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Bassi CD installati su tiorbe/chitarroni: perché talvolta sul 5° ordine si rompono?

Perché a volte i bassi CD installati su tiorbe/chitarroni si rompono (soprattutto sul 5° ordine), anche se non ci sono bordi taglienti e sono stati installati correttamente?

 

Tiorba (1882)
Fonte: Biblioteca de la Facultad de Derecho y Ciencias del Trabajo Universidad de Sevilla / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)

Le corde CD (dalle 110CD fino alle 220CD) sono state progettate solamente per i bassi dei liuti rinascimentali e in re minore.

Per i bassi volanti in tratte di media lunghezza sono disponibili le corde tipo CDL.

Le corde CD più fini invece (dalla 82CD fino alla 105CD) sono state progettate per il 5° ordine e per le ottave per i bassi più gravi dei liuti rinascimentali e in re minore.

Sulle tiorbe/chitarroni queste regole non funzionano: perché?

Mentre sui liuti/arciliuti tradizionali la 1° corda lavora col massimo prodotto FL (220-230 Hz.m), ogni tipologia di tiorba/chitarrone lavora con una lunghezza vibrante della corda eccezionalmente lunga, di gran lunga maggiore di qualsiasi liuto, da cui nasce la necessità di accordare la 1° e la 2° un’ottava sotto.
Per esempio, mentre un liuto rinascimentale accordato in La (a diapason moderno) ha una scala di circa 57 cm, una tiorba in La (sempre a diapason moderno) ha una scala di 85-88 cm (il prodotto FL del Si del 3° ordine è di 220 Hz.m)

In queste condizioni, il range tipico del prodotto FL del 5° coro di un liuto rinascimentale (79-81 Hz.m) o del 6° coro di un liuto in re minore (71-74 Hz.m) permette l'uso delle CD della gamma più sottile senza problemi, mentre invece su una tiorba il prodotto FL si alza fino a 109-115 Hz-m, e quindi è assolutamente troppo alto per poter utilizzare corde progettate come bassi.

In pratica, il prodotto FL del 5° ordine di una tiorba è lo stesso del 4° ordine di un liuto rinascimentale.

Questa è la spiegazione del perché una corda di tipo CD, installata sul 5° ordine di una tiorba, può talvolta rompersi: il prodotto FL è troppo alto (non è una questione di tensione, perché essa non ha alcuna influenza sul prodotto FL).

Per maggiori informazioni sul prodotto FL è disponibile questo articolo del nostro blog.

In conclusione, il posto giusto per le corde CD è - nella posizione più alta - sul 5° ordine del liuto rinascimentale, oppure sul 6°, 7° e 8° basso della tiorba. Per il 5° ordine di una tiorba/chitarrone, le corde giuste da utilizzare sono le tipo NNG o le CDL.

 

Vivi felice

 

 

 


Il metodo italiano di fare le corde in budello intero di agnello: storia di una riscoperta

Il metodo italiano di fare le corde in budello intero di agnello: storia di una riscoperta

 

di Mimmo Peruffo

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1. Premessa

La ricerca intorno alle corde del passato, per quello che io conosco,  prende piede probabilmente dopo gli anni ‘70 dello scorso secolo: nel periodo precedente infatti questo problema non sembra essere ancora emerso sia perché si era indirizzati principalmente alla prassi esecutiva e sia perché le corde di budello generalmente reperibili in qualche modo svolgevano comunque il loro dovere: a nessuno veniva in mente che quelle del passato potevano essere forse realizzate in modo diverso né si aveva una precisa documentazione circa i diametri  di corda usati nei secoli passati.

Era opinione comune -non suffragata da documentazione comprovante- che le sonorità degli strumenti ad arco del passato dovevano essere esili e i diametri di corda molto sottili.

A partire dagli anni ‘70 tuttavia, approfondendosi via via lo stato della ricerca in tema di esecuzioni e strumentazioni storiche  l’attenzione comincia a porsi anche sulla problematica delle corde:  si era cominciato infatti a scoprire della documentazione riguardante i diametri di corda utilizzati nei secoli passati e relative  tipologie di montatura; cominciavano a venire inoltre alla luce quali erano le zone più importanti  di produzione cordaia, i nomi con cui le varie tipologie di corda venivano chiamate nei secoli passati (Catlins, Lyons, Pistoys, Minikins, Gansars etc etc); si introdussero infine nuove ipotesi  e relativi dibattiti soprattutto per le corde nel range dei bassi (loaded strings; roped etc).

Grazie alla documentazione via via ritrovata si cominciò così a capire che i diametri di corda in uso nel passato negli archi non erano  in realtà così sottili come si credeva e che le corde moderne, con questi diametri più spessi,  non riuscivano a rispondere ai requisiti acustici richiesti da una montatura così ricostruita: ad esempio  non si  riusciva ad accedere ad una terza corda in solo budello per violino o per violoncello come invece era nei secoli addietro; non si aveva accesso ai bassi in puro budello nella la famiglia delle viole da gamba e dei liuti. Le corde moderne erano infatti troppo rigide, pertanto erano di difficile e lenta emissione al contatto con l’arco e di povera qualità acustica. Compaiono in questi anni anche alcuni articoli  che cominciano a descrivere il ciclo produttivo storico del passato relativo soprattutto all’Italia e alla Francia del dopo la seconda metà del XVIII secolo  (quando finalmente il Secolo dei Lumi comincia a manifestarsi: le informazioni dei secoli precedenti sono infatti molto lacunose).

Il periodo compreso tra gli anni ’70  dello scorso secolo fino ad oggi si è infine contraddistinto anche per alcuni cambiamenti incorsi nella manifattura delle corde di budello moderna conseguenti al ritrovamento della  documentazione storica e si assiste anche più di recente alla comparsa dei cordai amatoriali.

2. La mia esperienza

Lo scrivente ha cominciato la sua ricerca a metà anni ’80 da semplice appassionato, spendendo una decina di anni sulla problematica dei bassi in budello del Liuto elaborando teorie, facendo prove pratiche presso una corderia e infine misurando accuratamente i fori dei ponticelli di liuti dei musei.

approfondimento “la teoria dell’appesantimento del budello”

approfondimento “perché la carica del budello per le corde gravi del liuto è l’unica ipotesi che soddisfa i requisiti di sette criteri derivanti dall’esame di documenti storici”

Mi sono in seguito indirizzato a proseguire  il tema delle corde musicali  cercando documentazione in biblioteche europee, archivi di stato, musei di strumenti musicali e privati (compresi i lavori di altri ricercatori) arrivando a raccogliere una discreta mole di documentazione storica (che per la maggior parte non ho ancora avuto il tempo di pubblicare) assieme a qualche centinaio di misurazioni eseguite in campioni di corde in budello e rivestite che definisco semplicemente ‘antiche’  trovate negli strumenti musicali presenti nei musei (soprattutto in quelli non restaurati) rilasciando poi una relazione e i calcoli al museo.

Esempio di schede di rilievo 
Esempio di schede di rilievo 

La mia professione di cordaio invece deriva da ciò che mi è stato totalmente tramandato tra il 1991 e il 1992 da Arturo Granata, un cordaio di professione che ha lavorato, se ricordo bene,  30 anni alla Savarez per poi arrivare in Italia introducendo molta tecnologia cordaia moderna e altre novità nella corderia italiana ferma ancora ai vecchi metodi e aprendo quindi una sua attività di cordaio nei pressi di Milano indirizzata a fabbricare a livello industriale corde da musica, tennis e sutura secondo le tecniche moderne (corde rigide, simili d un filo di Nylon).

Arturo Granata e me

Quello che mi è stato tramandato però era centrato nel come fare le corde ‘alla moderna’  (budello bovino, processo chimico moderno, uso costante di sali indurenti, rettifica meccanica, corde rigide e verniciate).

La documentazione da me e da altri ritrovata, le corde antiche dei Musei, e il fatto che sono chimico mi permise di introdurre alcune modifiche tecnologiche al fine di realizzare cosi corde  di budello più attinenti alla via storica senza però rinunciare ai vantaggi del metodo moderno (velocità, quantità e affidabilità): le corde ora prodotte sono molto più elastiche, hanno maggior torsione; mi basavo ancora sull’uso di strisce di budello bovino tuttavia passavo talvolta indifferentemente a quelle di ovino (non trovo differenze apprezzabili se si parte da strisce). Cambiai infine il modo di rettificarle:  non più al grado di liscio tipico della corderia moderna bensì parzialmente levigato: questa idea mi venne in mente dopo aver toccato e misurato le corde del Paganini; maneggiato centinaia di corde vecchie e avendo scoperto alcune fonti scritte.

Cantino per violino di Paganini (.71 mm) Genoa 2004

Giuseppe Antonelli, Venezia, Nuovo dizionario universale 1846: i cantini di violino non si levigavano

Queste modifiche hanno finalmente permesso di poter finalmente installare senza problemi una terza in budello nudo per violino e cello;  si poterono finalmente proporre diametri storici e il risultato fù che la resa acustica di una formazione orchestrale  cominciò a cambiare in meglio.  Questa fase non fù facile: quando iniziai, il diametro medio della prima del violino era una rigida 52-54. Non risultava possibile passare bruscamente ad una corda di diametro 66-68 -come da fonti storiche e reperti- a causa delle resistenze opposte dai musicisti ma soprattutto da parte dei liutai. Qualche strumento inoltre non era adatto a sopportare diametri più grossi (in genere il problema era nell’angolo troppo acuto formato dalle corde sul ponticello)

Decisi allora di aumentare anno dopo anno  il diametro delle corde da noi offerte facendo in modo di passare dal 52 iniziale via via al 56… 60… 62 sino agli attuali 64-66. Procedendo in questa maniera si evitò il conflitto e notai anche che  altre corderie seguirono l’esempio di aumentare  i diametri a vantaggio della qualità acustica generale.

Comunque sia,  già in precedenza diversi cordai erano già passati ad una produzione di corde in alta torsione.

Giunto a questo punto ho realizzato che avevo quanto segue:

a) ero in possesso di una notevole documentazione storica sia personale che di altri ricercatori
b) avevo effettuato centinaia di rilievi/misure di spezzoni di corde antiche
c) possedevo ormai una forte esperienza professionale come cordaio
d) ho  modificato il nostro ciclo produttivo in una strada che fosse maggiormente ‘storica’ (corde in alta torsione,  non impiego di sali indurenti, rettifica molto leggera ad imitazione della levigatura manuale antica)
e) Grazie al punto d) avemmo finalmente accesso alle terze in budello nudo per violino e cello, alla quarta del basso di viola e, naturalmente, finalmente ai diametri storici, che erano generalmente più grossi con grande beneficio per le esecuzioni di Musica Antica.

Giunto a questo punto pensai quindi che era arrivato probabilmente il momento di provare a recuperare il metodo manufatturiero che fu utilizzato in Italia: e’ noto infatti a tutti  la grande reputazione goduta dalle corde prodotte in Italia tra la seconda metà del XVI secolo fino agli anni 20-30 del secolo- scorso. Mi sono chiesto più volte se questo casa era una moda o se vi  erano invece delle motivazioni concrete.

3) I quattro punti chiave fondamentali da sviluppare furono:

A) ricostruzione del ciclo produttivo storico italiano (abruzzese)
B) recuperare la formula della preparazione della potassa base e suo corretto modo di utilizzo nel ciclo produttivo;
C) risolvere il dilemma del budello intero tipicamente usato nella corderia italiana;
D) recuperare i criteri di scelta della materia prima budello in uso nel passato.

 

A) Ricostruzione del ciclo produttivo storico italiano

1) Confronto tra tutte le fonti storiche che lo descrivono
2) Interviste ai cordai anziani di Salle/Musellaro/Bolognano/Napoli (Abruzzo/Campania)

 

-Confronto tra tutte le fonti storiche che lo descrivono

La maggior parte delle fonti che descrivono il ciclo produttivo delle corde riguardava l’Italia  e la Francia: essere un artigiano  e chimico (non solo un puro ricercatore) mi ha  certamente avvantaggiato: ho confrontato pertanto tra loro tutte le fonti storiche che lo descrivono (ho tenuto conto anche dei preziosi inventari di bottega concernenti le attrezzature e prodotti ‘chimici’ di corderie romane del XVI-XVIII secolo reperiti dal ricercatore Patrizio Barbieri giusto per capire se vi erano sostanziali variazioni/novità).

La conclusione è stata che abbiamo un sostanziale allineamento tra tutte le fonti (con poche diversità, comunque di poco conto) arrivando finalmente a comprendere la funzione delle varie fasi. Le fonti più attendibili sono certamente quelle posteriori al 1760, tuttavia anche quelle precedenti, seppur sommarie, hanno confermato un sostanziale allineamento (per esempio la presenza nelle botteghe del tavolo di scarnatura, dei ditali di sgrassatura, della solforazione, dei telai mobili, della cenere/fecce per fare la potassa o Tempra; dei torcitori o ruote; degli scaffali per disporre le scodelle, dello sfumature dove disciogliere la cenere per la potassa; dei paraspruzzi per gli operai etc etc.)

Interviste ai cordai anziani di Salle (Italia)

In questo lavoro di ricostruzione mi sono state risolutive le interviste filmate che riuscii a fare a diversi anziani cordai del villaggio di Salle in Abruzzo prima della loro scomparsa (alcuni erano semplici operai ma in un paio di casi almeno erano invece i titolari o Mastri)  dove mi fu insegnato nel pratico quanto segue:

-Come distinguere il budello adatto di agnello/pecora/montone e come estrarlo dal corpo dell’animale;
-Come gestire correttamente il bagno di fermentazione;
-Come si costruisce la tavola e la cannuccia per la scarnatura e come si lavora per scarnare correttamente il budello;
-Come si costruisce il ditale sgrassatore; come si utilizza e come suddividere e organizzare le varie fasi;
-Come si costudisce il cornetto per tagliare il budello e come si utilizza correttamente;
-Come si  costruiscono i telai mobili e perché sono migliori di quelli fissi e lunghi;
-Come si costruisce la cordella di crine di cavallo; come si utilizza e a cosa serve;
-Come si devono seccare le corde stese al telaio e con quale tecnica vanno essiccate;
-Lo speciale movimento che devono avere le mani per realizzare correttamente la fase di levigatura (altrimenti le corde vengono false) e materiali/utensili utilizzati per lo scopo e come sceglierli;
-Come si deve eseguire la solforazione;
-Quando fù introdotta la rettifica meccanica,
-Da chi e quando si passò al budello bovino  e relativa chimica (metodo industriale francese).
-Notizie varie riguardanti i cordai locali, la loro vita etc etc

Sottolineo quanto sia importante che il passaggio di informazioni sia avvenuto sia da tecnico a tecnico e soprattutto sul pratico (non lette sui libri insomma).  Una conoscenza e una abilità artigiana si trasmette notoriamente per apprendistato diretto e lunga pratica in bottega: la sola visione/descrizione in un  testo antico della canna per la scarnatura o del ditale di ottone non definisce nulla anche ad un tecnico del settore come me, non solo ad un ricercatore accademico.  Ecco un esempio:  la canna per scarnare e il ditale sgrassatore che avevo preparato esaminando le immagini delle fonti storiche mi furono da subito scartati dicendomi che con quelli non avrei fatto alcuna corda. Anche la sola scelta dell’essenza legnosa adatta alla tavola di scarnatura era una scelta che partiva da criteri precisi, tramandati di padre in figlio. La tavola di abete che portai fu infatti subito contestata.         

Scarnatura

Passaggio al ditale e bagni di potassa

Levigatura con olio di oliva ed erba equisetum

Da queste interviste mi resi totalmente conto che il metodo di fare le corde in Abruzzo era rimasto fortunatamente cristallizzato agli inizi del XIX secolo; i termini tecnici ancora in uso presso questi anziani cordai erano gli stessi dei documenti storici anche di quelli letti negli inventari del tardo cinquecento. Loro non dicevano ad esempio che il budello andava ‘tagliato ma ‘spaccato’ a metà (esattamente come è scritto negli statuti dei cordai di Roma del tardo cinquecento); Il torcitore lo chiamano  semplicemente ‘ruota o rota’ come nelle fonti storiche.

Le sole differenze  notate durante queste interviste riguardavano l’utilizzo di potassa pura al posto della cenere vegetale e l’ abbandono del budello intero in favore del taglio in  due strisce così come avveniva tradizionalmente fuori italia (sembra partire  dalla metà del XVIII secolo). Di questi anziani cordai solo uno, Astro Di Russo, che fu il titolare, ricordava che quando era bambino si usava ancora la cenere di vite per ottenere la potassa (Savaresse verso la seconda metà del XIX secolo invece usava già la potassa pura chimicamente prodotta).

Nessuno tuttavia aveva mai sentito parlare dell’uso del budello intero tantomeno dei rigidi criteri di selezione della materia prima così come viene copiosamente descritto nelle fonti storiche.

Nessuno inoltre sapeva infine raccontarmi qualcosa circa concentrazione del bagno di potassa base di partenza: questa preparazione era infatti nelle mani del Mastro o maestro (il titolare insomma).  Nei documenti del XIX secolo si riporta che la potassa era preparata dal Mastro soltanto in un grosso barile mescolandola con un palo e che a fianco ve ne era un altro identico barile riempito con sola acqua per le varie diluizioni utilizzate nel ciclo produttivo: ho trovato una foto che lo mostra:                                                                      

Il maestro con le due botti e il bastone per mescolare la soluzione di Potassa nel 1930’s (from the La Bella website)

 

Corderia italiana, anni 1920 etc (cortesia di Daniel Mari, New York)

 

Fasi di passaggio al ditale e, in fondo, il taglio del budello: A sinistra: le due botti con la potassa.

Stanza di solforazione

La fase di torcitura e, in primo piano, il tavolo ‘rinfrescatore’ con le scodelle

 

Levigatura e oliatura finale: da notare i telai smontabili e rimontabili al momento

Pinaroli, Rome 1718

Corderia francese, metà XIX secolo: taglio del budello; scarnatura; vasca di trattamento

Pinaroli, Rome 1718

In conclusione, la sola apparente differenza tra il ciclo produttivo  dei paesi di lingua tedesca e quello in uso in Italia sembra riassumersi nell’impiego del budello intero di agnello;  la particolare qualità della materia prima e forse (forse)  l’utilizzo di bagni di potassa particolare (fecce di vino invece che ceneri da piante). Non appaiono infatti particolari differenze nelle varie fasi del ciclo produttivo se non che talvolta si riscontrano talvolta telai  fissi (tipici della corderia moderna)  invece di quelli mobili:

1678 Germany (Wenger)

Diderot 1765 ca   

Il ciclo produttivo abruzzese si può così riassumere:

1. Raccolta delle budella presso i macelli locali (da parte della figura del ‘mazziere’) e vuotatura manuale presso il macello stesso dell’interno il più presto possibile dopo l’abbattimento. Se il macello non è vicino il budello veniva vuotato, scarnato già sul posto, salato e poi spedito alla corderia)

2. Fermentazione controllata: le budella raccolte in mazze si mettono a mollo in acqua fredda per alcuni giorni al fine di avviare una leggera fermentazione che permette una facile azione di scarnatura. La durata del bagno dipende dalla stagione: 1-2 gg in estate; 3-5 giorni in inverno. L’acqua và ricambiata di frequente

3. Trattamento di scarnatura mediante passaggio su tavola inclinata di una canna appositamente realizzata: rimane la sola membrana utile. Questa operazione asporta le membrane inutili e il grasso ma non totalmente

4. Passaggi al ditale: in questa fase ciascuna budella di lunghezza intera (20-25 metri) viene dapprima lasciata a bagno da alcune ore fino a mezza giornata nella soluzione più diluita di potassa e poi sottoposta al processo di ‘strisciatura’ mediante un ditale infilato nell’indice che lo raschia dalle quattro alle sei volte al giorno (dipende dalle fonti storiche) e per circa otto- 10 giorni. Tra una giornata e la seguente si aumenta la concentrazione del bagno di potassa fino ad arrivare alla potassa pura (in qualche fonte si menziona che l’ultimo bagno è invece a concentrazione doppia ma non si hanno differenze sostanziali nella corda finale). La concomitante azione abrasiva meccanica e alcalina a concentrazione via via crescente elimina le ultime tracce di grasso e submucose residue ma và a modificare anche la natura del budello rendendolo atto a diventare una buona corda da Musica.

5. Selezione del diametro delle budella: questa operazione -molto importante- comincia già al macello ma è eseguita in maniera molto più accurata nella fase che immediatamente precede l’abbinamento delle budella a cui segue la torcitura ed è detta ‘capatura

6. Torcitura: le budella selezionate vengono tagliate al fine di avere la giusta lunghezza per il telaio e quindi abbinate assieme a seconda del diametro di corda che si vuole produrre. La regola generale adottato nelle corderie è la seguente: corde sottili; si usano budelli di piccolo calibro; corde grosse; si usano budello di calibro maggiore. L’impiego di pregiato, robusto e di maggior costo di budello di agnello acquistato e lavorato  nei mesi estivi soltanto veniva riservato alle corde più sollecitate: i cantini.

7. Prima torcitura: le protocorde subiscono la prima torsione sul telaio appoggiato sopra il tavolo apposito che contiene anche le scodelle ricolme di budelli detto ‘rinfrescatore’ mediante la ruota o torcitore. Il numero di giri vari da fonte a fonte dipende anche dal rapporto di giri tra la ruota e l’uncino rotante

8. Sfregamento con una treccia di crine di cavallo bagnato di potassa (strisciatura con crine): questo trattamento non serve affatto a  levigare ma per eliminare mediante strizzatura le bolle interne al budella intere, per eliminare la maggior parte dell’acqua contenuta all’interno delle budella migliorando così il legame tra le fibre. Alcuni documenti lo indicano per la levigatura ma è una errata interpretazione.

9. Solforazione: i vari telaio mobili ricolmi di corde appena ritorte vengono portati nella camera di solforazione la quale ha il pavimento completamente bagnato e si accende lo zolfo

10. Seconda torcitura (detta ‘ribattitura’): le corde solforate perdono trazione e quindi si ripristina mediante una azione di ritorcitura e rimesse nella stanza allo zolfo

11. Terza e ultima ritorcitura: le corde quasi secche subiscono la terza e ultima fase di torcitura e lasciate seccare completamente all’aria; le corde più grosse si ritorcono semplicemente a mano

12. Levigatura finale: Le corde ben secche vengono levigate (ad esclusione talvolta dei cantini di violino: dipende dal manifattore e dalla fonte storica) mediante uno sfregamento realizzato con polvere di pomice o erba secca detta Equisetum umettati di olio di oliva messi in un pezzo di feltro rigido. La perfetta manualità di questa fase risulta molto critica-

13. Oliatura: le corde levigate vengono passate con uno staccio bagnati di olio di oliva )Italia) oppure mandorle (Germania, Austria, Inghilterra etc). Non vengono mai menzionati oli siccativi. Nel XIX secolo qualche autore dice che l’oliatura distrugge i crini e consiglia di evitarla (Heron Allen, 1890 ad esempio)

14. Taglio e confezionamento: le corde vengono tagliate dal telaio e confezionate, a partire dalla metà del XVIII secolo, secondo un profilo circolare tramite un attrezzo chiamato ‘Bussolotto’; in precedenza si preferiva la forma a mazzetto realizzata con un attrezzo chiamato ‘Forma’; ‘Banco da ingavettare’ o anche ‘Forchetta’).

Note:

1. le anime da rivestire con fili di argento o rame argentato non venivano mai sottoposte a solforazione

2. i cordai producevano in concomitanza anche corde per usi diversi quali ad esempio: per battere il cotone; come elementi di trasmissione meccanica;  per capellai; per orologiai; per uso sportivo; per frustini da cavallo.

3. Le corde venivano a volte colorate mediante pigmenti naturali sciolti in acqua

4. Allume di Rocca: esso viene menzionato intorno 1670 da Skippon durante una sua visita ad una corderia padovana;  nel tardo Settecento lo si trova descritto come ingrediente anche enclopedie francesi e italiane spiegando che forse la possibile funzione e quella di precipitare le impurezze presenti nella potassa da ceneri vegetali.  Solo verso la  seconda metà del XIX secolo il cordaio francese Savaresse chiarisce che l’allume di rocca viene talvolta utilizzato qualora si desideri avere corde più rigide. Questo sale è oggi largamente usato nel ciclo moderno. Noi non lo abbiamo utilizzato (non risulta fosse in uso nella corderia abruzzese, napoletana e romana).

 

A) La potassa base (chiamata anche; acqua forte; griepoli; liscia; ranno;  tempra): il lavoro ricostruzione della formula base.

 

Uno degli elementi più importanti -se non proprio quello più fondamentale- ha riguardato la ricostruzione della formula preparativa della potassa base: il ciclo cordaio moderno utilizza una chimica differente e più complessa. Se non si ha la fase chimica giusta la sola ricostruzione del ciclo storico non porta ad avere corde di qualità (esse si rompono, sono rigide anche se molto ritorte, le fibre non sono ben legate tra loro etc) Le fonti storiche che descrivono come prepararla non sono molte; inoltre, essendo scritte da non cordai, vi è sempre il ragionevole dubbio di errori, incomprensioni se non veri e propri depistaggi messi in atto dai cordai stessi.

Un ulteriore elemento di difficoltà sono le unità di misura utilizzate e il fatto che non si ha conoscenza del contenuto percentuale di potassa nelle ceneri vegetali usate le quali andavano dal prodotto migliore, che erano le fecce di vino bianco, a quello peggiore in termini di concentrazione di potassa, che erano le comuni ceneri di  piante opportunamente passate al gravello/clavello  (il setaccio cioè) dette gravellate/clavellate (cioè settacciate).  Nel XIX secolo inoltre si distingueva la potassa in diversi indici di purezza (la migliore era la cosiddetta Perlassa, menzionata però solo a partire dagli inizi del XIX secolo).  Insomma le incertezze sono diverse.

La comparazione di tutte le  fonti del tardo XVIII e quelle del XIX secolo in nostro possesso ha riservato però una gradita sorpresa: la variazione della concentrazione del bagno di potassa base ricavata dai calcoli era comunque compresa entro un range di tolleranza piuttosto ristretto (+- 15%) , tale da far concludere non solo che le fonti erano invece attendibili ma che il ciclo produttivo cordaio, almeno a partire dalla metà del XVIII secolo,  era già  altamente standardizzato e così arrivò tale fino al 1920’s.

 

L’analisi approfondita del perché si usavano concentrazioni via via crescenti durante le fasi di passaggio al ditale fino ad arrivare alla potassa pura si spiega facilmente (è una metodologia che viene utilizzata anche in certe fasi preparative della chimica moderna): si parte inizialmente con una bassa concentrazione di agente alcalino il quale và a rimuovere la porzione di grasso più facilmente asportabile riservando la massima concentrazione di potassa alla quantità minoritaria residua più tenace. Il trattamento alcalino comunque non serve soltanto a rimuovere il grasso: esso và alterare anche la struttura del budello rendendolo più elastico, morbido  e più ‘legante tra le fibre. Una corda ottenuta direttamente dal del budello perfettamente sgrassato ma senza trattamento alcalino è rigida, fragile, secca con scarso legame tra le fibre di budello.                                          

Fecce di vino

Cenere di feccia

  1. Il budello intero

Nel ciclo produttivo italiano del XVI, XVII, XVIII e XIX secolo gli animali il cui intestino veniva comunemente utilizzato nelle corderie era sia quello di capra (principalmente a Napoli) che quello di ovino (nel Settecento: agnelli di 7-8 mesi, agnelloni fino ad arrivare alla pecora adulta. Viene menzionato di frequente anche il montone e il castrato)   Nei macelli si abbatteva in realtà di tutto e sempre per soli motivi alimentari; stava poi al cordaio selezionare le budella (provenienti da fonti diversificate e talvolta anche molto lontane) a seconda del loro diametro seguendo la regola a noi pervenuta e già citata che i budelli di minor diametro e di miglior qualità e alto costo dovevano essere usati solo per le corde più sottili (segnatamente: i cantini per Violino) e viceversa.

La situazione comune che si ritrova in numerosi documenti italiani e del XVIII e XIX secolo è che con tre/quattro budelli interi si deve ottenere il range di diametri tipici del cantino del violino (65-73 mm di diametro approssimativamente riassumendo le fonti storiche) : gli intestini di partenza dovevano dunque essere davvero piuttosto sottili. In taluni casi si riusciva a realizzare i diametri prima menzionati anche con 4 budelli: in questo caso il costo del prodotto era superiore (si aveva una maggior robustezza, regolarità del diametro e durata di vita)

Tipica curva a gaussiana di una produzione di cantini per violino da tre budelli interi di agnello

De Lalande, 1765 Parigi

 

L’utilizzo del budello intero fu dunque la regola in quei paesi (come la Spagna, Portogallo ma soprattutto l’Italia) dove si disponeva di animali di piccola taglia il cui numero di tre, talvolta quattro budelli accoppiati e ritorti, forniva il range di diametri adatti come prima di Violino.

All’estero invece (Francia, Austria, Germania ecc.) la situazione era ben diversa: i loro agnelli, vuoi per la razza, vuoi per il clima o il tipo di alimentazione avevano dimensioni maggiori di quelli italiani e spagnoli; inoltre non venivano mai abbattuti in tenera età al contrario di quanto accadeva in Italia perché quegli animali erano pregiati per la lana. A causa del budello di maggior sezione non si riusciva pertanto ad ottenere il diametro adatto al cantino del Violino, bensì maggiore: questo è il motivo principale delle ingenti ordinazioni di cantini per Liuto e Violino rivolti a Roma e a Napoli dalle varie nazioni europee nel XVII, XVIII e XIX secolo. Vi sono diversi documenti del XVIII e XIX secolo, soprattutto francesi che analizzano bene la situazione arrivando alla conclusione che a causa della loro tipologia di ovini risulta impossibile riuscire ad imitare la qualità dei cantini di Napoli.

Da questo tipo di problema venne pertanto la ingegnosa soluzione di fendere a metà e per lungo l’intestino in modo da ottenere delle strisce più sottili in modo da aggirare così l’ostacolo, tecnica usata anche oggi praticamente da tutti i cordai, sia che si tratti di budello di mucca che ovino: da alcune fonti storiche sembrerebbe che questa tecnica sia stata introdotta in Germania solo nel tardo XVIII secolo (l’inventore, tale Israel Kampfe,  si guadagnò nel 1785  persino un premio in denaro da parte della municipalità di Vogtland e l’accettazione nella corporazione dei cordai tedeschi)  mentre in realtà se ne conosce indirettamente l’uso almeno dalla seconda metà del XVI secolo: negli statuti dei cordai di Roma del 1587; 1591; 1642 e 1678 viene infatti proibito, pena multe salate, frusta e galera, di fabbricare corde a partire da budelli ‘spaccati nel mezzo’; termine usato ancor oggi con me dagli anziani cordai Abruzzesi.

Prima pagina dello Statuto dei cordai romani, 1642

Statuto dei cordai romani, 1642 cap VII, 1642: è proibito tagliare a metà le budella

 

Anche negli statuti dei cordai di Lisbona del 1679 è parimenti scritto che il cordaio che venisse scoperto a mescolare budelli interi con budelli tagliati in strisce verrà costretto a pagare una multa salata:

Nessun artigiano dovrà fare corde di budello di pecora o anche di capra.  Ogni corda che essi fanno, sottile o grossa, dovrà essere fatta con budello di agnello. E non dovranno farle con budello tagliato/spaccato (longitudinalmente). Quelli che non faranno così pagheranno mille reais, che saranno destinati per metà a chi lavora in città e per metà all’accusatore. E quelle corde saranno considerate false (frode) e difettose e saranno tutte bruciate.’

Statuto dei cordai Portoghesi 1679: è proibito tagliare a metà le budella

 

La realizzazione di corde a partire da strisce e non da budello intero viene in definitiva considerata una gravissima frode commerciale e non pochi furono probabilmente i cordai italiani che agivano illegalmente.

Un documento italiano, ancora nel 1846, afferma infatti che l’uso di strisce per realizzare le corde invece che usare il budello intero è da considerare come tale e insegna anche come smascherarla:

Giuseppe Antonelli, Venezia: Nuovo dizionario universale 1846

Ma perché in Italia e Portogallo erano così severi contro chi tagliava/utilizzava il budello in strisce? Non era forse un sistema ingegnoso per poter utilizzare anche dell’intestino più grosso e quindi maggiormente disponibile? Il paradosso è che mentre in Italia e Portogallo si puniva severamente la frode in Germania del tardo Settecento si premiava il (ri)scopritore della tecnica per fendere le budella in due strisce distinte permettendo quindi la realizzazione dei cantini per Violino e Mandolino liberandosi dal giogo di doverli importare dall’Italia (problema particolarmente sentito dai francesi i quali, agli inizi del XIX secolo incaricarono degli studiosi come il Labarraque di capire come; si andò avanti per quasi tutto il XIX secolo a discutere di questo problema risolto definitivamente con i Savaresse da una parte e con la caduta della corderia italiana dall’altra).

 

4) Il problema della materia prima e della stagione migliore per lavorare le corde

Fino a pochi mesi fa si riteneva comunemente (ma solo a livello deduttivo) che una corda realizzata in budello intero dovesse avere le stesse proprietà acustiche di una ottenuta da strisce. Purtroppo i vari tentativi eseguiti da i vari cordai di oggi -noi compresi- per realizzare cantini di Violino o di Liuto ha sempre fallito: le corde si presentavano molto irregolari e con un carico di rottura piuttosto ridotto. Nelle corde molto più grosse questo problema in realtà non sussiste ma, si sa che la professionalità di un cordaio si misura in primis nella tenuta meccanica del cantino del Violino. Insomma nessuno è mai riuscito nell’impresa.

La soluzione del problema è arrivata ancora una volta sia dall’esame delle antiche fonti e sia dalla biologia animale: sin dal tempo di Mersenne (1636) si fa leva sul fatto unico della razza, il tipo di alimentazione ed età degli ovini e caprini italiani il cui budello è utilizzato per fare le corde: tutto questo non era disponibile in nord Europa.

Attanasio Kircher /Roma 1650)  tratta  questo argomento in modo interessante e così pochi altri nel corso del XVIII e XIX secolo che però spesso ripetono concetti in realtà già ribaditi da altri autori precedenti e semplicemente riportati.  Fino a pochi anni fa ritenevo che questa questione fosse irrilevante (lavorando con le strisce di budello il problema non si evidenzia molto) ma una approfondita indagine durata un paio di anni mi ha fatto cambiare decisamente idea: gli esseri viventi sono plastici, essi si adattano sia alle condizioni ambientali che al cibo e così anche il loro intestino (che l’erba sia inquinata o no o anche l’uso di eventuali medicine non ha invece importanza alcuna). Le caratteristiche descritte da Mersenne  e Kircher e da altri autori sono quindi vere.

Cosa dire invece circa in merito alla stagione più opportuna per realizzare le corde?

In Italia si distingue in maniera molto chiara che la produzione cordaia fatta in inverno è la più scadente in termini di resistenza alla trazione rispetto a quella realizzata in estate e più segnatamente tra Giugno, Luglio, Agosto e Settembre e inizi Ottobre (i mesi più adatti per i cantini di Violino). Alcune fonti del XIX secolo citano per esempio il fatto che i napoletani dedicavano l’inverno per la fabbricazione di qualunque genere di corda – seconda del Violino inclusa – ad esclusione dei soli cantini di Violino, i quali venivano esclusivamente prodotti tra la metà dell’estate e il primo autunno.  John Dowland (1626) riprende anche lui il punto che riguarda la stagione migliore di quando comprare le corde (e il Paganini anche: Agosto). La spiegazione è semplice:  il foraggio nella stagione secca nelle zone montagnose e aride  è duro e scarso mentre durante l’inverno la pastura è verde con abbondanza di acqua: il budello si modifica a seconda della situazione alimentare.

 

5) Caratteristiche meccaniche e acustiche riscontrate nelle corde in budello intero rispetto alle omologhe provenienti da strisce di budella.

Le corde di budello intero realizzate sono state fatte seguendo il metodo storico da noi ricostruito, usando la procedura chimica corretta, utilizzando del budello intero di agnello selezionato accuratamente (come si parla di ‘abete di risonanza’ particolarmente indicato per le tavole armoniche,  si potrebbe introdurre il concetto di budello di risonanza adatto cioè particolarmente adatto a fare le corde in budello intero), superfice delle corde levigata a rettifica lasciando però una superfice ancora leggermente ruvida (abbiamo scelto questa strada: ai giorni nostri risulta totalmente improponibile una levigatura manuale sia per i costi, per i tempi di attesa, per il rischio di corde false ma soprattutto per l’impossibilità di garantire la scalatura dei diametri come oggi comunemente in uso)  hanno mostrato una realtà completamente diversa da quanto sinora teoricamente supposto (cioè invarianza rispetto a quelle realizzate da strisce): le corde di questo tipo presentano maggiori prestazioni acustiche, raggiungono velocemente una stabile accordatura, sono più resistenti alla trazione e anche molto più stabili ai cambi climatici rispetto alle omologhe realizzate a partire da strisce. Non manifestano perdite di tensione nel tempo come accade con le omologhe realizzate da strisce.

Questi risultati sono notevoli tenendo conto che  non abbiamo  ancora sperimentato il trattamento di sbianca mediante solforazione (a partire dalla metà del XIX secolo le rinomate corderie di Padova lo omettevano).

Questa serie di riscontri spiegherebbe definitivamente perché le corde prodotte in Italia  godettero di quella reputazione da sempre decantata nei documenti europei dal tardo XVI sino prima metà del XX secolo e spiegano in modo esaustivo anche il motivo per cui si vigilava così attentamente che non ci fossero iniziative fraudolente da parte dei cordai di questa nazione.

Ci siamo chiesti in cosa più consistere la ragione di questa miglior sonorità, stabilità e resistenza meccanica: se realizziamo infatti due corde identiche a partire dallo stesso budello (ma di cui una sia ottenuta da strisce) otteniamo dei risultati piuttosto diversi, sia   sotto il punto di vista meccanico che acustico.

Una possibile spiegazione è legata alla conformazione naturale dell’intestino, il quale presenta da un lato una sorta di robusto e sottile ‘laccio’ longitudinale su cui aderisce la sottile e delicata ‘tubazione’ dell’intestino.

Durante la fase di torcitura essa si spalma intorno al suddetto laccio che, al contrario, risulta in trazione ai suoi estremi quasi a realizzare una ipotetica corda rivestita la cui anima risulta il citato ‘laccio’.

Vivi felice


Strumenti ad arco: perché proponiamo due tipologie di set (mute 'standard' e mute 'historical')?

La ricerca sui diametri di corda in uso nel passato è una disciplina relativamente recente rispetto alla riscoperta della prassi esecutiva antica e all’impiego di strumentazione originale (o loro copie od ibridi).

Fino a pochi anni fa era -ed è ancora valido oggi- infatti comunemente ritenuto che i diametri utilizzati nel passato fossero piuttosto sottili. Gli strumenti dedicati alla musica antica sono pertanto per la maggior parte ancora tarati  secondo questa tipologia di diametri. In particolare, l’angolo formato dalle corde sul ponticello risulta in molti casi piuttosto acuto, molto simile cioè a quelli degli strumenti ad arco moderni.

Baroque Violin
Modern violin

L’adozione di calibri veramente storici su questa tipologia di strumenti -che sono la maggioranza-  avrebbe comportato gravi problematiche nella qualità del suono prodotto e nella facilità di emissione.

Abbiamo pertanto deciso di realizzare le nostre montature di corda in questo modo: da un lato proponendo (nei gradi di tensione light, medium heavy) quelle serie di diametri tradizionali  -seppur non storicamente documentati – oggi generalmente adottati  e per l’altro lato la proposta di montature che si rifanno alle informazioni storiche sopravvissute mettendo allo stesso tempo in chiaro quali modifiche risultano necessarie al fine di poter accedere a queste tipologie di calibri che rendono lo strumento certamente più  ricco, di facile emissione, di stabile intonazione e con maggior durata delle corde (oltre che essere in linea con i criteri storicamente documentati).

Vivi Felice


Quali sono i cosiddetti "segreti" che sono importanti nel processo storico e moderno di fabbricazione delle corde di budello?

1) Bagni chimici

Questo è il più grande 'segreto' ed occupa la prima posizione. La composizione dei bagni chimici è sempre stato il segreto meglio preservato dai liutai del passato e dai contemporanei. Per esempio: possiamo fare diversi video in Youtube che mostrano tutto il processo di fabbricazione delle corde in budello ma, sicuramente, non verranno mai spiegati quali sono le soluzioni chimiche che si utilizzano, come le si gestisco e dove le si usano. Ecco la verità: l'esatta concentrazione del prodotto, le diverse diluizioni che vengono utilizzate durante tutte le fasi del processo, il tempo di contatto e il modo in cui  si"massaggiano" le corde durante il trattamento chimico sono i parametri più critici sulla qualità di una corda in budello. Alla fine  questo è  il vero e più importante segreto.

2) Il grado di torsione

Questo è un segreto che in molti già sanno ma non è in realtà il più importante. Ci sono altre cose: la curva di asciugatura quando le corde sono sul telaio, che è molto diversa se il tempo cambia improvvisamente e/o se le corde sono fatte con diversi tipi di budello. Poi è molto importante considerare quanto sono tese le corde fresche appena messe a telaio e come si 'massaggiano' le corde subito dopo che sono sul telaio in asciugatura.  È molto importante prendere in considerazione se si aggiungono torsioni alle corde perché ci sono sempre più passaggi di torsione, tutti legati al tipo di budello in uso, c'è poi il giusto intervallo tra i diversi passaggi di torsione e .... il meteo. Sì, il tempo. A volte ci alziamo dal letto alle 3 di notte perché il meteo era cambiato e si deve andare in fabbrica e cambiare qualcosa nella fase di essiccamento delle corde.

3) Qualità della materia prima

Se il budello grezzo proviene da un luogo invece che da un altro le cose cambiano. I farmaci o gli ormoni non influenzano i comportamenti delle corde di budello (fino ad ora questo è quello che abbiamo potuto constatare).

4) Il processo di pulitura

Non è importante se il budello grezzo è stato pulito a macchina o a mano. L'obiettivo è quello di ottenere una membrana muscolare molto pulita.  Entrambi i casi vanno bene.

5) Il tipo di utensili utilizzati

Non è importante che gli utensili siano realizzati in legno come nei tempi passati. È lo stesso o ancora meglio ancora per la durata dell'utensile è consigliabile utilizzare telai in alluminio e utensili in plastica.

6) Il tipo di telaio

Non è la stessa cosa utilizzare un telaio invece di un altro: la qualità della corda finale risulta molto diversa.

7) Il numero di budelli

Non è la stessa cosa se lo stesso calibro di corda provviene da 5 budelli spessi o invece da 8 budelli più sottili: le cose cambiano drasticamente. Questo è uno dei migliori segreti.

8 ) Il tipo di budello

Budello di mucca o budello di pecora: sì, le prestazioni sono le stesse ma a condizione che siano state trattae chimicamente nello stesso modo e che il budello di pecora sia tagliato a strisce come il budello di manzo.

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Senza un cordaio come un insegnante e senza molta pratica quotidiana di alcuni anni in una fabbrica di corde, non è possibile realizzare vere e proprie corde professionali in budello. Il processo chimico è il background di questo lavoro.

Al giorno d'oggi vengono fatti diversi di esperimenti da parte di amatori con prodotti chimici a diverse concentrazioni e tipologie nella speranza di trovare il Santo Graal, ma nell’ambito delle corde budello questo non può succedere.

Si possono certamente fare le corde comunque, ma non possono essere professionali: saranno di colore molto scuro (nei secoli passati questo era considerato invece un segnale che le corde non erano buone), quelle sottili si romperanno facilmente e saranno di frequente false (producono una vibrazione aperiodica), avranno le strisce non ben legate tra loro, in generale non sarebbe possibile ottenere diametri più sottili di 1.00 mm a causa dei problemi poco fà elencati, sarebbero infine più rigide delle corde professionali anche se sono state ritorte al massimo (di conseguenza le terze corde per violino e violoncello sarebbero sorde e difficili da mettere in movimento con l'archetto facendo credere al suonatore che non si possa accedere al puro budello).

In conclusione:  la perfezione delle corde di budello del passato è stata raggiunta solo dopo secoli e secoli e con il continuo supporto di decine e decine di persone intelligenti e brillanti operanti già nel ramo che hanno lavorato duramente sul campo. Solo  se non si ha   una visione d’insieme e realistica del problema si può pensare che (poiché si sta lavorando duramente e con passione)  si possa  un giorno, da soli, arrivare empiricamente a scoprire “la Via”.


Budello bovino: particolarità

La maggior parte delle corderie professionali di oggi utilizzano budello di provenienza Bovina invece che Ovina. Dal punto di vista storico le prime menzioni circa l’uso di questo materiale risalgono già alla metà del XVIII secolo ma non si sa se veniva utilizzato anche per scopi musicali.
La produzione delle strisce (Serosa) è di tipo industriale e si realizza mediante apposite macchine che tagliano l’intestino in strisce dette Slitting machine.

Vedi anche questo video:

In pratica, la porzione di intestino detto ‘Runner’, che lungo fino a 40 -45mt e del diametro di 45-50 mm viene tagliato dal lato libero da grasso in due o tre strisce longitudinali mentre il rimanente, pari a cica ¾ del materiale, costituisce lo scarto (utilizzato poi per altri scopi).

Nel budello Ovino invece si utilizza l’intera porzione di intestino sia tagliato a metà che intero.

Le strisce ottenute da questo taglio (dette in gergo tecnico beef Serosa) sono in realtà un sandwich di due membrane: quella da utilizzare (detta layer L1, le cui robuste fibre sono disposte longitudinalmente) e il layer detto L2 (le cui fibre sono invece disposte trasversalmente ed è debole).

Si rende pertanto necessaria la separazione del layer L1 da quello L2; operazione che può essere eseguita sia manualmente che mediante un apposito macchinario:

La presenza più o meno abbondante di layer L2 post separazione è la causa principale di rottura delle corde e non è possibile poterlo prevedere osservando ad esempio le corde

Le strisce di serosa del solo layer L1 sono prodotte con larghezze decise da standard internazionali ad uso fili da sutura e corde da tennis come ad esempio 19, 16,14, 8 mm e di lunghezza adatta ai telai adatti alla produzione industriale di fili chirurgici e corde da tennis /6,0 fino a 12 metri)

Le strisce di serosa vengono poi a costiture la cosiddetta ‘mazza, composta da 100 fili, poi salata per la conservazione e il trasporto:

L’impiego della serosa di bue permette questi interessanti risultati:

  • Alta produttività, velocità di lavorazione e bassi costi finali
  • Alta riproducibilità tra le varie partite di corde realizzate
  • Elevata resistenza alla trazione.

 

Tutto questo si traduce nel fatto di poter servire un vasto bacino di utenza a prezzi contenuti e qualità standard,  tutti aspetti questi in buona parte non accessibili budello di provenienza ovina. Se le corderie cessassero di realizzare corde in budello bovino ci si dovrebbe aspettare un forte rialzo dei prezzi e l’impossibilità di poter coprire tute le richieste del mercato. Ricordiamo infatti che mentre nel passato le corderie grandi e piccole erano alcune centinaia, ai giorni nostri  quelle professionali (la cui produzione cioè sia di almeno di mille corde a settimana) si contano sul palmo di una mano.

 

E per quanto riguarda la loro sonorità?

Molto si è discusso sulla presunta superiorità acustica del budello Ovino (parliamo qui di quello tagliato in strisce, non quello intero che è effettivamente superiore a tutto) ma queste motivazioni sono però prive di rigore scientifico.

 

Ecco i fatti: la  qualità sonora di una corda dipende unicamente dal peso specifico del materiale e dal suo modulo elastico. Il peso specifico tra le due tipologie di budello (ovino e bovino)  è il medesimo (si tratta alla fine sempre di proteine di collagene); per quanto riguarda l’elasticità essa è invece unicamente legata a come viene realizzata la corda (il grado di torsione è uno dei parametri meccanici) ma soprattutto che processi chimici sono stati utilizzati; che sono il vero segreto di quest’arte e  custoditi gelosamente dalle corderie professionali.

Così è possibile ottenere ottime corde di manzo, pessime corde di agnello e viceversa.

Le nostre corde di manzo sono realizzate mediante un sapiente mix tra le tecniche moderne  (laddove serve riproducibilità, stabilità del prodotto e forte produttività) e quelle antiche (laddove invece si tratta di raggiungere la migliore resa acustica e durata nel tempo del prodotto).


Il prodotto FL: che cos'è?

Ho installato delle corde nuove e di ottima qualità, il capotasto è perfettamente levigato e passato con la grafite etc ma la prima si rompe continuamente non appena arrivo vicino alla nota finale: perché??

Ho comprato una piccola arpa per fare repertori medioevali ma purtroppo  quelle della prima ottava non appena installate si rompono dopo poco tempo o addirittura subito nonostante siano di una marca rinomata: perché mi succede?

Questo è il fatto: puoi aver installato le corde nel migliore dei modi, puoi aver utilizzato le migliori corde in commercio ma hai mai verificato quale è l’Indice di Rottura (detto prodotto FL) caratteristico del tuo strumento?

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Cosa è il prodotto FL?

Quando una corda di budello viene progressivamente tesa tra due estremi, essa ad un certo punto raggiungerà una frequenza dove si romperà di netto: tale frequenza si chiama ‘Frequenza di Rottura’.

Contro intuitivamente, essa rimane la stessa per qualunque diametro di corda adottato (varierà solo la tensione in Kg). Ecco il motivo: se si aumenta il diametro di una certa percentuale aumenterà pure della stessa percentuale anche la tensione (e viceversa). Infatti, applicando la formula delle corde (Mersenne/Tyler), mutando il diametro e la tensione che ne deriva si noterà che la frequenza rimane sempre la medesima.

Le due affermazioni che seguono, pertanto, si elidono a vicenda: partono infatti entrambe da una falsa premessa:

‘La corda si è rotta: ho deciso quindi di montarne una un po’ più sottile così ha meno tensione e non si rompe’

‘La corda si è rotta: ho deciso quindi di montarne una un po’ più grossa così è più robusta’

 

Sono state da noi effettuate numerose misure in corde di budello di marche diverse riscontrando che il valore medio delle frequenza cui avviene la rottura -alla lunghezza unitaria di un metro- è pari a 260 Hz per metro di lunghezza vibrante.

La relazione tra la frequenza di rottura e lunghezza vibrante è inversamente proporzionale, così se invece di un metro si hanno due metri la frequenza si dimezza, e viceversa. In altre parole, il prodotto tra i due parametri F ed L è una costante ed è definito Indice di Rottura o prodotto FL.

Ma un liutaio parte invece dalla frequenza del cantino: dividendo pertanto l’Indice di Rottura per la Frequenza in Hz assegnata al cantino otteniamo allora la lunghezza vibrante per cui, una volta raggiunta la nota richiesta, la corda si rompe istantaneamente (questo in virtù della proporzionalità prima descritta).

Facciamo il caso pratico del Violino:

La frequenza del mi (corista 415 Hz) è di 621,7 Hz

Lunghezza vibrante di rottura istantanea della prima corda accordata a mi: 260/621,7 =0,418 metri; 41,8 cm (Lunghezza vibrante di rottura)

 

Lunghezza vibrante di rottura e Lunghezza vibrante di lavoro

Come abbiamo visto avendo l’Indice di Rottura diviso per gli Hz della prima corda otteniamo la lunghezza vibrante in cui la corda si spacca di netto, per qualunque diametro di corda adottato: sono le nostre colonne d’Ercole.

Per poter avere una corda che non si spezzi bisogna pertanto introdurre un certo accorciamento prudenziale di questa lunghezza limite, ma di quanto dobbiamo accorciare? Se l’accorciamento è eccessivo si perde rendimento acustico: la resa sonora di una corda, a parità di tensione e frequenza, risulta infatti migliore se si riesce a ridurre al massimo il suo diametro agendo sulla lunghezza vibrante (lunghezza vibrante e diametro sono inversamente proporzionali)

Per poter avere una risposta osserviamo il seguente grafico:

 

Come si può notare, la corda inizialmente si allunga molto (perdita dell’elasticità non recuperabile, detta anche ‘falsa elasticità’) per poi seguire regolarmente la retta stress/strain data dalla legge di Mersenne/Tyler. Giunti ad un certo punto si osserva però un brusco rialzo della retta. Significa una cosa soltanto: la corda ha esaurito la sua capacità di allungarsi; da qui alla rottura il passo è breve: due/tre semitoni soltanto.

Daniello Bartoli nel 1692 scrisse a tal proposito : ‘una corda si rompe laddove non può più allungarsi’:

 

Praetorius (Syntagma Musicum 1612)  ci fornisce nelle sue tavole sia l’unità di misura della lunghezza e sia le varie accordature degli strumenti rappesentati: dopo aver dedotto il possibile corista standard, nella maggior parte dei casi si è riscontrato che i vari prodotti FL  sono proprio al limite superiore della retta (un chiaro richiamo alla regola comune del tempo di accordare la prima corda al più acuto consentito), immediatamente prima del tratto ripido finale; siamo pertanto anche qui  a due /tre semitoni dalla rottura teorica della prima corda.

Questo corrisponde a degli Indici di Lavoro di 220-230 Hz/mt per gli strumenti a pizzico (due-tre semitoni di meno dalla rottura); 210-220 Hz/mt (tre-quattro semitoni di meno dalla rottura ) invece per gli archi , ad esclusione di quelli di grossa taglia, che lavorano invece intorno a 190-200 Hz/mt (vedere i numerosi lavori di Ephraim Segerman in FOMRHI bull):

 

 

Questo dato  risulta confermato anche dai nostri calcoli che abbiamo eseguito in alcuni Liuti e Chitarre a cinque ordini conservati nei Musei, a condizione che non sia stata alterata la lunghezza vibrante e che si possano ricondurre a dei coristi standard sufficientemente identificabili (vedere A. J. Hellis:’The History of Musical Pitch’, Londra 1880 e Bruce haynes: ‘A History of Performing Pitch: The Story of “A” ‘  2002)

E’ questo il caso di tiorbe e arciliuti (Hartz, Buechemberg, Grail etc) costruiti a Roma nel XVII secolo (corista stimato 390 Hz), liuti rinascimentali costruiti a Venezia nel tardo Cinqucento/primo Seicento come i Sellas, Venere, Tiffenbrucker etc (corista mezzo punto veneziano: 465-70 Hz), Chitarre a cinque ordini (Voboam etc) costruite in Francia nel tardo XVII/prima metà del XVIII secolo (corista intorno a 390 Hz),  infine Liuti in re minore costruiti nel XVIII secolo in  Germania (Kamerton intorno a 420 Hz) dove il range di Indice di Lavoro calcolato è di 225-235 Hz/mt.

 

Esiste un unico  Indice di rottura o ve ne sono più di uno?

Fino ad oggi il carico di rottura medio di una corda di budello è stato uno e considerato pari a 260 Hz/mt (misura media statistica presa su corde di budello odierne di diametro di circa 0,40 mm).  Solo di recente siamo arrivati a capire che non è possibile utilizzare un valore unico per tutte le taglie di strumenti a pizzico e ad arco: gli Indici di rottura che si dovrebbero utilizzare sono in realtà almeno tre.

Perché?

Ecco la risposta: si pensa comunemente che le corde di budello -grosse o sottili che siano- vengano costruite tutte seguendo gli stessi procedimenti chimici, realizzando gli stessi indici di torsione;  aventi tutte medesima tipologia di budello e costruite infine seguendo le  medesime fasi costruttive.

In realtà le cose non stanno cosi: nella tecnologia cordaia professionale vengono seguite almeno tre differenti tipologie manufatturiere, le quali comportano l’impiego di bagni chimici diversificati; differenti gradi di torsione,  diverse tipologie di budello e, infine, diverse fasi costruttive.

Se non si procedesse in questo modo non si potrebbero risolvere efficacemente le due problematiche principali insite in una corda musicale: il carico di rottura e l’Inarmonicità (vale a dire l’efficacia acustica, la quale è relazionata al grado di elasticità della corda, parametro questo legato alla quantità di torsione, tipo di materiale e fasi chimiche impiegate).

Questi due parametri sono in opposizione tra loro: alzando uno si riduce l’altro (e viceversa).

I vari diametri di corda -soprattutto quelli utilizzati come cantini- abbisognano dunque della loro specifica tecnologia: non è possibile ad esempio realizzare una corda di un certo spessore con la tecnologia adottata per  cantini di Liuto: la corda che ne risulta sarebbe estremamente rigida e dura, quindi totalmente afona. Viceversa non è possibile adottare per i cantini sempre del Liuto la tecnologia usata per le corde più grosse: i cantini si spaccherebbero molto prima di aver raggiunta la nota necessaria.

 

Le tre tipologie di corda

-La prima tipologia manifatturiera è quella che riguarda soltanto le corde super sollecitate e anche più sottili -sostanzialmente i cantini di liuti e chitarre barocche- dove il solo e unico obiettivo è quello di raggiungere il massimo carico di rottura e la massima tenuta all’abrasione superficiale ad opera delle dita. Il carico di rottura standard di 260m Hz/mt si riferisce appunto a questa tipologia

-La seconda tipologia è rappresentata da quelle corde che risultano ancora  notevolmente sollecitate ma non al livello estremo tipico dei cantini del Liuto/Chitarra barocca.

Sono ad esempio le prime per violino e per la famiglia della viola da gamba. Qui l’obiettivo del cordaio è sì sempre quello di ricercare un elevato carico di rottura ma allo stesso tempo  si comincia a ridurre l’Inarmonicità modificando la chimica utilizzata.

-La terza tipologia è rapprentata dalla prime corde per strumenti ad arco più grossi quali il violoncello, il bassetto, i violoni in G e D e il Contrabbasso: con queste tipologie di strumenti non è più necessario ricercare la massima resistenza alla trazione ma si utilizzano ora le tecniche costruttive utili a ridurre l’Inarmonicità della corda.

Vi sarebbe in realtà una quarta tipologia: quella delle corde più grosse che non lavorano mai come cantini: in questo caso si punta il tutto per tutto nel ridurre al massimo l’Inarmonicità non curandosi assolutamente del carico di rottura. E’ questo l’esempio tipico delle terze di budello nudo del cello, 2,3,4  (talvolta anche le 5 e 6) del violone in G e D e le 2,3  -talvolta anche la 4- corde del contrabbasso.

Come abbiamo  visto, il valore oggi comunemente adottato di Indice di Rottura di una corda di budello è pari a 260 Hz/mt è rappresentativo soltanto della prima tipologia di corde: quella dei cantini di Liuto (nella nostra azienda riguarda i diametri compresi tra .36 mm fino a 0,50 mm).

Sempre nel caso della nostra azienda i diametri compresi tra 0,50 fino a 0,90- 1,00 mm sono invece realizzati secondo i criteri costuttivi tipici delle seconda tipologia. Dati sperimentali di carico di rottura ci orientano verso un valore pari a 240 Hz/mt.

La terza tipologia sempre nella nostra azienda è rappresentata dai diametri maggiori di 1,10 mm circa  fino a 2,5 mm. Non abbiamo ancora fatto il carico di rottura ma riteniamo per estrapolazione che  si riduca ulteriormente a circa 220 Hz/mt.

Riassumendo:

Prima tipologia di corde (0,36 – 0,50 mm di diametro): Indice di Rottura pari a 260  Hz/mt

Seconda tipologia di corde (0,50 – 1,10 mm di diametro): Indice di Rottura pari a 240  Hz/mt

Terza tipologia di corde (1,10 – 2,40 mm di diametro circa): Indice di Rottura pari a 220  Hz/mt

 

Ma come applicare tutto questo nel pratico al nostro strumento?

Semplice, mediante la regola del semaforo: luce verde (rischio di rottura basso), arancione (possibile modesto rischio di rottura a seconda della qualità intrinseca della corda, delle condizioni climatiche etc: questa è la condizione tipica dei Liuti) , rossa.

Ecco come procedere: si moltipica la lunghezza vibrante dello strumento, in metri, per la frequenza della prima corda e quindi:

 

Liuti, chitarre rinascimentali e barocche/Pardessus (diametri di corda tra 0,36 fino a 0,50 mm)

-se il valore e minore o pari a 220 : semaforo Verde

-se il valore e tra 220-230 : semaforo Arancione

-se il valore supera 240 : semaforo Rosso

 

Violino, Viola da braccio, Viola da gamba Soprano, Tenore e Basso (diametri compresi tra 0,50 e 1,0 mm):

-se il valore e minore o pari a 200 : semaforo Verde

-se il valore e tra 210-220 : semaforo Arancione

-se il valore supera 220 : semaforo Rosso

 

Violoncello, Violone in re e in Sol, Contrabbasso (diametri di corda maggiori di 1,10 mm):

-se il valore e minore o pari a 190 : semaforo Verde

-se il valore e tra 200-210 : semaforo Arancione

-se il valore supera 210 : semaforo Rosso

 

Naturalmente i calcoli andranno rifatti nel caso in cui si intenda accordare lo stesso strumento a differenti pitch standard


 

Campi indispensabili di utilizzo:

-Arpe in generale (anche moderne)
questo calcolo risulta particolarmente utile con le Arpe, le quali, essendo di una grande varietà non è detto che rispettino questa regola: concentrarsi soprattutto nella prima ottava verificando il prodotto FL o di tutte le corde o anche procedendo a salti. Questa informazione dovrebbe essere presa in considerazione in primis dai liutai avendo da progettare un arpa di cui conoscono le note e il pitch standard. Storicamente parlando la maggior parte delle arpe lavora con l’ottava più acuta in condizioni di luce arancione

-Strumenti medioevali/ rinascimentali

Non essendoci strumenti originali sopravvissuti (ci si avvale soltanto delle fonti iconografiche) ed essendo in ogni caso sconosciuto il pitch standard del tempo è bene provvedere alla verifica del prodotto FL prima di acquistare uno strumento: Questa informazione dovrebbe essere presa in considerazione in primis in fase di progettazione dai liutai avendo la nota del cantino e il pitch standard già stabiliti al cliente

-Strumenti di nuova progettazione di presunta ricostruzione storica:

Considerare il prodotto Fl con luce arancione nel caso si tratti di Liuti, chitarre barocche, Viole da gamba rinascimentali; luce verde nel caso si tratti di strumenti ad arco tastati e non tastati (per i Violoni: 190-200 Hz/mt)

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Ulteriori fondamentali utilizzi del prodotto FL

‘Come fate voi cordai a capire quando è giunto il momento di passare dalle corde di budello a quelle filate?’

‘Come si può capire quando una corda di budello non permette più una resa acustica accettabile?’

‘Ho montato il mio basso di viola da gamba in tutto budello ma la sesta non suona ed è di difficile emissione’

‘Desidero montare la mia viola da braccio in tutto budello: posso farlo?’

‘ Ho montato bassi in puro budello sul mio Liuto ma sono afoni; perché?’

 

La risposta è la seguente: grazie al prodotto FL, che se nella prima corda si chiama Indice di Lavoro, nelle altre posizioni questo Indice di lavoro esprime in sé il grado di Inarmonicità che quel diametro di corda sottoposta a quella data lunghezza vibrante e frequenza di intonazione.

Per grado di Inarmonicità viene considerato in termini generali un indice di qualità acustica la quale sarà massima per la prima corda per andare via via a degradarsi mano a mano che il valore del prodotto Fl si riduce facendo sì che la resa acustica delle corde si riduca sempre più fino a valori tali che l’orecchio umano arriva a concludere che la sonorità è inaccettabile (è noto a tutti che le corde con diametri via via crescenti disposte sulla stessa lunghezza vibrante diventano via via più ovattate, di difficile messa in vibrazione ed affette da cattiva qualità sonora).

Giunti a questo punto vi è soltanto soluzione; quella di passare ad una diversa tipologia di corda (filate, roped, appesantite etc).

Ma come fare a sapere in anticipo quando si rende necessario questo passaggio tecnologico? Sempre dal valore del prodotto FL!

 

-Esempio sulla chitarra classica (e strumenti a pizzico in generale).

La terza corda Sol della chitarra classica è l’ultima di nylon della montatura; il suo prodotto Fl è di 127 Hz/mt circa (0,65 mt scala x 196 Hz sol)

La quarta corda re è invece una rivestita; il suo prodotto FL è di 95 Hz/mt (0,65 mt x 146,8 Hz)

IL concetto espresso da questo ‘passaggio di consegne’ tra le corde è il seguente: non è più possibile ottenere buone prestazioni acustiche con una corda di nylon/budello laddove il prodotto FL diventa inferiore a 90-100 Hz/mt (nel caso del quinto ordine del Liuto il prodotto FL si aggira invece intorno a 78-80 Hz/metro soltanto, ma il problema della povertà acustica della corda viene astutamente aggirato mediante l’ artificio dell’ottava appaiata).

Il sesto ordine del Liuto presenta un prodotto FL di 59-60 Hz metro: il problema della sua Inarmonicità è anche qui aggirato solo grazie all’artificio dell’ottava appaiata ma qui purtroppo ci si deve fermare: al di sotto di 60 Hz/mt infatti la resa acustica peggiora a livello tale che l’ottava appaiata non è più sufficiente: si rende pertanto necessario un cambio di tipologia di corde adatte a lavorare con prodotti FL inferiori fino addirittura al limite di 39 Hz/mt (corde rivestite, KF, appesantite, Gimped etc)

 

Strumenti ad arco

In uno strumento ad arco la situazione è molto migliore: il prodotto FL di interfaccia si aggira intorno a 70 Hz/mt. Ciò detto, si riesce comunque, grazie all’arco, a ricavare una certa accettabile sonorità anche a prodotti FL piuttosto ridotti ma a condizione però che le corde di budello siano di elevatissima elasticità e resa acustica (roped in budello intero di agnello oppure di tipo appesantito) soprattutto la sesta ella famiglia delle viole da gamba. Qui il prodotto Fl non dovrebbe mai essere inferiore a 52 Hz/mt (scarso rendimento acustico) o superiore a 57 Hz/metro ( condizioni di luce arancione). A livelli inferiori di 52 Hz/mt si rende pertanto indispensabile l’utilizzo di una corda rivestita. (1)

Ad esempio la sesta corda di uno strumento di 69 cm di scala a corista 415 Hz presenta un prodotto FL di soli 48 Hz/mt (se fosse stato progettato secondo le giuste proporzioni, adatte cioè ad una montatura in solo budello -1a corda prodotto FL 210 Hz/mt- il prodotto Fl della sesta balzerebbe invece a 53 Hz/mt, che corrisponde a 77 cm di scala).

Il Sol in budello nudo di un Violino a 415 Hz presenta un prodotto FL di 61 Hz/mt: come si può vedere è possibile utilizzare il budello nudo ma solo quello di ottima qualità; Non è invece possibile accedere ad Un Do per viola da braccio con lunghezza vibrante di soli 38 cm: il prodotto Fl è di soli 47 Hz/mt.

La lunghezza vibrante di una viola da braccio che intenda accedere ad un Do di budello nudo (anche se di ottima qualità) deve avere un do con un prodotto FL come quello del Sol del violino: 61 Hz/mt. Per proporzione ciò significa una lunghezza vibrante di 47-48 cm; 43 cm invece come valore minimo assoluto (prodotto FL della sesta corda della famiglia delle viole da Gamba)

Si conclude in questo modo:

-Strumenti ad Arco: laddove il prodotto FL dell’ultimo basso risulti inferiore a 53 Hz/mt non è assolutamente possibile accedere ad una corda in budello nudo. E’ possibile forse aggirare il problema spostando il ponticello verso la cordiera -come in uso comune anche nel passato- nella speranza di rientrare entro il valore indicato.

-Liuti/Chitarre barocche: a valori inferiori di prodotto FL di 50 Hz/mt non è più possibile utilizzare il budello naturale anche se provvisto di ottava appaiata.

Vivi felice

Mimmo Peruffo

 

(1) Nel caso del violoncello la situazione è diversa: nel corso del XVIII secolo questo strumento non ha mai utilizzato corde di budello con corde o cariche, a favore invece delle corde di budello in alta torsione. In generale, i violoncelli lavoravano con tensioni più alte rispetto a quelle in uso sulla famiglia delle viole da gamba: la combinazione “tensione più alta e corde di budello in alta torsione” può influire negativamente sulla resa del suono e sulla qualità dell’attacco dell’arco. Questo suggerisce che quando il prodotto FL della terza corda è inferiore a 70 Hz/m è meglio impiegare una corda avvolta.


Le corde rivestite per archi e strumenti a pizzico dal tardo XVII secolo agli inizi del XIX: cosa realmente sappiamo?

UN PO’ DI STORIA

La prima menzione oggi nota della comparsa delle corde filate risale al 1659 (Samuel Hartlib Papers Project; Ephemerides: “Goretsky hath an invention of lute strings covered with silver wyer, or strings which make a most admirable musick. Mr Boyle. […] String of guts done about with silver wyer makes a very sweet musick, being of Goretskys invention”)  seguita poi da John Playford: “An Introduction to the Skill of Music….”) nel 1664. Ma la loro successiva diffusione, nei primi decenni dalla loro comparsa, non fu affatto rapida bensì a ‘macchia di Leopardo’.

L’Italia, paese da sempre rinomato per la produzione di corde armoniche, ci riserva un documento del 1677  dove, in una fattura del liutaio Alberto Platner, si legge: “…due corde di violone, una di argento et un’altra semplice…”).

Risalgono a dopo il 1690 le prime rappresentazioni iconografiche di strumenti musicali ad arco utilizzanti tali corde (vedere le opere pittoriche di Anton Gabbiani, Firenze oppure del pittore francese Francois Puget, Parigi 1688 e anche altri autori).

Secondo Rousseau (Traité de la Viole, 1685), fu il violista Sainte Colombe che le introdusse per primo in Francia intorno al 1675 ma il principale trattato Inglese per Liuto e Basso di Viola risalente alla seconda metà del XVII° secolo (Thomas Mace: “Musick’s Monument”  London 1676) ancora non le nomina limitandosi a descrivere ancora bassi in puro budello: i Lyons e i rosso cupo Pistoys.

Claude Perrault (Ceuvres de physique […], Amsterdam 1680 pp. 214-5) così intitola un suo paragrafo: “Invention nouvelle pour augmenter le son des cordes”. Si tratta naturalmente delle corde rivestite.

Nel manoscritto di James Talbot (1700 circa) i bassi dei Liuti, del Violino e del Basso di Violino sono ancora quelli usuali in solo budello: vale a dire i Lyons e le Catlins.

Nei primi decenni del XVIII° secolo le corde filate presero quasi ovunque il sopravvento rispetto ai bassi tradizionali di solo budello sia sugli strumenti a pizzico e sia su quelli ad arco rivoluzionando totalmente la maniera di fare musica sino ai nostri giorni.

 

E’ di recente scoperta un documento romano del 1719 dove non solo viene indicato per la prima volta per iscritto l’utilizzo di una quarta corda di tipo rivestito per il Violino alternativa al consueto budello nudo ma anche nei riguardi dei suoi  dati costruttivi; vale a dire il diametro dell’anima e di filo metallico da utilizzare (vedere Patrizio Barbieri, 2016: “Musical instruments, gut strings, musicians and Corelli’s Sonatas at the Chinese Imperial Court: The gifts of Clement XI, 1700-1720”).

 

Una importante testimonianza circa l’uso di una quarta corda di tipo rivestito ci viene dal conte Giordano Riccati (“Delle corde ovvero fibre elastiche…”1767) e poi, lungo il corso del XVIII secolo anche da diversi altri documenti italiani, francesi, austriaci, tedeschi e inglesi; dove viene descritto l’utilizzo di corde rivestite anche per i seguenti strumenti:  Viola da braccio, Violoncello,  Contrabbasso, Basso di viola e infine il Pardesus.

Dalla metà del Settecento comunque l’uso delle corde rivestite diventa lo standard ovunque; verso il 1750-60  il Violoncello passa ad utilizzare anche una terza corda di tipo rivestito.

 

 

CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE TIPICHE DELLE CORDE RIVESTITE DEL XVIII-INIZI XIX SECOLO

  1. Utilizzo di filo metallico a sezione esclusivamente rotonda
    b) Utilizzo di metalli quali il rame, l’argento puro, il rame argentato e l’ottone. Non esistevano ancora metalli quali l’alluminio, il Tungsteno (o Wolframio) o leghe speciali etc il cui impiego cominciò soltanto verso la prima metà del XX secolo
    c) Anima di budello naturale in alta torsione
    d) Assenza di seta tra anima e filo metallico di ricopertura
    e) Diverso bilanciamento tra l’anima e l’avvolgimento metallico rispetto alle corde rivestite moderne (anche se realizzate su anima di budello).

Le corde venivano realizzate mediante l’uso di macchine avvolgitrici molto semplici:

LE TIPOLOGIE DI RIVESTITE IN USO

Le tipologie di corde rivestite in uso tra la fine del XVII secolo e la fine del XVIII si possono ricondurre a tre specie:
1) Corde rivestite su anima di budello con avvolgimento metallico a spire accostate
2) Corde rivestite su anima di budello con avvolgimento a spire non accostate
3) Corde rivestite su anima di budello con doppio avvolgimento metallico a spire accostate

Nella seconda metà del XVIII secolo le corde di tipo 1) cominciarono ad essere realizzate anche su anima di seta ma solo per gli strumenti a pizzico (prove pratiche da noi eseguite hanno dimostrato che le corde di seta rivestita non lavorano bene sotto l’arco). Le corde a filatura accostata su anima di budello furono quelle che caratterizzarono poi tutto il XIX secolo fino ai primi decenni del XX, dove subito dopo la grande guerra cominciarono a diffondersi quelle filate in alluminio e/o quelle con il filo metallico parzialmente levigato.

Le corde di tipo 2) furono chiamate dai francesi del XVIII secolo corde a ‘demì’ o più genericamente demifileè.
La loro caratteristica costruttiva risulta chiaramente deducibile dal nome: si tratta di corde il cui avvolgimento presenta una spaziatura tra spira e spira pari al diametro del filo o leggermente di più per gli strumenti a pizzico (questa preziosa indicazione costruttiva -l’unica del XVIII secolo- ci viene da Le Coq, Parigi 1724 a proposito delle corde per Chitarra a cinque ordini):

mentre per gli strumenti ad arco si ipotizza che il filo metallico fosse più spiralizzata (in questo modo il crine dell’arco non si trova incanalato):

(Ecco la nostra traduzione di quello che Stradivari scrisse: ‘Questi sono i campioni delle tre corde grosse; la corda che mostra attraverso le sue spire che l’anima è fatta di budello và ricoperta con una spira molto aperta ad imitazione della pianta Vitalba

 

Esempio di Vitalba

La prima menzione di questa tipologia di corda risale tuttavia al 1712 (Sebastien De Brossard: ‘Fragments d’une méthode de violon’, manoscritto)
mentre l’ultima di nostra conoscenza è del 1782 (Jean-Benjamin De Laborde ‘Essai sur la musique ancienne et moderne).

Le corde demifilèe -realizzate sempre su anima di budello- venivano utilizzate in Francia talvolta come sia come ‘Do’ quarta corda del Basso di viola a sette corde (vedere la lettera di G. B .Forqueray al principe Friederich Wilhelm del 1768) che come terze del Violino (Brossard 1712 e Laborde 1782):

GLI STRUMENTI A PIZZICO DEL XVIII SECOLO E LE CORDE RIVESTITE

-Chitarra a cinque ordini

oltre al già citato Le Coq, 1724 possediamo altra documentazione che ci conferma l’impiego di corde rivestite sia con anima di budello (Corrrette 1761 ca) che di seta (Don Juan Guerrero: “Methode pour Aprendre a Jouer de la Guitarre”. Paris 1760):

-Mandolini a 4 e 6 ordini

La documentazione del XVIII secolo testimonia sia l’uso di corde a demì su anima di budello che bassi a rivestimento accostato su anima di seta o anche budello (Metodi di Fouchetti e di Corrette, Parigi 1771-72):

-Liuto e Gallichon

La prima menzione dell’uso concreto delle corde filate su anima di budello risale al 1715 (Germania); sono stati scoperte in seguito diverse altre fonti scritte del XVIII secolo francesi ma soprattutto tedesche che confermano il fatto che il liuto a 11 e 13 ordini utilizzava bassi rivestiti su anima di budello. Alcuni indizi sia a livello di reperti sopravvissuti che di iconografia portano a credere che fossero di tipo demifilè (prove esaustive da noi fatte con anima di seta hanno portato invece a risultati piuttosto deludenti sia in termine di qualità acustica che di natura meccanica).

Ecco ad esempio dei frammenti di corde basse ritrovate in un liuto di Raphael Mest che si trova a Linkoping (Svezia) seguiti da una iconografia tedesca/austriaca presumibilmente della metà del XVIII secolo:

 

Esempio di Liuto in Re minore montato con bassi demifilè su anima di budello al netto delle informazioni storiche:

 

 

Del Gallichon  si è ritrovata questa interessante iconografia di origini tedesche riconducibile alla metà del XVIII secolo che, assieme a delle considerazioni  di natura generale sulle caratteristiche costruttive dello  strumento, suggeriscono fortemente l’utilizzo di bassi a filatura accostata su anima di seta (come del resto già in uso nella chitarra a 6 ordini spagnola); ipotesi supportata anche da nostre prove pratiche:

-Arpa

La documentazione storica e l’iconografia francese testimoniano sia l’impiego di bassi rivestiti su anima di seta (Baud, 1797-98, Versailles) che di tipo demifilè, su anima presumibilmente di budello:

(Notare le corde del violino che si trova dietro l’arpa: 4a filata argento e tre in budello)

 

Alla fine del XVIII secolo le corde a demì andarono in disuso sia a causa della scomparsa degli strumenti specifici che le utilizzavano (Basso di viola, Chitarra a 5 ordini, Liuto etc) e sia perchè vennero sostituite, negli strumenti a pizzico, da quelle di tipologia 1) avvolte su anima di seta che portarono alla comparsa della  chitarra a 6 corde semplici:

Esempio di corde basse filate su seta per chitarra spagnola a sei ordini risalenti al 1810-12

MA PERCHE’ LE CORDE FILATE VENNERO FATTE DEMIFILE?

Contrariamente a quanto comunemente si crede, le corde demifilèe non furono corde progettate per avere una sonorità di ‘transizione’ tra le superiori in budello nude e i bassi seguenti a filatura accostata. Per ottenere questo scopo sarebbe bastata una normale corda a filatura accostata con rapporto anima/filo metallo a favore dell’anima. La vera ragione è di natura tecnologica: la ricerca  sulla tecnologia dei fili metallici del XVIII secolo ha portato alla luce il fatto che a quel tempo non erano in grado di realizzare fili metallici così sottili tali da poter accedere alla filatura di tipo accostato (per esempio il gauge più sottile della scala di Creyseul, metà sec XVIII, riguardante i gauge di fili metallici per clavicembalo è il n° 12, pari a  0,15 mm circa. Vedere anche sul tema: James Grassineau : “A musical Dictionary” London 1740).

La soluzione di ricoprire un’anima spaziando il filo metallico risolse brillantemente il problema introducendone uno di nuovo legato alle potenziali difficoltà condotta dell’arco e fragilità del rivestimento metallico al capotasto.

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Corde di tipologia 3:

Si suppone che esse siano state utilizzate anche nel corso del XVIII secolo (G.B. Forqueray nella sua lettera del 1768 spiega al principe Wilhelm che le corde gravi del Basso di viola non devono mai essere realizzate doppiamente ricoperte ma a filatura semplice: chiara indicazione questa che le corde a doppia ricopertura erano comunque note/utilizzate anche in quei tempi); significa che furono forse la soluzione strategica per quei particolari strumenti ad arco caratterizzati dall’avere una lunghezza vibrante molto corta in relazione alla loro accordatura .

Citiamo ad esempio il Violoncello/Viola da Spalla ma, andando più sul sicuro,  anche la 5a corda in Si grave aggiunta al Contrabbasso nel tardo XIX secolo.

Vivi felice

Mimmo Peruffo


Le corde in budello intero di agnello: solo un mito del passato o sono davvero diverse?

 

Nel ciclo produttivo del XVI, XVII, XVIII e XIX secolo gli animali il cui intestino veniva comunemente utilizzato nelle corderie di Roma, Napoli, Lione, Monaco etc era sia quello di capra che quello di ovino. Questa seconda categoria veniva a sua volta sottodistinta in budello di agnello, budello di pecora e infine budello di montone.

Nei macelli si abbatteva in realtà di tutto e sempre per soli motivi alimentari; stava poi al cordaio selezionare le budella (provenienti da fonti diversificate e talvolta anche molto lontane) a seconda del loro diametro seguendo la regola a noi pervenuta che i budelli di minor diametro dovevano essere usati solo per le corde più sottili e viceversa.

Risulta particolarmente interessante la particolare situazione di Roma e Napoli, dove nel periodo pasquale venivano abbattuti ingenti quantità di agnelli e capretti ancora molto giovani il cui budello veniva destinato alla fabbricazione dei cantini di Liuto, smerciati poi in tutta Europa.

La situazione comune che si ritrova in numerosi documenti italiani del XVIII e XIX secolo è che con tre/quattro budelli interi si deve ottenere il range di diametri tipici del cantino del violino: i budelli di partenza dovevano dunque essere davvero piuttosto sottili.

 

Un documento romano della metà del Seicento (Attanasio Kircher, “Musurgia Unniversalis”, Roma 1650) riporta addirittura l’interessante informazione che il cantino del Liuto veniva fatto utilizzando un singolo budello intero di agnello soltanto:

 

L’utilizzo del budello intero fu dunque la regola in quei paesi (come la Spagna, Portogallo e Italia) dove si disponeva di animali di piccola taglia il cui numero di tre, talvolta quattro budelli accoppiati e ritorti, forniva il range di diametri adatti come prima di Violino.

All'estero invece (Francia, Austria, Germania ecc.) la situazione era ben diversa: i loro agnelli, vuoi per la razza, vuoi per il clima o il tipo di alimentazione avevano dimensioni maggiori di quelli italiani e spagnoli; inoltre non venivano mai abbattuti in tenera età al contrario di quanto accadeva in Italia. A causa del budello di maggior sezione non si riusciva pertanto ad ottenere il diametro adatto al cantino del Violino, bensì maggiore: questo è il motivo principale delle ingenti ordinazioni di cantini per Liuto e Violino rivolti a Roma e a Napoli dalle varie nazioni europee nel XVII, XVIII e XIX secolo. Vi sono diversi documenti del XVIII e XIX secolo, soprattutto francesi che analizzano bene la situazione arrivando alla conclusione che a causa della loro tipologia di ovini risulta impossibile riuscire ad imitare la qualità dei cantini di Napoli.

Da questo tipo di problema venne pertanto la ingegnosa soluzione di fendere a metà e per lungo l’intestino in modo da ottenere delle strisce più sottili in modo da aggirare così l’ostacolo, tecnica usata anche oggi praticamente da tutti i cordai, sia che si tratti di budello di mucca che ovino.

Dai documenti ritrovati sembrerebbe che questa tecnica sia stata introdotta in Germania solo nel tardo XVIII secolo (l’inventore tedesco si guadagnò un premio da parte della municipalità locale) mentre in realtà se ne conosce l’uso sin dalla seconda metà del XVI secolo almeno: negli statuti dei cordai di Roma del 1587; 1591; 1642 e 1678 viene infatti proibito, pena multe salate o anche galera, di fabbricare corde a partire da budelli ‘spaccati nel mezzo’.

 

 

 

Negli statuti dei cordai di Lisbona del tardo Seicento è parimenti scritto che il cordaio che venisse scoperto a mescolare budelli interi con budelli tagliati in strisce verrà costretto a pagare una multa salata:

 

Si tratterebbe dunque di una frode commerciale. Un documento italiano della metà del 1846 afferma infatti che l’uso di strisce per realizzare le corde invece che usare il budello intero è da considerare come tale e insegna anche come smascherarla:

 

Ma perché in Italia e Portogallo erano così severi contro chi tagliava/utilizzava il budello in strisce? Non era forse un sistema ingegnoso per poter utilizzare anche dell’intestino più grosso e maggiormente disponibile?

Fino a pochi mesi fa si riteneva comunemente che una corda realizzata in budello intero dovesse avere le stesse proprietà acustiche di una ottenuta invece da strisce. La recente nostra riscoperta del sistema antico in uso in Italia di fabbricare le corde di budello intero ha mostrato invece una realtà completamente diversa: le corde di questo tipo presentano maggiori prestazioni acustiche, raggiungono facilmente una stabile accordatura, sono più resistenti alla trazione e anche molto più stabili ai cambi climatici rispetto alle omologhe realizzate a partire da strisce.

Questa serie di riscontri spiegherebbe definitivamente perché le corde prodotte in Italia (e in misura minore in Spagna) godettero di quella reputazione da sempre decantata nei documenti europei dal tardo XVI sino prima metà del XX secolo e spiegano anche il motivo per cui si vigilava così attentamente che non ci fossero iniziative fraudolente da parte dei cordai locali.

 

Ma il budello intero suona davvero meglio?

Assolutamente sì.

Come si è prima accennato, le corde in budello intero non tagliato non solo hanno dimostrato una grande resa acustica in termini di volume e di colori ottenibili ma possiedono anche una elevata resistenza alla trazione, rapida e stabile intonazione e tenuta ai cambi climatici. Se ci trovassimo anche noi in quei tempi certamente faremo di tutto per preservare questa qualità perseguitando ogni forma di frode.

Ci siamo chiesti in cosa più consistere la ragione di questa miglior sonorità, stabilità e resistenza meccanica: se realizziamo infatti due corde identiche a partire dallo stesso budello (ma di cui una sia ottenuta da strisce) otteniamo dei risultati molto differenti.

Abbiamo concluso che il possibile ‘segreto’ di questa speciale qualità sia il risultato della conformazione naturale dell’intestino, il quale presenta da un lato una sorta di robusto e sottile ‘laccio’ longitudinale su cui aderisce la sottile e delicata ‘tubazione’ dell’intestino. Durante la fase di torcitura essa si spalma intorno al suddetto laccio che, al contrario, risulta in trazione ai suoi estremi quasi a realizzare una ipotetica corda rivestita la cui anima risulta il citato ‘laccio’.

Ecco il video:

 

Vivi felice

Mimmo Peruffo


Come montare correttamente le corde di budello così da evitare rotture e allo stesso tempo garantire una rapida e stabile intonazione

Nella nostra azienda ci sentiamo talvolta dire: ‘ho montato la prima corda ed è saltata, ne ho montato un’altra ed ha fatto la stessa fine.  Sono trenta anni che suono il violino (la viola da gamba, il cello etc) e  so come si monta una corda…

Ma basta  essere musicisti esperti per dirsi anche esperti installatori di corde di budello?

Caratteristiche critiche delle corde di budello

Le corde di budello, essendo un materiale di derivazione naturale, possono a volte presentare effettivamente dei problemi: si parla allora di corde difettose.

Una corda può definirsi difettosa quando:

  1. è stata eccessivamente rettificata:  al tatto e a vista la si vede sana e perfettamente liscia;  in realtà le fibre esterne hanno subito un danneggiamento eccesivo. Poco dopo l’istallazione la corda solleva pertanto dei minuscoli peli che sono in realtà le fibre spezzate.
  2. Presenta al suo interno qualche  minuscolo puntino biancastro (macchiette di grasso): corde di questo tipo si rompono immediatamente durante l’accordatura
  3. Una volta montata  si rompe improvvisamente  lontano dai punti di vincolo (capotasto e ponticello)

Le corde di budello sono in sè molto robuste alla trazione ma presentano due aspetti deleteri:

  1. Sono molto tenere e quindi soffrono molto di eventuali punti di scorrimento/contatto che siano  anche minimamente taglienti
  2. Durante i climi umidi assorbono molta umidità, diventano meno compatte e quindi ancora più sensibili ai punti di scorrimento
  3. Inducono molto attrito nei punti di scorrimento arrivando anche ad appiattirsi nei solchi oppure scorrono a scatti

Le soluzioni generalmente adottate come ad esempio passare della grafite sui solchi del capotasto non è di alcuna utilità se prima i solchi non sono stati fatti secondo dei criteri adatti alle corde di budello che possiamo vedere in questi esempi

La cosa più importante da osservare è che i solchi risultino leggermente incisi, non arrivano mai ad avere punti di piega troppo netti e infine il capotasto è lisciato a specchio. Solo a questo punto risulta utile la mina della matita aggiunta nei suddetti solchi.

I trattati del tempo, come quello di Thomas Mace (Musik’s Monument, London 1676)  ci suggeriscono come deve essere sistemato  il capotasto del Liuto al fine di non avere rotture di corde e stabilità di intonazione:

Le fonti iconografiche  del Seicento infine mostrano spesso un particolare tipo di nodo marinaro detto Bowline il quale serve a suddividere a metà lo sforzo di trazione della prima corda in due punti distinti  al foro della  cordiera (è sufficiente limitare il suo utilizzo alla prima corda):

Ecco come si fa il nodo Bowline:

Vi sono altre buone pratiche da seguire:

  1. Effettuare l’accordatura della corda tenendola fuori dal solco del capotasto  e, nel caso degli archi, alzando la stessa ogni tanto  dal ponte: in questo modo si evita di far scorrere la corda in punti di attrito e si garantisce la costanza della tensione nei tratti monte e a valle dei punti di appoggio della stessa.  Inserire la corda nel solco del capotasto ad accordatura avvenuta (o anche nei suoi pressi).
  2. Ogni tanto è bene tirare la corda alla sua metà in modo da scaricare il suo allungamento ‘non recuperabile e allo steso tempo serrare bene i punti  dove essa è vincolata (la corda sarà così immediatamente pronta ad essere suonata)
  3. La messa in tensione della corda deve essere lenta, non veloce. Il materiale deve aver il tempo di adattarsi al cambiamento
  4. Il tratto di corda avvolta al pirolo deve essere la quantità più ridotta possibile facendo in modo che al primo giro la corda sormonti sé stessa e poi accostando le spire, non sovrapponendole: vedere le indicazioni di Thomas Mace (Musik’s Monument, London 1676) .

In questi video sono riassunte tutte le raccomandazioni:


Eguale tensione in Kg/ eguale sensazione tattile di tensione: alcuni utili chiarimenti

Equal tension/ equal feel

Da almeno una decina di anni è molto in voga presso i suonatori di strumenti ad arco storici la cosiddetta montatura in equal tension, ritenendo che essa sia l’interpretazione scientificamente esatta di ciò che si faceva nel passato (e che si ritrova in alcune fonti storiche riferite soprattutto al Liuto): le corde devono presentare tutte la stessa sensazione tattile di tensione.

La Fisica dimostra infatti per via matematica che corde che presentano lo stesso gradiente di deviazione qualora sottoposte ad un medesimo peso agente (che si trova sempre alla stessa distanza dal ponticello) hanno anche la medesima tensione in Kg.

Quello che è sfuggito è però il fatto che questa relazione matematica è vera soltanto con corde già in avvenuto stato di trazione; non è invece assolutamente vero se si parte invece  da diametri teorici ottenuti tramite calcolo (la formula delle corde di Mersenne-Tyler) e tutti alla stessa tensione di lavoro impostata nella formula;  come invece sembrano fare (e scrivono) i sostenitori della egual tensione di oggi.

Già Huggins, nel tardo XIX secolo, si era accorto di questa differenza (ma anche il conte Riccati nel 1760):

Ecco cosa in realtà accade: qualora sottoposte agli stessi Kg,  le corde più sottili si assottigliano percentualmente in maniera maggiore rispetto a quelle via via più grosse.

In altre parole: una volta che sono messe in trazione ciascuna corda calerà della sua propria specifica percentuale (che è dipendente dal grado e tipo di torsione: per esempio bassa o alta torsione, fatte a gomena etc e infine dal suo Indice di Lavoro in seno allo strumento, detto prodotto FL) la quale sarà la massima per le più acute e più sottili e minore per quelle via via più grosse.

 

Ma se si applica ora la formula delle corde al nuovo assetto di diametri in stato di avvenuta accordatura (trazione, cioè), si noterà invece il raggiungimento di una tensione di tipo scalare di natura rovesciata e che al tatto produrrà invevitabilmente un feel di natura scalare parimenti rovesciato (minimo nel cantino, massimo nelle corde più grosse).

Abbiamo a tale scopo eseguito nel pratico le verifiche di quanto descritto da Di Colco, Mozart e Mersenne smentendo sistematicamente i risultati che apparentemente sembravano confermare l’ipotesi dell’eguale tensione come da formula delle corde.

Lo stesso Mersenne non solo dice che nessuno dei suonatori del suo tempo segue le sue indicazioni teoriche ma introduce anche un coefficiente correttivo di 1/16 alla formula delle corde senza fornire alcuna spiegazione del perchè provocando quindi delle contestazioni (vedi ad esempio Daniello Bartoli, 1692).

Nel “Preludium1” 1650, Attanasio Kircher fornisce il numero di budelli necessari per realizzare le corde da Violone romano:

Est hic Romae Chelys maior, quàm  Violone vulgò vocant pentachorda, cuius maior chorda consesta est ex 200 intestinis. Secunda ex 180. Tertia ex 100. Quarta ex 50. Quinta denique ex 30. (19)

Questi dati sono molto interessanti e unici perché definiscono il numero di budelli da impiegare per realizzare le corde di questo grosso strumento.

Per  verificare il profilo di tensione da altre informazioni storiche sappiamo che con tre budelli interi di agnello di circa 8 mesi di età si ottenga un diametro medio di 0,70 mm. Per semplice proporzione  si ricava quanto segue:

1: 2,21 mm (30 budelli)

2: 2,85 mm (50 budelli)

3: 4,04 mm (100 budelli)

4: 5,42 mm (180 budelli)

5: 5,71 mm (200 budelli)

Il Chelys Maior è così accordato: E, A, DD, GG, (e infine FF)

Calcoliamo le tensioni considerando un corista ‘romano’ di 392 Hz ed una lunghezza vibrante da noi supposta di 90 cm si ottengono:

1:  Mi 35,50  Kg

2: la  26,31  Kg

3:  Re 23,54  Kg

4: Sol 18,88 Kg

5:  Fa 16,64 Kg

Il profilo di tensione è di tipo scalare;  per il tipo di scalarità esso riconduce anche ad un profilo eguale feel tattile. Questo è un esempio diretto del XVII secolo che testimonia la scalarità della tensione in Kg= equal feel tattile  di una montatura per archi

Sfortunatamente nessuno dei sostenitori odierni dell’eguale tensione, per quello che almeno ci risulta,  abbia mai fatto i test di verifica di quanto affermato in questi trattati, fidandosi pertanto ciecamente di quanto scritto.

Conclusione: una montatura che riproduca un eguale feel tattile si raggiunge pertanto soltanto realizzando nel calcolo teorico una certa scalarità della tensione espressa in Kg. Nelle nostre corde abbiamo infatti calcolato il giusto gradiente di scalarità: ecco perché siamo in grado di fornire montature in vero equal feel come in uso ni tempi antichi;  ci rifiutiamo invece di fornire montature in equal tensione da calcolo perchè priva di alcuna base storica  e dannose alla buona esecuzione, come già sottilineato da Huggins nel XIX secolo.

Vivi felice

Mimmo Peruffo