esso arriverebbe ad un ‘budello equivalente’ di 2,55 mm. Ma nella serie ‘High tension’ – che è la tensione maggiore – esso raggiunge solamente il valore di 2,48 mm: soltanto un quarto di tono in più rispetto alla ‘Low tension’. Può essere questa definita una Heavy tension? Similmente, con i due set Agustine presi in considerazione si riscontra che gli acuti in Nylon della tensione ‘Light’ sono in realtà più gro s s i della ‘Heavy’; per i tre bassi invece le cose filano lisce, tranne il fatto che anche qui la distanza tra i due gradi estremi di tensione dei bassi raggiunge a malapena 1/4 di tono. Per i più pignoli precisiamo che i rilievi dei diametri e dei pesi delle corde commerciali sono stati da noi e ffettuati con micro metro di precisione di cui si è verificata la taratura, mentre i pesi delle corde filate – il cui diametro in ‘budello equivalente’ si ricava con semplici calcoli – sono stati ottenuti per mezzo di bilancia per microanalisi con accuratezza pari alla quinta cifra dopo la virgola e in condizioni di umidità costante.
Per completezza di informazione va puntualizzato che le corde degli acuti risultano per loro natura sempre con un certo grado di ovalizzazione e di incostanza del calibro nella loro lunghezza: è conseguenza del fatto che si parte da un materiale allo stato fuso, poi estruso a misura e raffreddato. Per le corde di budello questo fu un aspetto decisamente sconosciuto. Per i bassi, parimenti, esiste sempre una certa fluttuazione del calibro di corda prodotto, a seconda che l’operaio riesca con la sua abilità a garantire con costanza lo stesso tiraggio del filo metallico in fase di avvolgimento sulla bava di Nylon posta in trazione e rotazione. Da prove sperimentali si è visto che tale fluttuazione (qualora sia portata intenzionalmente all’estre m o ) può produrre anche 1/4 di tono di differenza di tensione tra due corde cosiddette uguali (fatte cioè a partire dalla medesima quantità di bava e dal medesimo filo metallico), dove il filo, durante la fase di avvolgimento sulla bava, sia stato però in un caso poco teso e nell’altro caso teso in maniera maggiore.
Questa realtà, che di fatto esiste, apre sicuramente pesanti interrogativi per coloro che si dilettano a studiare ingegnosi e spesso complicati stratagemmi per ben disporre i tasti della chitarra al fine di raggiungere la cosiddetta intonazione perfetta.
Le corde in budello, che non soffrivano di ovalizzazione, erano invece piuttosto tenere tanto da soffrire pesantemente sotto l’azione delle unghie della mano destra e dei tasti metallici. Questo aspetto risulta assolutamente trascurabile con le corde di nylon e carbonio, molto più dure della minugia.
RICAPITOLAZIONE FINALE
Arrivati a questo punto sembra dunque emergere con sufficiente chiarezza che le montature per chitarra e il tipo di corde utilizzate un tempo hanno sempre seguito criteri sostanzialmente differenti da quelli comunemente in uso oggi per le incordature della chitarra barocca, romantica e del primo Novecento. Questo può in parte spiegare l’esilità del suono prodotto oggi su questi strumenti. Per quanto riguarda in particolare la chitarra del “Secolo dei Lumi” appare evidente che si è letteralmente in un altro pianeta, e questo non solo dal punto di vista squisitamente organologico e musicale, ma anche dal punto di vista dell’accordatura, della tipologia di corde e dei diametri in gioco. Al di là dell’affinità costruttiva con gli strumenti di più recente costruzione e a corde singole, sembra così di prendere in considerazione tutt’altro strumento rispetto a quello del secolo seguente. Per quanto riguarda poi quest’ultimo, esso utilizzò in verità diametri di corda assai superiori di quanto sinora ipotizzato, con una distribuzione essenzialmente in eguale tensione tra le varie corde e, per giunta, con i bassi di seta.
Le corde stesse, si diceva, furono probabilmente assai differenti dalle odierne in budello, la cui produzione attuale ottiene corde quasi sempre troppo rigide (e la rigidità influisce negativamente sulla qualità del suono). La produzione italiana e francese di allora puntava invece ad ottenere corde in minugia molto più elastiche e quindi di miglior resa acustica. Va inolt re ricordato che, a differenza di oggi, i musicisti di allora sapevano distinguere con gran facilità a tatto e a vista una buona corda da una cattiva, mentre oggi questa cultura appare quasi definitivamente persa. Si poteva inoltre disporre di montature di corde più o meno forti – a seconda del gusto personale e del tipo di strumento – limitandosi a cercare nella confezione consueta (contrassegnata da una numerazione che indicava la quantità di fili con cui erano costituite tutte le corde del mazzo), per mezzo dell’apposito misuracorde, le corde ritenute adatte. Con l’evoluzione della chitarra, avvenuta nel tardo XIX secolo (Torres), i criteri di scelta di una montatura subirono un cambiamento nel tipo di diametri da utilizzare (più sottili) rispetto all’Ottocento.
Ma la differenza più sostanziale rispetto al secolo precedente si riscontra nel profilo di tensione tra le corde: divenuta ora scalare, permette il recupero di un’omogenea sensazione tattile di rigidità, che era il criterio guida nei secoli che precedettero l’Ottocento.
Va tuttavia osservato come ad una riduzione di calibri di circa un semitono in tensione si aff i a nchi anche un aumento della lunghezza vibrante, pari anch’essa a circa un semitono: ne deriva pertanto – per un fenomeno di compensazione – che il valore medio della tensione totale non subì incrementi o decrementi significativi. Diametro e lunghezza vibrante sono infatti inversamente proporzionali alla tensione di lavoro .
Per quanto riguarda i bassi, se nel Settecento furono prevalentemente costituiti da budello rivestito, con l’avvento della chitarra a sei corde semplici essi furono sempre realizzati utilizzando seta e curando – a parità di budello equivalente – la massima prevalenza del metallo rispetto alla seta. Si ritiene che i bassi in seta – che presentano un resa acustica certamente migliore di quelli con l’anima di budello – possano aver avuto un certo peso nel “lancio” della chitarra a sei corde di più ridotte dimensioni, pur non reggendo assolutamente il confronto rispetto alla bava di nylon.
Con l’avvento del nylon si assistette infatti ad una autentica rivoluzione co p e rnicana che nessuno ha potuto e poteva pre v e d e re, accompagnata però da un certo appiattimento produttivo dovuto alle modalità standardizzate di appro v v igionamento del monofilamento e del multifilamento di nylon. Questi materiali, a diff e renza del budello, sono prodotti ora in larga scala – e a misure rigidamente definite – dalle multinazionali detentrici del brevetto di invenzione, in genere giapponesi (per il carbonio) o americane (per il nylon). I set commerciali per chitarra pre s e n t ano inevitabilmente forti analogie tra loro e solo in parte combaciano con quelli in uso nella prima metà del XX secolo, specialmente nel profilo di tensione delle prime tre corde.
Diversa invece la situazione per i bassi con anima in multifilamento sintetico: in virtù delle migliori qualità meccaniche, la loro resa acustica, rispetto alla seta, è notevolmente migliore; sparisce gran parte dell’effetto “percussivo” tipico delle corde con anima di seta e si ottengono contestualmente maggiore potenza di emissione, ricchezza di armonici superiori – per la verità non s e m p re desiderati – e persistenza di suono.
Un vero e proprio ribaltone dunque: bassi percussivi, poveri di armonici con canti brillanti fino al 1948, bassi brillanti e persistenti ma canti più ovattati invece nei decenni seguenti.
Ma la ricerca non si è dimenticata del budello: gli orientamenti attuali sono indirizzati fortemente nella messa a punto di materiali che rip resentino le prestazioni acustiche tipiche di questo elemento senza i difetti caratteristici già superati a suo tempo con il nylon, quali l’alto costo, l’instabilità ai cambi climatici e la scarsa durata. Ecco dunque che sono comparsi sulla scena nuovi prodotti come il già citato PVDF per le prime corde acute, nuovi tipi di nylon (più tras p a renti e di migliore sonorità come il Cristal, costituito da poliammide 12) seguiti da poco dal Nylgut, materiale di sintesi recentemente applicato alla musica, dal colore bianco translucido, il quale, possedendo la stessa densità del budello, ne rappresenta in qualche modo la versione sintetica più rappresentativa in quanto ha una re s a acustica estremamente simile – se non identica – ad esso. Per contro esso presenta il difetto di ess e re piuttosto tenero rispetto al nylon e al narbonio (come lo è anche il budello, del resto). Il Nylgut, realizzato in forma di multifilamento – in conseguenza della sua elevata resistenza alla trazione – ha di recente permesso un’ulteriore riduzione della quantità di anima nei bassi in fav o re di una maggior quantità di metallo, apre ndo così la strada ad un’inedita generazione di corde filate caratterizzate da una performance globale sorprendente con diametri esterni – soprattutto se realizzate in puro argento – sensibilmente più ridotti. In altre parole un Mi basso può poss e d e re un diametro di poco superiore ad un La tradizionale di nylon. Il diametro dell’anima di Mi di pari grado di tensione è quindi passato prog ressivamente dai 0,67- 0,74 mm tipici della bava di seta ai 0,44-0,50 mm del nylon fino agli attuali 0,30-0,35 mm permessi dalla bava di Nylgut.
CONCLUSIONI
La storia dei produttori di corde, al contrario dei loro colleghi liutai e musicisti, fu sostanzialmente caratterizzata dal quasi totale anonimato.
Molti di loro inoltre non sapevano né leggere né scrivere e le loro umili botteghe vennero allontanate senza troppi riguardi dai centri urbani a causa dell’odore francamente nauseabondo che la produzione stessa comportava. Difficile sapere qualcosa della loro vita privata e ancora più difficile carpire qualcosa di più dei loro segreti di bottega. Ancor più difficoltoso per noi riconoscere che la nobile arte musicale si basò per millenni essenzialmente su tale rivoltante materiale: il budello animale.
Ai cordai va tuttavia riconosciuto il merito di aver reso possibile al suono da pizzico e da arco di esistere e di essere soprattutto controllabile e riproducibile. Quanto basta per permettere alla grandezza dei Bach, dei To r res, dei Sègovia, ma anche al semplice dilettante, di esprimere la propria poesia.
La spinta propulsiva data da Andrés Segovia allo sviluppo dei materiali di sintesi fu letteralmente irresistibile. Il Giorno del Giudizio per il budello era decisamente arrivato: dagli scritti del Maestro, in quegli anni frenetici densi di sperimentazione, traspare senza ombra di dubbio una vera e propria acredine da parte di un grande interprete, quale egli realmente era, che non ne poteva davvero più di corde che si sfilacciavano durante i concerti e, come se non bastasse, di costo elevato, qualità variabile e soggette alle bizzarrie climatiche: “Quelli della mia generazione che si sono dedicati, da professionisti o da dilettanti, alla chitarra ricorderanno come me quanto abbiamo tribolato quando avevamo soltanto c o rde di budello e di seta, malgrado i volonterosi sforzi dei direttori della Pirastro o di Herm a n n H a u s e r, ad esempio, che portarono i loro prodotti al massimo grado della perfezione per quei temp i . ” E ancora: “Mi irritavano sempre di più il suono stridente della prima, a volte piuttosto off e nsivo per un orecchio sensibile, la mancanza di dolcezza della seconda e il veramente ruvido e s c u ro timbro della terza. Il suono poi della quarta, quinta e sesta si spegneva subito.” Con Segovia insomma si chiude per sempre il millenario legame simbiotico degli strumenti musicali a pizzico ai materiali naturali quali budello e seta. Ma come succede spesso alle persone fortemente motivate verso una causa importante, egli si dimenticò di ricordare ai posteri le cose buone riposte in ciò che combatteva; nello specifico, la caratteristica che fa comunque del budello un materiale assolutamente unico, dotato quasi d’anima: la sua irresistibile tendenza alla “vocalità”. L’imitazione, cioè, della voce umana.
di corde di budello ad uso musicale sono soltanto tre, situati a Salle, Vicenza e Napoli.
le misurazioni qui riportate sono state da noi acquistate nel 2000 in un negozio di accessori musicali
di Vicenza.
- STEFANO GRONDONA – LUCA WALDNER,La chitarra di liuteria, L’Officina del Libro, Sondrio, 2001
- Basti pensare che a tutt’oggi in Italia i centri produttivi
di corde di budello ad uso musicale sono soltanto tre, situati a Salle, Vicenza e Napoli.
- LUIGI FORINO,Il violoncello, il violoncellista ed i violoncellisti,Hoepli, Milano, 1930, 2a ed., p. 55: “Le corde tedesche hanno il pregio della resistenza e, come tutti i prodotti di quella nazione, hanno anche quello del buon prezzo. Sono corde levigatissime, dure al tatto, tanto da sembrare di acciaio: anche il suono risente di tale durezza”.
- EMILIO PUJOL,Escuela Razonada de la Guitarra, basada en los principios de la técnica de Tárrega, Libro Primero,Ricordi Americana, Buenos Aires, 1934, p. 33. L’Escuela fu data alle stampe nel 1934 ma la sua stesura poteva risalire quasi certamente alla fine agli anni ’20. Le misure di corda riportate possono con tutta probabilità coprire anche tale periodo storico.
- CARL FLESH, The art of violin playing,2 voll., Fischer, New York, 1924-30 (edizione originale, DieKunst des Violinspiels, 2 voll., Ries, Berlin, 1924-8).
- La manifattura di corde particolarmente ‘dure’ potrebbe spiegarsi con il tentativo di aumentarne la durata e la stabilità di intonazione, seppur a discapito del suono. In tal senso devono essere forse interpretati la maggior parte dei brevetti sulla manifattura delle corde di budello di questo scorcio del secolo, soprattutto ad maggior parte dei brevetti sulla manifattura delle corde di budello di questo scorcio del secolo, soprattutto ad opera di ricercatori tedeschi opera di ricercatori tedeschi.
- ANDRÉS SEGOVIA,Guitar strings before and after Albert Augustine,“Society of the Classical Guitar”, New York, 15 October 1954.
- Vedere la Home Page della DuPont Company (www.DuPont.com) alla voce “Polyammide
- Comunicazione privata all’autore di Richard Cocco, presidente della E.O. Mari inc., anno 2001
- Vedere la Home Page della DuPont Company alla voce “tynex”.
- FRANZ JANHEL,Die Gitarre und ihr Bau, Verlag Das Musikinstrument, Frankfurt am Main, 1977
- Le confezioni di corde sulle quali abbiamo effettuato le misurazioni qui riportate sono state da noi acquistate nel 2000 in un negozio di accessori musicali di Vicenza.
Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 3)
28 Aprile 2021Chitarra,Blog Musica Moderna
Le Corde per Chitarra tra il Settecento e l’Avvento del Nylon (parte 3)
Tipologie, tecniche manufatturiere e criteri di scelta
di Mimmo Peruffo
In questa terza parte del nostro studio prenderemo in esame le corde e i problemi inerenti alla loro manifattura durante il secolo XIX.
L’OTTOCENTO
Premessa
Cominciando ad analizzare la questione dei diametri e delle tensioni di lavoro della chitarra del XIX secolo viene spontaneo chiedersi perché, a differenza del violino e di altri strumenti a pizzico e ad arco, ben pochi metodi dell’Ottocento indichino le misure delle corde per chitarra, ad eccezione forse, in pieno XX secolo, di quello di Pujol. E ciò nonostante la grande diffusione che essa ebbe in quell’epoca. Va notato per inciso che persino nei metodi per mandolino di allora vi sono dei precisi suggerimenti per la scelta delle corde, e questo a partire già dalla seconda metà del XVIII secolo.75
Sor, ad esempio, dopo una lunga disquisizione circa la tecnica corretta di pizzicare le corde, si limita a riportare che il liutaio Manuel Martinez, dopo aver trovato le corrette dimensioni della chitarra per un cliente, si limitava a chiedergli se intendesse usare una montatura di corde leggere oppure forti e se preferisse un suono argentino o vellutato.76
Una spiegazione plausibile si è scoperta solo di recente e consiste nel fatto che i diametri in uso nel nostro strumento coincidevano totalmente con quelli del violino coevo (si parla delle prime tre corde, naturalmente) di cui oggi possediamo fortunatamente numerose informazioni.77 I chitarristi del XIX secolo, con ogni probabilità, consideravano questa totale simbiosi con il Re degli strumenti un fatto assolutamente acquisito, un patrimonio comune di conoscenza insomma: superfluo quindi trattarne l’argomento nei Metodi.
Un caso del tutto analogo lo si è riscontrato anche con la viola, la quale utilizzò la seconda, terza, e quarta corda del violino rispettivamente come prima, seconda e terza corda. La sola corda estranea al gruppo fu dunque la quarta che risultava filata come la terza. In virtù di questa consuetudine comune, nessun metodo o manuale, nel corso dell’Ottocento, si preoccupò di indicare i diametri di corda per la viola, poiché tutti sapevano già come comportarsi.
Con la transizione dagli ordini alle corde semplici la tensione di lavoro si elevò fino a raggiungere valori comparabili alla somma delletensioni data dalle due corde componenti ognisingolo coro della vecchia chitarra a cinque ordini. D’altro canto la sensazione tattile di rigidità sottointende, per forza di cose, quella fornita dalle
due corde dell’ordine assieme. E così, ad esempio, 3,3 kg circa di tensione per ogni corda del secondo ordine della chitarra di Stradivari equivalgono ad una singola corda di circa 6,6 kg (e questo si ripercuote parimenti anche sulla sensazione tattile di rigidità).
Per avere una risposta esauriente riguardo alle prime tre corde in minugia del nostro strumento, bisogna rivolgere l’attenzione (ancor più di prima) al violino. E questo, prendendo sì in considerazione la trattatistica musicale del tempo – come già fatto da altri ricercatori – ma suggerendo un angolo di visione alquanto diverso dal consueto, che tratti cioè con particolare attenzione le informazioni tecniche che ci sono pervenute dai cordai. Infatti, al di là di quanto può essere stato scritto nei trattati e nei metodi per violino, furono comunque i cordai che alla fine stabilirono (ma forse è meglio dire imposero) i diametri commerciali delle corde del loro tempo, dato indissolubilmente legato al numero di budelli di cui è costituita una corda. Le informazioni in nostro possesso per il violino del XIX secolo sono riassunte nella tabella
qui sotto riportata. Dalla tabella risulta evidente che il cantino – anche in pieno Ottocento – veniva realizzato a partire generalmente da tre budelli di agnello interi (ma talvolta anche quattro, se erano più sottili in partenza) per un diametro finale compreso mediamente tra 0,65 e 0,73 mm: esattamente come nel XVIII secolo.78
Questa stessa linea di tendenza, e cioè l’impiego di tre/quattro budelli interi per fabbricare il Mi del violino, continuò ininterrottamente per tutto il XIX secolo. Ecco quanto riportato dal Maugin,79 il quale riprende le informazioni rilasciate dal grande cordaio francese di origini napoletane Henry Savaresse:
“Les chantarelles se composent de 4, 5, ou 6 fils, selon la grosseur du boyau, et chaque fil est formé d’une moitié de boyau divisé dans sa longueur. Les mi de violon ont de 3 à 4 fils pleins, mais très fins. Les la en ont le meme nombre, mais plus forts. Quant aux re, ils en ont de 6 à 7 pleins.” [I cantini sono composti da 4, 5 o 6 fili a seconda della grossezza del budello e ciascun filo è formato da una metà di budello diviso in senso lungitudinale. I Mi del violino hanno da 3 a 4 fili pieni ma molto fini. I La hanno lo stesso numero di fili ma più forti. Quanto ai Re, ne hanno da 6 a 7 pieni.]
Philippe Savaresse nel 1874 scrisse:80
“On a longtemps attribué la supériorité des cordes de Naples aux secrets de fabrique, plus tard on l’a attribuée à la petite espèce de moutons qui permettait de faire les chantarelles à trois fils […] La chantarelle ayant trois fils, si les autres cordes sont faites avec les mêmes intestins, la seconde aura 5 ou 6 fils et la troisieme 8 et 9. […]” [Per molto tempo la superiorità delle corde napoletane veniva attribuita ai segreti della loro manifattura, più tardi è stata attribuita alla razza piccola di agnelli che permetteva di fare cantini con tre fili […] Se il cantino ha tre fili e le altre corde sono fatte degli stessi intestini, la seconda corda avrà 5 o 6 fili e la terza 8 o 9. [ … ]
È evidente che laddove il budello sia stato tagliato nel mezzo si renda allora necessario accoppiare un numero doppio di fili. Le informazioni sulla manifattura delle corde riportate dal Maugin furono riprese pari pari da altri metodi del tardo Ottocento81 e anche dal manuale Hoepli dell’Angeloni.82
La seconda e la terza corda erano costituite rispettivamente da 5 e 9 budelli.
Non bisogna dimenticare che il calibro di corde realizzate dalla stessa quantità di budelli non può risultare identico per tutte. Una certa sua oscillazione rispetto ad un valore medio è infatti normale, dato che i singoli budelli – essendo un prodotto naturale – non sono mai perfettamente eguali tra loro. Questo è un punto fondamentale oggi scarsamente noto e che è giunto il momento di chiarire.
A differenza di oggi, dove le corde di budello vengono prodotte secondo una grande varietà di misure commerciali e il cui incremento segue una pro g ressione costante imposta per mezzo di una rettifica meccanica di precisione (ad esempio 0,60 mm; 0,62 mm; 0,64 mm e così via), il calibro finale delle corde del XIX secolo e parte del secolo seguente fu determinato esclusivamente dal numero di budelli accoppiati per re a l i z z a re una corda e n o n dal trattamento di levigatura conclusivo del ciclo di lavorazione, il quale serviva soltanto a lisciare un po’ la corda grezza .
Come riportato da alcuni documenti,83 le corde in commercio erano contraddistinte, oltre che dal marchio che ne indicava la zona di provenienza manifatturiera, anche da una numerazione progressiva che indicava il numero di “fili” di budello di cui erano costituite.
Da sempre i cordai si prendevano cura di standardizzare il più possibile la qualità dei budelli da utilizzare (ricercando materiale proveniente da agnelli della stessa età, razza e zona di provenienza e infine selezionando accuratamente i budelli prima di abbinarli tra loro). Tuttavia una qualche incertezza – o, meglio, oscillazione – del calibro finale risultava inevitabile e a ciò non si poteva assolutamente porre rimedio – si diceva – con la levigatura manuale (che non è un’operazione di rettifica meccanizzata del materiale): vi era infatti il rischio tangibile di rendere falsa la corda per la difficoltà di mantenere manualmente una perfetta e uniforme pressione della mano in fase di levigatura con la pomice abrasiva. In queste botteghe non si disponeva certo del micro metro per un controllo finale della qualità del prodotto.
Corde fatte da uno stesso numero di budelli avevano dunque una varietà di diametri che può risultare ben rappresentata da una curva a campana detta gaussiana (in altre parole la maggior parte delle corde si situava intorno ad un determinato diametro “sfrangiando” a coda un po’ verso quelli più sottili e un po’ verso quelli più grossi). L’abilità del cordaio consisteva quindi anche nel fatto che in una sua confezione contrassegnata ad esempio dal numero “tre” vi fosse una scarsa variazione del diametro medio, oltre a una certa riproducibilità dello stesso anche in partite di produzione realizzate in tempi diversi. Questo aspetto era molto apprezzato dai musicisti del tempo e non è difficile capire il perché: immaginiamo il disagio che anche noi proveremmo se dovessimo trovare corde di calibri ogni volta diversi nella usuale confezione della nostra marca preferita.
Un’idea dell’ampiezza della differenza di calibro che si poteva ottenere da corde fatte a partire da uno stesso numero di budelli la si può dedurre, come già accennato in precedenza, dagli estremi dei diametri dei tre gradi di tensione del violino suggeriti da Giorgio Hart: per il cantino 0,65-0,73 mm.84 Questo dato fornisce di conseguenza anche un’indicazione dell’escursione del diametro della prima corda di chitarra del tempo, oltre all’ampiezza della ‘finestra’ di tensione di lavoro a disposizione dei chitarristi.
Come già accennato nella precedente puntata, risulta intuitivo comprendere che mano a mano che il numero di budelli da accoppiare si incrementa – al fine di ottenere maggiori spessori – l’ampiezza della variazione del calibro prodotto decresce rapidamente a causa dell’effetto di “mediazione” indotto dai numerosi budelli accoppiati
e così pure lo scarto di calibro esistente tra due corde attigue per numero di budelli.
Tensione scalare e sensazione tattile di rigidità
Ad un occhio attento non sarà certo sfuggito che le tensioni di lavoro che derivano dai calibri riportati in tabella non conducono affatto , nel violino, ad un profilo in eguale tensione – cioè eguali kg – bensì ad un profilo di tipo scalare (Grafico 1). Sorge spontaneo chiedersi quale segreto si nasconda dietro questo particolare andamento della tensione di lavoro: finora infatti abbiamo trattato soltanto la diff e renza esistente tra una montatura in eguale tensione e quella di eguale sensazione sotto le dita, specificando che è quest’ultimo in realtà l’elemento ricercato dal musicista. La risposta è costituita dal fatto che la tensione scalare è la sola in grado di realizzare nel concreto il concetto di eguale sensazione tattile di rigidità sotto le dita inseguito fino alla noia dai trattati del Seicento e oltre .
La scalarità della tensione di lavoro infatti si manifesta al tatto mediante una sensazione di eguale tensione tra le corde e questo perché essa, riducendosi progressivamente, va a compensare l’aumento di rigidità tattile che si riscontrerebbe in corde via via più grosse. In una montatura in eguali kg, infatti, le corde più spesse sotto una eguale pressione delle dita tendono a flettersi meno delle sottili e questo a causa della loro ridotta attitudine ad allungarsi. Questo causa pertanto l’impressione empirica che esse siano più tese delle più acute. Scalando progressivamente la tensione si riesce dunque a compensare questo effetto, rendendo pertanto più omogenea la sensazione prodotta dai diversi calibri in uso sullo strumento. Le corde, in altre parole, sembreranno egualmente tese.
L’applicazione del profilo scalare di tensione si riscontra fortemente soprattutto nei set attuali per chitarra tra corde di natura omogenea (in altre parole o tra i bassi o tra i canti), come analizzeremo con maggiore dettaglio nella quarta e ultima parte di questo studio. Nel Grafico 2 vengono riportati gli allungamenti specifici di corde di diverso diametro e tipologia: osserviamo che il grado di pendenza delle curve dei calibri più sottili è maggiore di quello delle corde più grosse; il rapporto tra il grado di pendenza delle curve conduce direttamente al rapporto tra le sensazioni tattili di rigidità.
Si evidenzia che il profilo scalare di tensione risulta molto accentuato nel violino, che è accordato per quinte. Invece, nella chitarra, che è accordata per intervalli di quarta e terza, l’effetto di scalarità della tensione di lavoro dato dallo stesso gruppo di corde risulta molto meno accentuato, se non addirittura nullo. Di conseguenza, se nel violino l’accentuata scalarità porta al riscontro soggettivo di una omogenea sensazione tattile di rigidità, nella chitarra – che non è accordata per quinte – si rileva invece un certo, inevitabile incremento di rigidità tattile mano a mano che si prosegue verso la terza corda.

Tipologie e diametri delle corde
Le tipologie di corda per chitarra a disposizione a partire dagli inizi dell’Ottocento fino alla metà del Novecento si possono riassumere in due classi principali che, nella sostanza (materiali a parte), sono rimaste invariate fino al giorno d’oggi: quelle in budello naturale oliato ad uso dei tre registri acuti e le tre corde filate in seta per i bassi. Rispetto al Settecento si può osservare che sono praticamente scomparse di scena le corde demifilée (cioè con filatura metallica a spire non accostate) rendendo pertanto potenzialmente più problematico il raccordo timbrico e dinamico tra la terza corda in budello naturale (che è la più ‘ovattata’) e la seguente filata (che è invece la più brillante delle tre basse), aspetto ancor oggi assai evidente nella chitarra e solo in parte colmato con l’impiego di una terza corda filata o in fluorocarbonio.
Compare dunque in scena la seta. Non che essa fosse sconosciuta ai musicisti del Settecento (vedi Corrette, ad esempio) o anche del Seicento,85 ma la preferenza andava da sempre principalmente al budello anche per realizzare le anime dei bassi. Va sottolineato che la resa acustica di una corda in seta rivestita risulta in qualche modo superiore a quella di una corda con anima di budello, come evidenziato anche da nostre sperimentazioni (senza considerare in aggiunta il problema delle vibrazioni parassite dovute al filo metallico che sbatte contro l’anima di minugia, difetto tipico nei climi particolarmente secchi).

Questo fatto, ossia la migliore resa acustica, potrebbe essere stato l’impulso decisivo per la transizione verso le corde semplici e per l’accorciamento della lunghezza vibrante dello strumento.
Prima di trattare l’argomento dei diametri in uso si rende necessario chiarire l’evoluzione della lunghezza vibrante e della frequenza del corista; parametri indispensabili – assieme al diametro delle corde – per poter dedurre qualcosa di significativo sulle tensioni di lavoro.
La lunghezza vibrante
Dopo l’aggiunta della sesta corda e l’eliminazione degli ordini in favore delle corde singole e fino alla comparsa delle chitarre “maggiorate” di Torres (seconda metà del XIX secolo), la lunghezza vibrante dello strumento a sei corde singole si attestò intorno a 63 cm ± 1 cm, come evidenziato anche da Aguado nel suo Metodo (27 pulgadas, cioè circa 62 cm)86 e come traspare in numerosi strumenti d’epoca sopravissuti, sia di manifattura italiana che estera.87
Come già accennato, va notata la relazione proporzionale esistente tra la lunghezza vibrante della chitarra e quella del violino (32 cm circ a ) : il violino, essendo accordato un’ottava più acuta, possiede per l’appunto una lunghezza vibrante pari a circa la metà di quella della chitarra. Così, se non fosse per il diverso intervallo esistente tra le corde, la chitarra avrebbe – nei tre acuti – le medesime tensioni di lavoro.
Il corista
Il secondo elemento da pre n d e re in considerazione riguarda la varietà dei coristi in uso nel corso del XIX secolo, in altre parole la frequenza standard del La. Gervasoni ad esempio aff e rmò che
“Non in tutte le Città il tono volgarmente detto Corista si trova uguale, ma bensì nell’une si riconosce questo più alto o più basso che nell’altre.
Il Corista di Roma è difatto molto più basso di quello di Milano, Pavia, Parma, Piacenza e di tutte le altre Città della Lombardia: ed il Corista di Parigi poi non solo cresce oltre il Corista Romano, ma molto ancora oltre il Lombardo. Un Corista di mezzo, e più generalmente abbracciato, egli è pertanto quello della Lombardia: ed è questo infatti, poco più o meno, s’accostano i Coristi di varie Provincie.” 88
Nonostante il fatto che il 16 febbraio del 1859 il governo francese, per primo in Europa, avesse deciso con un decreto imperiale di fare chiarezza nella giungla dei coristi fissando il La a 435 H z ,89 in realtà esso oscillò sempre notevolmente e non solo tra Stato e Stato, ma anche nel medesimo luogo in un diverso arco di tempo.
Il supposto corista ottocentesco (pari a 435 Hz) oggi così largamente diffuso, risulta evidentemente più una chimera che la realtà dei fatti, e questo è sicuramente vero fino alla seconda metà del XIX secolo. In una lettera del febbraio 1884 lo stesso Giuseppe Verdi suggerì al governo italiano di seguire l’esempio francese:
“Signore, fin da quando venne adottato in Francia il diapason normale, io consigliai venisse seguito l’esempio anche da noi; e domandai formalmente alle orchestre di diverse città d’Italia, tra le altre a quella della Scala, di abbassare il corista uniformandosi al normale francese.’”
Con il Congresso di Vienna del 1885 il corista venne ufficialmente fissato a 870 vibrazioni semplici, cioè 435 Hz doppie, indicazione ripresa anche dal governo italiano nel 1887, ma nella realtà dei fatti le fluttuazioni del corista continuarono indisturbate. Solo con la riunione indetta nel 1939 dall’ISO venne per la prima volta proposto un corista standard di 440 Hz. Il resto è storia recente.90 Al fine di poter eseguire una stima delle tensioni di lavoro della chitarra di questo periodo, si riterrà comunque valido un valore fittizio di 435 Hz per il La. Le frequenze che ne risultano sono dunque le seguenti:
mi: 325,9 Hz
si: 244,0 Hz
sol: 193,8 Hz
Re: 145,2 Hz
La: 108,7 Hz
Mi: 81,5 Hz
Come si accennava in precedenza, i calibri delle tre corde più acute della chitarra dell’Ottocento furono gli stessi del violino coevo, rimandandoci così alle indicazioni di Stradivari e di Corrette, che per primi relazionarono il violino alla chitarra. Ecco ad esempio quanto recita il Metodo del Castellacci:91
‘Note pour la grosseur des cordes’
– Cordes de boyaux:
3e corde du N° 9
2e corde du N° 7
1ere corde du N° 4, à quatre fils.
Castellacci fornisce il numero di budelli da impiegare per realizzare le corde, indicazione straordinariamente identica, nelle proporzioni, al numero di budelli (o ‘fili’) da accoppiare per ottenere rispettivamente le tre corde superiori del violino coevo.
Pertanto se si considera – in base alla tabella riportata a p. 12 – un diametro medio di 0,68 mm ottenibile da quattro budelli per il cantino, allora 7 fili prendono in proporzione 0,90 mm, mentre 9 fili sono pari a 1,02 mm: ovvero i rapporti tipici delle corde del violino che, se si segue l’accordatura per quinte tipica degli archi, conducono ad un profilo in tensione scalare curiosamente coincidente – per grado di scalarità – con quello degli attuali set per chitarra.
Il Metodo del polacco Romuald Truskolaski, pubblicato a Varsavia intorno al 1830-50,92 è ancora più esplicito nel sottolineare il legame esistente tra il violino e la chitarra: “…le seguenti [le prime tre corde, n.d.r.] sono grosse come quelle del violino, e nella chitarra sono chiamate sol, si, mi.”
In virtù di quanto affermato, le prime tre corde della chitarra dovevano possedere quindi l’escursione dei diametri in uso generale per il violino (vedi tabella a p. 14) e cioè:
1° mi: 0,66-0,73 mm (valore medio 0,69 mm).
2° si: 0,85-0,91 mm (valore medio 0,88 mm).
3° sol: 1,10-1,25 mm (valore medio 1,17 mm).
Al fine di poter compiere un primo, utile paragone con le corde di oggi, ecco anticipati i diametri tipici delle corde di nylon che si riscontrano in diversi set commerciali:
1° mi: 0,71-0,73 mm (valore medio 0,72 mm)= 0,65 mm (se fosse di budello)
2° si: 0,83-0,85 mm (valore medio 0,84 mm)= 0,77 mm (se fosse di budello)
3° sol: 1,01-1,07 mm (valore medio 1,04 mm)= 0,94 mm (se fosse di budello)
Ecco i valori medi di tensione che ne derivano (Lunghezza vibrante 65 cm; corista 440 Hz):
1° mi (329,6 Hz): 8,0 Kg
2° si (247,0 Hz): 6,4 Kg
3° sol (196,0 Hz): 6,0 Kg
Il valore medio dei calibri della prima tabella riprende quasi esattamente i calibri commerciali del Ruffini (1880). Andrea Ruffini fu probabilmente il più grande cordaio italiano del tardo Ottocento. Abruzzese di Salle, egli aveva una forte produzione di corde musicali a Napoli e in parte anche nel paese di origine. Il suo mercato fu piuttosto florido: smerciava corde in tutta Europa, ma specialmente nella Londra vittoriana, seconda patria, come è noto, di numerosi chitarristi.93 Considerando ora una lunghezza vibrante di 62 cm e un corista di 435 Hz, si ricava la finestra delle tensioni di lavoro:
1° mi (325,9 Hz): 7,4-9,0 Kg (8,2 Kg media)
2° si (244,0 Hz): 6,9-7,9 Kg (7,4 Kg media)
3° sol (193,8 Hz): 7,4-9,3 Kg (8,2 Kg media)
Valore medio =7,8 Kg
Ammettendo che il valore medio della tensione risulti valido anche per i tre i bassi, si ricava una tensione totale di 46,8 Kg, in sintonia con le indicazioni di Aguado, che indicò un carico globale pari a 80 o 90 pounds, cioè 39-44 Kg (1 pound=489,5 gr; cfr. HO R A C E DO U R S H E R, Dictionnaire universel des poids et measures…, Antwerp, 1840; facsimile, Amsterdam, 1965), pari rispettivamente all’83% e 94% di quanto da noi calcolato. Va tenuta in debita considerazione la pura indicatività – anche se significativa – di questi valori numerici, soprattutto se si considera il fatto che, mentre ci è nota almeno la misura della lunghezza vibrante della chitarra di Aguado, non conosciamo affatto il corista a cui egli si riferiva. Questo può influire largamente sull’oscillazione della tensione di lavoro, che nel caso di una variazione di frequenza pari a ± un semitono risulta di ± 0,97 kg. Come si può osservare si tratta di tensioni di lavoro comunque superiori ad ogni aspettativa e piuttosto simili – se non superiori – alle nostre attuali, profilo di tensione a parte (come poi vedremo). Il metodo di Maugin & Maigne, la cui sezione sulle corde è stata aggiunta nel 1869, riporta quanto segue:
“Pour les cordes de guitare, on emploie des fils plus fins que pour celles de violon.” [Per le corde della chitarra si usano fili più sottili rispetto a quelli del violino.]94
Poiché le indicazioni fornite sulla costruzione delle corde del violino – Mi: 3-4 fili di budello intero, La: lo stesso numero ma più grossi oppure 5 fili dello stesso budello; Re: sette/nove fili – viene spontaneo chiedersi come mai, per Maugin e Maigne, la prima corda della chitarra prenda sì lo stesso numero di budelli del violino, ma di una qualità un po’ più sottile. Perché non farle allora con lo stesso tipo di budello utilizzato per le corde del violino, ma con meno fili? Due ad esempio, nel caso del cantino.
La spiegazione più plausibile potrebbe consistere nel fatto che, se con tre fili ci si attesta intorno a 0,70 mm, con due fili dello stesso budello si andrebbe solamente a circa 0,58 mm: un calibro forse un po’ troppo leggero per i criteri del tempo. Pertanto, soltanto tre fili di un budello un po’ più sottile del consueto potevano garantire un diametro intermedio utile alla chitarra e cioè, nel nostro esempio, pari a 0,64 mm (la media tra 0,58 e 0,70 mm, cioè tra due e tre fili di budello rispettivamente).
Le altre corde (Si e Sol) seguivano ovviamente in proporzione. Per puro esercizio possiamo tentare una stima delle tensioni di lavoro di una chitarra di 62 cm di lunghezza vibrante al corista francese di 435 Hz (come fissato in Francia nel 1859), per i calibri che in proporzione seguano il profilo di tensione scalare tipico del violino a partire da un cantino di 0,64 mm:
mi 0,64 mm: 7,0 Kg
si 0,85 mm: 6,9 Kg
sol 1,09 mm: 7,1 Kg
Non si sottolineerà forse mai abbastanza al chitarrista moderno, abituato alla precisione e alla riproducibilità manifatturiera delle corde sintetiche, il fatto che i dati da noi riportati non vanno presi alla lettera, ma intesi come valori indicativi, siano essi diametri o tensioni. In questo caso la tensione di lavoro raggiunge una media di 7,0 Kg per un valore totale delle sei corde (qualora i bassi filati seguano i criteri delle tre più acute in budello) pari a 42 Kg, richiamando ancora una volta alla mente Aguado.
Misure di spezzoni di corde del XIX secolo
Questo argomento appare subito piuttosto interessante perché il ritrovamento di campioni di corda originali permette non solo di poterne ricavare il diametro (misure che possono pertanto confermare o smentire l’interpretazione della documentazione del tempo) ma consente anche una valutazione visiva ed analitica delle stesse; in particolare la quantità di torsione impartita al budello, il grado di finitura superficiale etc.
Il vero problema consiste nella datazione certa dei campioni: un autentico scoglio. Infatti, una datazione per mezzo di radioisotopi (metodo di per sé a carattere distruttivo) non è praticabile a causa dell’esiguo lasso di tempo trascorso. Comunque, in base ai diversi campioni raccolti sia per violino che per chitarra – alcuni ritrovati ancora nelle loro confezioni originali – possiamo affermare che essi vanno sostanzialmente a confermare l’esattezza di quanto sinora elaborato dagli antichi documenti e dalle prove sperimentali. In merito ai campioni di corda ritrovati, quelli di Paganini (1782-1840) costituiscono di gran lunga – e sotto tutti i punti di vista – il reperto più recente ed interessante tra quelli componenti il lascito. Tali reperti95 consistono in un ponticello da violino, due archi (di cui uno rotto in più punti), una confezione di pece di manifattura Vuillaume e un rotolo di corde di budello [vedi foto] in discreto stato di conservazione. 96
La nostra attenzione si concentra su questo ultimo reperto, il quale rappresenta forse il primo se non unico caso esistente al mondo di campioni di corde di budello antiche la cui datazione sia certa, risalente in altre parole ai primi decenni del XIX secolo. Il materiale da noi visionato nell’aprile del 2001 era conservato in una busta timbrata “Cartoleria Rubartelli Genova”, con sigillo in ceralacca rossa con impresso il simbolo del comune di Genova e una dicitura manoscritta in inchiostro nero: “Corde e ponticello che t rovansi sul violino di Paganini all’atto della consegna al municipio”. All’interno si tro v a v a una busta, realizzata con un foglio piegato in due, con una seconda dicitura manoscritta in inc h i o s t ro: “Antiche corde del Violino di Nicolò Paganini’.97

I calibri delle corde sono stati quindi da noi misurati per mezzo di micrometro e le misure hanno confermato pienamente i diametri tipici del tempo di cui alla tabella di p. 12. Come evidenziato dal compianto Edward Neill,98 Paganini già in alcune sue missive fornì interessanti dettagli in merito alle corde da lui utilizzate sul violino:
“Ho bisogno di un favore: ponetevi tutta la cura, e la diligenza. Mi mancano i cantini. Io li desidero sottilissimi […] . Quantunque tanto sottili devono essere di 4 fila per resistere. Badate che la corda sia liscia, uguale, e ben tirata […] Vi supplico di sorvegliare i fabbricanti e di far presto e bene.”
In una lettera spedita poco prima da Napoli all’amico e confidente Germi, datata 29 maggio 1829, così si legge:
“Il tuo Paganini desidera sapere […] quanti mazzi di cantini e quanti di seconde, e a quante fila si desiderano da Napoli, perché ora si avvicina il mese di Agosto, epoca giusta per fabbricar le corde”.99
Sembrerà strano, ma l’importanza di questo reperto non riguarda tanto il fatto che le corde siano appartenute al grande violinista quanto semmai il fatto che siano sicuramente databili e… per violino (cioè… per chitarra!). Non è inverosimile infatti pensare che questi stessi calibri fossero utilizzati (possiamo dire sicuramente?) anche per il nostro strumento, visto che Paganini ne era un più che discreto cultore. Le corde del ritrovamento, colorate in giallo-paglia, fragili, leggermente rugose e integre, cioè mai utilizzate, si possono presumibilmente riassumere in due Re, tre La, due Mi da violino.
Le corde di Mi sono realizzate in media torsione, mentre quelle di La e Re decisamente in alta torsione: in queste circostanze una corda di budello si presenta discretamente elastica; non stupisce affatto che esse dovettero manifestare al meglio le proprietà acustiche.
Ecco i diametri:
Corda Mi Diametro 0.70-0.72 mm Osservazioni Media torsione
Corda La Diametro 0.87-0.89 mm Osservazioni Alta torsione
Corda La Diametro * 0.80-0,83 mm Osservazioni Alta torsione
Corda Re Diametro 1.15-1.16 mm Osservazioni Alta torsione
* questa misura si è presentata soltanto in un solo spezzone di corda
Come si può notare, manca la quarta corda, che al tempo era la sola ad essere filata. La cosa non deve però stupire, poiché, come di consueto per l’epoca, essa veniva realizzata a parte dai liutai stessi (se non proprio dagli stessi musicisti) utilizzando una seconda un po’ sottile poi rivestita di filo d’argento o altro metallo meno nobile.100
Ecco ora riportate le misure di alcuni campioni di corde di budello ritrovati nella custodia di una chitarra costruita da Louis Panormo nel 1845 (lunghezza vibrante = 63,3 cm) di collezione privata:
Corda mi Diametro 0,59 mm Osservazioni Media torsione
Corda si Diametro 0,83 mm Osservazioni Alta torsione
Corda sol Diametro 1,14 mm Osservazioni Alta torsione
Per quanto riguarda la corda di Mi, si è riscontrato che essa non risulta affatto coerente, nel suo aspetto visivo e nella manifattura, alla seconda e terza corda: si tratta probabilmente di un’aggiunta successiva. Una datazione certa di queste corde non è possibile, anche se il proprietario assicura che la chitarra in questione rimase per molto tempo – forse un centinaio d’anni – inutilizzata entro la custodia originale.
Può forse servire come utile traccia il fatto che gli estremi delle corde filate (dotate di nodo da un lato e dall’altro capo di una spaziatura della filatura) non permetterebbero di coprire una lunghezza vibrante maggiore di 64 cm: si possono quindi escludere montature per chitarre del “dopo Torres”. Resta comunque il fatto che i calibri in questione – cantino a parte – risultano in linea con le informazioni del XIX secolo. L’analogia dei calibri di Si e di Sol con quelli del reperto paganiniano (il La e il Re) risulta evidente.
I bassi filati nel XIX secolo
Per realizzare le corde filate ci si serviva di un’apposita macchina a movimento manuale101 (come quella rappresentata nella prima puntata ne “il Fronimo” n. 117, p. 28) in uso almeno fino alla fine del XIX secolo e sostituita poi da macchinari a filatura automatica o da macchine ancora di tipo manuale ma con trazione sincronizzata proveniente da entrambi i ganci di supporto del multifilamento in tensione (vedi foto qui sotto). Con il sistema in uso nel XVIII e XIX secolo – ruotante da un solo lato – la giusta quantità di bava di seta veniva fissata ad un gancio fisso ad un capo; l’altro capo si fissava ad un altro gancio collegato ad un peso, che garantiva la messa in trazione del materiale, consentendo però allo stesso tempo la libertà di rotazione mediante un giunto lubrificato di collegamento. A questo punto l’operaio poteva avvolgere le spire del filo metallico mettendo in rotazione l’anima di seta per mezzo della ruota con manovella.
Interessante la tecnica di deposizione dell’argento sul filo di rame – qualche micron di spessore – mediante semplice spostamento chimico: il procedimento galvanico non era ancora stato inventato, poiché cominciò a pre n d e re piede verso la metà del secolo successivo.102
Essendo le corde rivestite costituite dall’accoppiamento di materiali di natura eterogenea come metallo e seta, si è convenuto di caratterizzarle in termini di budello equivalente: ci si riferisce in pratica al diametro di una corda di budello teorica che possiede lo stesso peso della corda filata per lunghezza unitaria; in queste condizioni si può quindi determinarne il calibro per mezzo di formule matematiche specifiche. Alla stessa intonazione e lunghezza vibrante si avrà pertanto la stessa tensione di lavoro. Ma attenzione, seppur a parità di budello equivalente, si possono ottenere innumerevoli rapporti tra la quantità di metallo e quella della seta. Ovvio che all’aumentare dell’uno corrisponda il calare dell’altro, al fine di mantenere costante il peso totale della corda; in altre parole il suo ‘budello equivalente’. Maggiore sarà la prevalenza della seta rispetto al metallo e più la sonorità tenderà ad essere opaca e scarsamente brillante. L’esatto contrario nel caso vi sia più metallo.
Con quali criteri di scelta fu deciso il giusto rapporto tra metallo e seta nei bassi, così da garantire una resa timbrica e dinamica equilibrata? Nella chitarra, a diff e renza degli strumenti ad arco, questa scelta non lasciò molto margine : una volta decisa quale fosse la tensione di lavoro (in altre parole il diametro equivalente della corda filata) si sceglievano le proporzioni tra metallo e seta per ottenere la maggiore resa dinamica da parte della corda; a questo scopo si sceglieva il filo più grosso possibile e si riduceva al minimo la quantità di seta fino quasi al limite del carico di rottura: in altre parole si puntava ad avere la massima prevalenza del metallo rispetto al ‘core’. Solo in queste condizioni le corde dei bassi potevano fornire la massima resa dinamica. Nonostante questo accorgimento, le corde filate su seta – anche se ritrovate intatte nella loro confezione – appaiono alle nostre orecchie piuttosto percussive e povere di armonici superiori. Per quanto riguarda il metallo impiegato per la filatura, va sottolineata la scelta pressoché esclusiva del rame argentato: normale rame cui in superficie è stato depositato un leggero rivestimento d’argento per preservare al meglio il rame dalla rapida ossidazione, accentuata per giunta dal sudore e dall’umidità proprie delle dita del suonatore. Va quindi sfatato “il mito” che una sottile ricopertura d’argento serva a migliorare il suono del rame nudo. La scelta del rame come materiale di base si giustifica con il fatto che era il metallo che coniugava – ieri come oggi – il più alto peso specifico al minor costo possibile. Questo si traduceva in un filo di ridotta sezione. Qualcuno, al tempo, poteva certamente utilizzare con vantaggio l’argento puro (si impiegava pertanto un filo di minor diametro), ma in tal caso i costi lievitavano notevolmente. Ta l i considerazioni valgono anche per le corde basse da chitarra del giorno d’oggi.103 Ecco ora i suggerimenti di Jean Baptiste Phillis (1804):104

“Je ne saurois trop reccomander aux Amatours de bien monter leurs instruments; car la négligence de le faire a toujours existé et déprecié la Guitarre. Il ne faut pas que les Cordes filées soient trop chargées de Soye; cela les assourdit et empêche la vibration.” [Non potrò mai raccommandare abbastanza agli Amatori di incordare bene i loro strumenti; poiché la negligenza verso questo aspetto è sempre esistita e ha sempre penalizzato la chitarra. Le corde filate non devono essere troppo cariche di seta perché questo le rende sorde e impedisce le vibrazioni.]
Per quanto riguarda il calibro del filo di metallo (o “gauge”) da adoperare: “On doit faire filer le Re du trait N° 15, le La du trait N° 13 et le Mi du trait N° 12. Les sons alors en seront parfait’.
Vediamo ora Romuald Truskolaski:105
‘Troppa seta fa la corda troppo grossa, quindi essa ha un tono piatto e corto’.
E ancora:“ …la prima corda E deve essere filata con il N° 10, la seconda A con N° 13, la terza D con il N° 18.’”
E ora Castellacci:106
Cordes de soie 6e Brins de soie 10 Trait pour filer la corde N° 10
Cordes de soie 5e Brins de soie 8 Trait pour filer la corde N° 12
Cordes de soie 4e Brins de soie 6 Trait pour filer la corde N° 16
Assolutamente interessante – e unico nel suo genere – il riferimento alla quantità di fili di seta da utilizzare come anima delle corde rivestite. Mentre i bassi moderni mantengono costante lo spessore del multifilamento tra tutte le corde, nel caso di Castellacci esso invece aumenta mano a mano che si scende verso quelle più gravi. Questo si traduce in una resa acustica sempre più ovattata. Si osserva in aggiunta che la variazione di diametro esistente tra i vari fili metallici componenti l’avvolgimento per il Re, per il La e per il Mi risulta meno accentuata rispetto ai criteri dei bassi attuali. Va infine rilevato che non è ancora noto a cosa corrisponderebbe un “brin” (cioè un filo) di seta secondo i criteri tecnici attuali; vale a dire in Dtx (decitex) o in “Denari”, che sono entrambi delle unità di misura dei filati.
Per quanto riguarda la conversione dei numeri di “gauge” dei fili metallici di questi esempi in millimetri, le ricerche finora compiute non hanno portato purtroppo ad alcun esito positivo, anche perché la numerazione dei gauges risulta qui stranamente invertita rispetto alla consuetudine, vale a dire che all’ingrossarsi del diametro del filo, corrisponde una diminuzione della numerazione.107
Così non si sa se questi autori si riferissero al filo d’argento puro o al rame argentato, anche se l’esame di antichi spezzoni di corda e la documentazione reperita fanno propendere verso il secondo materiale.
Vediamo ora le caratteristiche delle corde filate ritrovate sulla Panormo prima citata. La lunghezza di corda filata compresa tra il nodo presente in un tratto finale (che serviva per fissare la corda tramite piolini al ponte) e quello opposto dove il filo si allarga non permette di coprire la lunghezza necessaria a chitarre con 65 cm di lunghezza vibrante (come quelle apparse qualche decennio dopo), facendo presagire che si tratti di campioni originali per questo tipo di chitarra.
Re ø esterno / ø filo/ ø budello equiv./
La ø esterno1,08 mm ø filo 0,18 mm* ø budello equiv. 2,04 mm (seta verde)
Mi ø esterno 1,26 mm ø filo 0,26 mm* ø budello equiv. 2,50 mm (seta gialla)
* Il diametro di partenza del filo, che è in rame argentato, risulta essere superiore di almeno il 10%. Questo accade a causa dell’allungamento che il filo subisce
durante la fase di filatura della corda.
In base alla nostra sperimentazione, i fili originari di partenza dovrebbero essere stati compresi tra 0,20-0,22 mm per il La e 0,30-0,33 mm per il Mi.
Considerando i valori di diametro espressi come “budello equivalente”, è possibile ricavare il valore complessivo della tensione di lavoro delle corde della chitarra Panormo per un corista pari a 435 Hz:
mi: 6,1 kg**
si : 6,8 kg
sol: 8,0 kg
Re: / La: 8,1 kg
Mi: 6,7 kg
** Per un migliore allineamento della tensione del cantino (in pratica almeno 8 kg di tensione ) ci si deve aspettare un diametro di almeno 0,68 mm. È comunque chiaro che ne risulta sostanzialmente un profilo di eguale tensione per un totale di circa 45 kg, il che conferma i dati citati in precedenza e, ancora una volta, Aguado.
Interessante osservare che a partire da questo periodo le corde per chitarra cominciarono probabilmente ad essere confezionate in buste specifiche e non più in mazzi di corde arrotolate, e una prima avvisaglia di una certa autonomia rispetto alle confezioni per violino si può riscontrare forse in un catalogo di Luigi Forni datato 1867:
“-Corde da Chitarra Italiana alla dozzina…………..…
-Da 30 al mazzo di Roma, Napoli a 2.3.4. fila a 2.3.4. tirate.…….…
-Nazionali delle migliori fabbriche……………..
-da contrabasso ramate e non ramate cad………..…..”.
Va sottolineato che fino ad almeno la fine del XIX secolo le corde non si vendevano una per bustina, bensì a mazzi di corde composte dallo stesso numero di fili.
CONCLUSIONI
La documentazione storica reperita dimostra con chiarezza che la chitarra del XIX secolo seguiva in generale dei principi profondamente diversi da quanto oggi diffusamente ritenuto: non ebbe affatto, in altre parole, tensioni di lavoro più ridotte rispetto alla chitarra di oggi. La documentazione del tempo dimostra semmai che fu vero il contrario.
Non può non rilevarsi inoltre come il profilo di tensione delle corde si discosti di misura da quello dei nostri set tradizionali: notevolmente scalare il nostro (come poi si vedrà), quasi, se non proprio in eguale tensione, quello di allora.
Come se non bastasse, i bassi del tempo, oltre ad essere proporzionatamente più tesi dei nostri, utilizzavano materiali (la seta) e seguivano criteri di bilanciamento tra l’anima e filo metallico che al giorno d’oggi sarebbero considerati assolutamente sbagliati. Ne conseguiva pertanto una sonorità piuttosto percussiva, per nulla persistente e ricca di armonici superiori come oggi riconosciamo ai bassi.
Piccoli spostamenti del pirolo bastavano inoltre a causare forti escursioni di frequenza dei bassi, dato che la bava di seta risulta meno propensa a cedere longitudinalmente rispetto al multifilamento di nylon.
Il budello stesso poi – come vedremo meglio nella quarta e ultima parte – presenta di per sè prestazioni acustiche profondamente diverse dal nylon e, per certi versi, molto più affini al carbonio.
Parlare quindi di esecuzioni storiche (o come si usa dire filologiche) soltanto perché si utilizza una Panormo o una Fabbricatore montata con corde in materiale sintetico (che seguono i criteri attuali, non certo quelli di allora) sembra francamente, alla luce di quanto sinora esaminato, un’affermazione un po’ azzardata.
Ma la verità che traspare dai documenti, con il suo carico per noi indubbiamente destabilizzante , non deve spaventare: ci indirizza semmai alla voglia di provare, di percorrere nuove strade.
In una frase: la sonorità autentica della chitarra dell’Ottocento è, in buona parte, ancora tutta da scoprire. Con questa nota conclusiva si chiude così il capitolo riguardante le corde per chitarra nel XIX secolo.
Il secolo seguente segnerà, con brutale rapidità, la fine del predominio millenario della seta e del budello in conseguenza della straordinaria scoperta del Dott. Carothers, chimico ricercatore della Du Pont americana e del determinante, pionieristico contributo di uomini del calibro di Albert Agustine e Andrés Segovia: l’era del nylon era giunta.
“1 pulgada = 0,9132 of an inch”: cfr. J. H. ALEXANDRE, Universal Dictionary of Weights and Measures Ancient and Modern, New York, 1867, p. 90.
Ophee, comunicazione privata all’Autore, anno 1999.
- GIOVANNI FOUCHETTI,Méthode pour apprendre facilement à jouer de la Mandoline à 4 et a 6 cordes, Paris, 1771. Reprint: Minkoff, Genève, 1983, p. 5.
- FE R N A N D O SO R,Méthode pour la Gui tarre, Ferdinand Sor, Paris, L’Auteur. 1830’, Madrid, Biblioteca Nacional, n. M2654, pp. 17-18 “Maniére d’Attaquer la C o r d e”. “La montez-vous avec des cordes fines ou fortes?” […] “Aimez-vous le son argentin ou velouté?”
- PATRIZIO BARBIERI,Giordano Riccati on the diameters of strings and pipers, “The Galpin Society Journal”, XXXVIII, 1985. Cfr. anche MIMMO PERUFFO,Italian violin strings in the eighteenth and nineteenth centuries: typologies, manufacturing techniques and principles of stringing, in ‘Recercare’ IX, 1997, pp. 155-203.
- Ecco ad esempio parte di una curiosa ricetta del XVIII secolo: “Libro contenente la maniera di cucinare e vari segreti e rimedi per malattie et altro”, “Corde da Violino, modo di farle”: “Si prendino le budella di castrato o di capra fresche […] e per fare cantini se ne prende tre fila e si torcono al mulinello…”. Biblioteca Municipale Panizzi, Mss. Vari E 177. Pubblicato da G. Bizzarri e E. Bronzoni, Il lavoro Editoriale, Bologna, 1986.
- JEAN-CARL MAUGIN-WALTER MAIGNE,Nouveau manuelcomplet du luthier, 2nda edizione, Roret, Paris, 1869, p. 184.
- PHILIPPE SAVARESSE,Cordes pour tous les instruments de musique, in: CHARLES P. L. LABOULAYE,Dictionnaire des arts et manufactures, 3 ed., vol. I, Lacroix, Paris, 1865, alla voce “corde”.
- Ad esempio EDWARD HERON-ALLEN,Violin-making as it was and is[…], Ward, Lock & Co., London, 1884,
- DO M E N I C O AN G E L O N I,Il Liutaio, Hoepli, Milano, 1923, pp. 279-298.
- JAQUES SAVARY DES BRUSLONS,Dictionnaire universel de commerce, d’histoire naturelle, et des arts et métiers, vol II, Cl. & Ant. Philibert, Copenaghen, 1759 alla voce “Corde”, p. 248: “ensorte que celles du N° 1, ne sont faites que d’un seul filet; celles du N° 2, de deux filets, celles du N° 3, de trois fillets; & ainsi des autres cordes…”.
- GEORGE HART,The Violin: its famous makers and their imitators, Dulau and Co., London, 1875, pp. 46-47
- Cfr. JOHN PLAYFORD,An introduction to the skill of music…The fourth edition much enlarged,William Godbid for John Playford, London, 1664.
- DI O N I S I O AG U A D O,Nuevo Método para Guitarra, Madrid, 1843, Chapter VI, 26. “1 pulgada = 0,9132 of an inch”:cfr. J. H. ALEXANDRE, Universal Dictionary of Weights and Measures Ancient and Modern, New York, 1867, p. 90.
- Cfr. LORENZO FRIGNANI,Chitarre e Mandolini,Piccola collezione di strumenti italiani dell’800 e del ’900, Poligrafico Mucchi, Modena, 1998.
- CARLO GERVASONI,La Scuola di Musica, Piacenza 1800, parte prima, p. 126 nota a piè di pagina.
- DOMENICO ANGELONI, op. cit., p. 281.
- PIETRO RIGHINI,La lunga storia del diapason,Bérben, Ancona, 1990, pp. 23-24. Vedere anche ALEXANDER ELLIS, The History of musical pitch, London, 1880.
- LUIGI CASTELLACCI,Grande Méthode de Guitare, Paris, 1824 ca.
- Krzysztof Komarnicki, Varsavia, comunicazione privata all’Autore, 1998. ROMUALD TRUSKOLASKI,Szkola/ na/ Gitare Hiszpanska/ ulozona i ofiarowana/ W. Karolowi Kurpinskiemu/ …/ przez/ Romualda Truskolaskiego’Warsaw 1820, p. 10. W. TOMASZEWSKI, Bibliografia warszawskich drukowmuzycznych 1801-1850, Warsaw 1992, Biblioteka Narodowa.
- WILLIAM HUGGINS,On the function of the sound-post and the proportional thickness of the strings of the Violin, Royal Society proocedings, XXXV, London, 1883 pp. 241-248.
- JEAN-CARL MAUGIN-WALTER MAIGNE, op. cit., p. 183.
- Il materiale è stato ritrovato e si trova tuttora presso l’Archivio di Palazzo Rosso a Genova
- Le corde si presentano avvolte a rotolo tutte assieme e tenute strette da due nastrini di seta rossa.
- Si presume che tale lascito possa essere stato consegnato in allegato al violino al Comune di Genova da Achille Paganini, figlio di Nicolò, nel luglio del 1851 (cfr. EDWARD NEILL,Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico,De Ferrari Editore, Genova, 1990, p. 313).
- EDWARD NEILL, Nicolò Paganini:Registro di lettere, Graphos, Genova, 1991, p. 80. Lettera scritta a Breslau, il 31 Luglio 1829 indirizzata al ‘signore profre Onorio de Vito, Napoli’.
- EDWARD NEILL, Paganini: epistolario, Comune di Genova, Genova, 1982, p. 49.
- FRANCESCO GALEAZZI, op. cit 19, p. 74, nota a piè pagina: ‘Non sarà, cred’io, discaro al mio lettore, che io qui gli descriva una picciola semplicissima macchinetta, e l’uso glie ne additi per filarsi, e ricoprirsi d’argento da sé i cordoni’.
- FRANCESCO GALEAZZI, op. cit 19, p. 74, nota a piè pagina: ‘’E’ noto ad ogniuno qual pesante, e lorda Macchina si soglia a tale effetto comunemente adoperare…’.
- Vedere ad esempio WILLIAM NICHOLSON,A dictionary of Chemistry, II, London, 1795, pp. 820-824.
- Paganini ad esempio preferì l’argento sopra altri metalli per la quarta del suo violino: ‘Non so se prima, ma dopo una o due settimane di soggiorno colà mi restituirò a Milano per li tuoi Violini e ti farò fasciare delle quarte di filo d’argento.’ (Epistolario, op. cit. 100, p. 67.
- JEAN BAPTISTE PHILLIS,Nouvelle Méthode Pour la Lyre ou Guitare A Six Cordes…par Phillis Op. 6,p. 6, Paris, Bibliothéque Nationale, N° Vma. 903. Matanya Ophee, comunicazione privata all’Autore, anno 1999.
- ROMUALD TRUSKOLASKI, op. cit., p. 10
- LUIGI CASTELLACCI, op. cit. p. 92.
- Marco Tiella, comunicazione privata all’autore del 1999.