I nostri lavori
Montature per Liuto: i nostri criteri
IL LIUTO E LE RELATIVE MONTATURE IN BUDELLO: IL NOSTRO PUNTO DI VISTA (con le corde equivalenti realizzate in materiale sintetico)
Per saperne di più leggi le nostre F.A.Q.
La nostra filosofia nei riguardi delle montature di corda in budello (e delle equivalenti in materiale sintetico) per la famiglia dei Liuti (e delle Chitarre a cinque ordini) è una soltanto: tentare di ricostruire, per quanto possibile, le sonorità tipiche di quando lo strumento fu in vita. Questo compito presenta naturalmente dei limiti, limiti imposti sia dal grado di conoscenza attuale della tecnologia cordaia di quei tempi e sia per il fatto che il Liuto (si intende qui a partire dalla versione a sei ordini) ebbe a vivere foggie e stagioni diverse nel corso della sua lunga esistenza. La ricerca nel campo della manifattura storica delle corde di budello ha tuttavia compiuto negli ultimi anni decisivi passi in avanti che, se da un lato non ci permettono ancora di poter affermare con certezza quale fu l’esatta sonorità del dolce strumento (compito in verità più speculativo che reale: anche al tempo vi erano certamente idee diverse tra i liutisti), essa ci consente comunque di poter determinare quella ‘regione acustica’ di appartenenza comune in cui tutti i Liuti, a causa dei limiti imposti dalla tecnologia cordaia a loro contemporanea, forzatamente rientravano.
Andiamo quindi a definire quello che sicuramente non poteva appartenere alla peculiare sonorità dei Liuti di allora
- Le corde in PVF (Fluorocarbonio, detto comunemente ‘carbonio’): resa acustica eccessivamente brillante rispetto a qualunque corda in budello
- Corde di Nylon: resa acustica percettibilmente più ovattata e cupa rispetto al budello.
- Corde di Nylgut: resa acustica molto simile al budello nella gamma dei calibri più sottili; nei diametri maggiori questa similitudine viene progressivamente meno a causa di un maggior sustain
- Corde basse filate su bava di nylon: oltre a non risultare di per sé storiche per i repertori musicali del XVI e XVII secolo, la quasi totalità di quelle disponibili in commercio risultano troppo brillanti e dotate di eccessiva persistenza acustica che le pongono agli antipodi rispetto a quello che la ricerca sta un po’ alla volta rivelando in merito alle corde rivestite del XVIII secolo, le quali presentavano una sonorità pesantemente centrata sulla fondamentale, bisognose ancora delle ottave appaiate e prive di eccessiva persistenza acustica
- Tensione di lavoro e sua distribuzione tra le varie corde della montatura: i criteri generalmente seguiti oggi per calcolare le montature di corda ben raramente risultano collegati al concetto di eguale sensazione tattile di rigidità tra le varie corde della montatura (equal feeling) proprio degli antichi. La regola generale moderna è infatti quella di ricavare i diametri partendo dalla tensione espressa in Kg, criterio questo apparso per la prima volta intorno alla seconda metà del XIX secolo (Maugine & Maigne, 1867). Così procedendo non si può infatti tenere conto della variabilità di alcuni parametri tipici delle corde come ad esempio la riduzione percentuale di diametro che incorre sotto trazione e la diversa sensazione tattile generata da diametri differenti e/o da corde di diversa tipologia manifatturiera o sottese a lunghezze vibranti diverse.
- Tensioni delle ottave appaiate ai bassi: esse sono spesso calcolate con un valore eccessivamente basso rispetto a quello della corda fondamentale adiacente (Virdung, 1511 sembra suggerire che il diametro della corda di ottava sia la metà di quello del basso appaiato)
- Cantini: quando singoli si presentano sovente con tensioni di lavoro eccessivamente basse: il feeling con gli altri ordini risulta pertanto sbilanciato.
- Criteri seguiti nella scelta delle tipologie di corde: la montature, nella maggior parte dei casi, non seguono affatto la divisione in tre Sorts di corda prescritte dai Trattati per Liuto del tempo. Oltremodo, corde di una determinata Sort si trovano talvolta ad invadere il campo che dovrebbe essere proprio di altre tipologie andando ad alterare pesantemente l’equilibrio timbrico/dinamico dello strumento (esempio: il quarto ordine realizzato con corde di tipo rivestito, corde in tratta lunga rivestite etc).
In conclusione, la qualità acustica di un liuto dei nostri giorni si presenta di sovente con una sonorità globale decisamente più brillante e ricca di sustain nei bassi e anche nei registri medi (a causa dell’uso delle corde rivestite) con una sostanziale mancanza di omogeneità timbrico/dinamica rispetto a quello che riteniamo sia stato nel passato. Per contro, gli acuti possono esibire sia una resa nettamente più brillante (PVDF o ‘Carbon’ ) o, all’opposto (Nylon) più ovattata del budello. Si è creato in altre parole un nuovo strumento che poco avrebbe da spartire con quello del passato. Nessuna critica a questa scelta: il Liuto si può benissimo suonare anche così.
MP
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ATTENZIONE: per la grande varietà di strumenti della famiglia del Liuto non è possibile, da parte nostra, indicare dei diametri standard. Vi preghiamo pertanto, nell’effettuare l’ordine, di fornirci le seguenti informazioni:
- Tipo di strumento e lunghezza o lunghezze vibranti
- Altezza di intonazione della prima corda e corista di riferimento (es. g’, 415 Hz.)
- Tensione di lavoro
- Disposizione in ottava o unisono
- Tipo di corde richieste (es. appesantite; filate; Nylgut®; nylon etc.)
Le corde rivestite per archi: i nostri criteri costuttivi
UN PO' DI STORIA
Le prime menzioni oggi note della comparsa delle corde filate risalgono al 1659 (Samuel Hartlib Papers Project; Ephemerides: "Goretsky hath an invention of lute strings covered with silver wyer, or strings which make a most admirable musick. Mr Boyle. [...] String of guts done about with silver wyer makes a very sweet musick, being of Goretskys invention”) ed al 1664 (John Playford: "An Introduction to the Skill of Music...."), ma la loro successiva diffusione, nei primi decenni dalla loro comparsa, non fu affatto rapida.
In Italia, paese da sempre rinomato per la produzione di corde armoniche, se ne parla infatti soltanto a partire dal 1677 (in una fattura del liutaio Alberto Platner si legge: "due corde di violone, una di argento et un'altra semplice).
Risalgono però a dopo il 1680 le prime rappresentazioni iconografiche di strumenti musicali (Violino e Violoncello) utilizzanti, nel basso, tali corde (vedere le opere pittoriche di Antonio Gabbiani, Palazzo Pitti, Firenze).
Secondo Rousseau (Traité de la Viole, 1685), fu il violista Sainte Colombe che le introdusse per primo in Francia intorno al 1675 ma il principale trattato Inglese per Liuto e Basso di Viola risalente alla seconda metà del XVII° secolo (Thomas Mace: "Musick's Monument" 1676) ancora non le nomina limitandosi a descivere ancora bassi in puro budello: i Lyons, i rosso cupo Pistoys.
Claude Perrault (Ceuvres de physique [...], Amsterdam 1680 pp. 214-5) così intitola un suo paragrafo: "Invention nouvelle pour augmenter le son des cordes". Si tratta naturalmente delle corde rivestite.
Nel manoscritto di James Talbot (1700 circa) i bassi dei Liuti, del Violino e del Basso di Violino sono ancora quelli usuali in solo budello: vale a dire i Lyons e le Catlins.
Nei primi decenni del XVIII° secolo le corde filate presero definitivamente il sopravvento rispetto ai bassi tradizionali di budello rivoluzionando totalmente la maniera di fare musica sino ai nostri giorni.
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE TIPICHE DELLE CORDE RIVESTITE STORICHE (XVII-XIX SECOLO)
a) Utilizzo di filo metallico a sezione esclusivamente rotonda
b) Utilizzo di metalli quali il rame, l'argento puro, il rame argentato e l'ottone. Non esistevano ancora metalli quali l'alluminio, il Tugsteno (o Wolframio) o leghe speciali etc il cui impiego cominciò soltanto verso la prima metà del XX secolo
c) Anima di budello naturale in alta torsione
d) Assenza di seta tra anima e filo metallico di ricopertura
e) Diverso bilanciamento tra l'anima e l'avvolgimento metallico rispetto alle corde rivestite moderne anche se sono state realizzate su anima di budello.
LE TIPOLOGIE IN USO
Le tipologie di corde rivestite in uso tra la seconda metà del XVII secolo e la fine del XVIII si possono ricondurre a tre specie:
1) Corde rivestite su anima di budello con avvolgimento metallico a spire accostate
2) Corde rivestite su anima di budello con avvolgimento a spire non accostate
3) Corde rivestite su anima di budello con doppio avvolgimento metallico a spire accostate
Nella seconda metà del XVIII secolo le corde di tipo 1) cominciarono ad essere realizzate anche su anima di seta. Il loro uso rimase tuttavia circoscritto ai bassi più gravi delle arpe a movimento semplice e agli strumenti a pizzico come la chitarra a cinque ordini e successivamente per la chitarra a sei corde smplici. Non si hanno sinora riscontri storici di una loro applicazione anche per gli strumenti ad arco.
Le corde di tipo 2) furono chiamate dai francesi del XVIII secolo corde a 'demì' o più genericamente demifileè.
La loro caratteristica costruttiva risulta chiaramente deducibile dal nome: si tratta di corde il cui avvolgimento presenta una spaziatura tra spira e spira pari al diametro del filo o leggermente di più (questa preziosa indicazione costuttiva -l'unica del XVIII secolo- ci viene da Le Coq, Parigi 1724).
La prima menzione di questa tipologia di corda risale al 1712 (Sebastien De Brossard: 'Fragments d'une méthode de violon', manoscritto)
mentre l'ultima è del 1782 (Jean-Benjamin De Laborde 'Essai sur la musique ancienne et moderne).
Le corde demifilèe -realizzate sempre su anima di budello- venivano estesemente utilizzate come 4 corda 'Do' del Basso di viola (vedere la lettera di G. B .Forqueray al principe Friederich Wilhelm del 1768), come terze del Violino ed infine come bassi nelle Chitarre a cinque ordini etc.
Alla fine del XVIII secolo le corde a demì andarono in disuso a causa sia della scomparsa degli strumenti che le utilizzavano (Basso di viola, Chitarra a 5 ordini etc) e sia perchè vennero sostituite da quelle di tipologia 1) avvolte su anima di seta (è il caso della chitarra a 6 corde semplici) oppure perchè rimpiazzate dalle corde di budello nudo (terza del violino).
Contrariamente a quanto si crede le corde demifilèe non futono corde di transizione tra le superiori in budello nudeo e i bassi seguenti a filatura accostata. Per ottenere questo scopo sarebbe bastata una normale corda a filatura accostata con rapporto anima/filo metallo a favore dell'anima. La vera ragione è tecnologica: a quel tempo non erano in grado di realizzare fili metallici così sottili. La soluzione di ricoprire un'anima spaziando un filo più grosso risolse brillantemente il problema:
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Arpa del XVIII secolo con bassi a filatura aperta. Notare le corde del violino sottostante: 4a filata argento e tre in budello
Ascolta il suono dei bassi demifilè in un Liuto a 13 ordini in Re minore
Si suppone che le corde di tipologia 3) siano state parimenti utilizzate nel corso del XVIII secolo per quei particolari strumenti ad arco caratterizzati dall'avere una corta lunghezza vibrante in relazione all'intonazione richiesta.
Sembra essere questo il caso del Violoncello/Viola da Spalla e più sicuramente, nel corso del XIX secolo, della 5a corda del Contrabbasso tradizionale.
G.B. Forqueray nella sua lettera del 1768 spiega al principe Wilhelm che le corde gravi del Basso di viola non devono essere realizzate doppiamente ricoperte ma a filatura semplice: chiara indicazione questa che le corde a doppia ricopertura erano note anche nel XVIII secolo.
Galleria
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Nicolò Paganini e le corde di budello
storia di un felice ritrovamento
di Mimmo Peruffo
Una serie di fortunate circostanze unite alla tenacia della dottoressa Tatiana Berford ,corrispondente a Velikij Novgorod (Russia) dell’Istituto di Studi Paganiniani di Genova e in seguito del dott Philippe Xavier Borer di Boudry (Svizzera) su segnalazione della Dr. Maria Prestia Sanfilippo (ex dirigente dell’Ufficio Promozione Città Turismo e Spettacolo) ha permesso la recente scoperta, in questa città, di una serie di reperti risalenti a Nicolò Paganini (1782-1840).
Tali reperti (1) consistono in un ponticello da violino, due archi di cui uno rotto in più punti (2), una confezione di pece di manifattura Vuillaume (3) ed un rotolo di corde di budello in discreto stato di conservazione (4).
La nostra attenzione si concentra su questo ultimo reperto il quale rappresenta un rarissimo caso di campioni di corde di budello la cui datazione sia presumibilmente certa, risalente in altre parole ai primi decenni del XIX secolo. Il materiale da noi visionato era presente entro una busta (aperta dagli scopritori) timbrata “Cartoleria Rubartelli Genova”, con sigillo in ceralacca rossa con impresso il simbolo del comune di Genova e portante una dicitura manoscritta in inchiostro nero: “Corde e ponticello che trovansi sul violino di Paganini all’atto della consegna al municipio”. All’interno si trovava una busta realizzata con un foglio piegato in due con una seconda dicitura manoscritta in inchiostro: “Antiche corde del Violino di Nicolò Paganini” (5).
I calibri delle corde sono stati da noi misurati per mezzo di micrometro stimando contestualmente anche il grado di torsione impartito ad ogni campione nella fase di manifattura, parametro assai importante ai fini della resa acustica di una qualsiasi corda di budello. Sarebbe peraltro assai interessante poter stimare il numero di budelli utilizzati per realizzare le varie corde del reperto idratando dei piccoli frammenti appositamente prelevati così da poter poi contare i “fili” di cui sono costituiti separandoli tra loro delicatamente; questa operazione è purtroppo sconsigliata per il fatto che reperti così vecchi potrebbero con tutta probabilità disciogliersi completamente nel mezzo acquoso, oltre che essere di per sé una tecnica distruttiva.
Come evidenziato da Edward Neill (6) il Paganini già in alcune sue missive fornì interessanti dettagli in merito alle corde da lui utilizzate: “Ho bisogno di un favore: ponetevi tutta la cura, e la diligenza. Mi mancano i cantini. Io li desidero sottilissimi […]. Quantunque tanto sottili devono essere di 4 fila per resistere. Badate che la corda sia liscia, uguale, e ben tirata […]. Vi supplico di sorvegliare i fabbricanti e di far presto e bene“. ( I need a favour: to be done with care and solicitude. I am without chanterelles […]. Even if they are very thin they must be made of four strands to endure. Make sure the string is smooth, even and well stretched […]. I beg you to keep an eye on the makers and do this soon and well).
In una lettera spedita da Napoli poco prima all’amico e confidente Germi datata 29 Maggio 1829 così si legge: “Il tuo Paganini desidera sapere […] quanti mazzi di cantini e quanto di seconde, e a quante fila si desiderano da Napoli, perché ora si avvicina il mese di Agosto, epoca giusta per fabbricar le corde” (Your [friend, n.d.r.] Paganini wants to know […] how many boundles of chanterelles and how many of second strings and with how strands are wanted from Naples, because the month of August is approaching: the right time for making strings) (7).
Ulteriori informazioni ci provvengono da Carl Flesch (8): “Some thirty years ago[ed in italiano:’around the 1890 year’, n.d.r.] the owner of the firm of Schott showed the celebrated violinist Hugo Hermann a Paganini’s letter, wherein the latter begged the head of the firm of that time day to procure strings for him like the samples enclosed. Hermann measured that samples on a string-gauge, and found to his astonishment that the D-string had the thickness of the A-string used today, the A-string the thickness of our E-string, while the latter was not different from a thick thread“.
Nel nostro precedente lavoro (9) sostenemmo l’ipotesi che queste corde fossero in realtà corde per chitarra, visto che il Paganini ne era un discreto cultore. Questa ipotesi deve essere però rivista alla luce delle recenti ricerche da noi intraprese sulla chitarra del tempo la quale -in estrema sintesi- si avvaleva sostanzialmente, per le prime tre corde, di quelle del violino. La chitarra di allora in altre parole non utilizzava affatto calibri sottili, come oggi comunemente si ritiene.
Le informazioni riportate da Flesch sono ad ogni modo incomplete al fine di poter ottenere una qualche certezza: non è ben chiaro ad esempio se le note (re, la etc…) abbinate ad ogni campione siano frutto di Hermann (per cui il grande violinista in realtà si limitò ad allegare semplicemente i campioni di corda senza specificare le note e lo strumento per le quali erano necessarie) oppure se ci pensò lo stesso Paganini. Va ricordato che egli fu anche cultore del mandolino (10): le corde ordinate potevano essere anche per questo strumento, senza considerare poi che la richiesta poteva risultare anche un semplice favore fatto a qualche conoscente musicista.
Ad ogni modo, sorvolando sulla più sottile (che non permette alcun termine di paragone) quanto specificato da Hermann, confrontato con la tabella delle tensioni fornite da Gorge Hart verso la fine dell’Ottocento (11), consentirebbe di stabilire un presunto “re” di circa 0.84¸0.90 mm e 0.65¸0.73 mm per il presunto “la”: diametri decisamente sottili per un qualsiasi Violino del tempo. Del presunto ‘mi’ non sappiamo francamente cosa dire, essendo secondo il paragone di Hermann “was not different from a thick thread”. Poteva essere forse un cantino da mandolino? Non lo sappiamo.
Le corde del ritrovamento si possono presumibilmente riassumere in due “re”, tre “la”, due “mi”: in pratica appaiono come spezzoni a giusta misura per il Violino, ricavati probabilmente ognuna da uno stesso tratto più lungo.
I reperti si presentano colorati in giallo-paglia, fragili, leggermente rugosi e integri, cioè mai utilizzati, nonostante sulla busta sia scritto “che trovansi sul violino…“.
Le corde di “mi” sono realizzate in media torsione (circa 45° d’angolo) mentre quelle di “la” e “re” decisamente in alta torsione, overossia con un angolo di fibra prossimo a 80°. In queste condizioni non stupisce affatto che esse dovettero manifestare al meglio le loro proprietà acustiche distaccandosi per certi versi da quelle di oggi che sono di frequente assai meno ritorte e quindi più rigide.
Ecco i range dei diametri riscontrati nel totale dei campioni:
E 0,70-0,72 mm Media torsione
A 0,87-0,89 mm Alta torsione
A* 0,80-0,83 mm Alta torsione
D 1,15-1,16 mm Alta torsione
*questa misura si è presentata soltanto in un solo spezzone di corda
Come si può notare manca la quarta corda. La cosa non stupisce perché, come di consueto per l’epoca, essa veniva realizzata non dai cordai quanto dai liutai (se non proprio dagli stessi musicisti) utilizzando una seconda un po’ sottile (12) (13) (14).
Risulta quantomai sorprendente la notevole aderenza ai calibri indicati nella tabella riassuntiva del nostro lavoro (nonostante l’incertezza del diametro finale dovuta alla levigatura esclusivamente manuale e alla grossezza variabile -per quanto selezionato sia il budello- del materiale di partenza), in particolare con quelli del celebre cordaio napoletano di fine Ottocento Andrea Ruffini (15):
Mi: ± 0,67 mm
La: ± 0,90 mm
Re: ± 1,17 mm
Le misure concordano anche con i dati forniti cento anni prima dal Conte Riccati (16):
Mi: ± 0,70 mm
La: ± 0,90 mm
Re: ± 1,10 mm
La cosa non deve tuttavia meravigliare se si rammenta che in Italia – fin dal ‘600 e prima (17) – le corde venivano prodotte partendo preferibilmente da budella intere di agnello (da non confondersi con il montone, che è il maschio della pecora e che in Italia non sembra aver avuto “la fortuna” che ebbe in Francia) di 8¸9 mesi di età secondo una prassi rigorosamente standardizzata e tramandata di padre in figlio. Come riportato da fonti italiane e non (18), un cantino di violino prendeva generalmente tre “fili” (cioè budelli), ma talvolta anche quattro nella sua manifattura. E questo avveniva sia nel Settecento che nel tardo Ottocento (19). Il fatto di utilizzarne quattro non deve far pensare che allora vi fossero cantini estremamente grossi (se con tre budelli il diametro e di circa 0,70 mm, con quattro si passerebbe a circa 0,82 mm!) ma più semplicemente che talvolta il budello a disposizione del cordaio era un po’ più sottile del solito. Questo viene confermato anche da un passaggio di una lettera del Paganini (20). In qualità di cordaio posso affermare che a parità di diametro finale una corda composta da quattro budelli sottili risulta molto più regolare, più duratura e meno soggetta a falsità di una realizzata a partire da tre budelli “giusti”. Non dimentichiamoci che al tempo non si disponeva della rettifica meccanica delle corde, che permette di ottenere corde perfettamente cilindriche. Il problema della falsità di una corda fu un aspetto di rilevante e condizionante importanza.
Paganini evidentemente sapeva il fatto suo quando ordinava le corde e così si faceva costruire apposta cantini di quattro fili (guadagnando in durata e limitando la quantità di corde false) arrivando a far sorvegliare persino i cordai napoletani da persona fidata.
Il fatto che i diametri rilevati concordino pressoché totalmente con le misure provenienti da numerose altre fonti del tempo -tenendo conto anche della grande standardizzazione produttiva- sembra far escludere che possa essere avvenuto un processo di essiccamento ulteriore tale da aver contratto significativamente ciascun reperto. Va ricordato comunque che una corda di budello finita è già di per sé un materiale, diciamo così, “mummificato”.
Sovrapponiamo al grafico n°2 del nostro precedente lavoro (nota 8, p. 187) l’andamento delle tensioni di lavoro del diametro medio del mi, la e re nelle stesse condizioni di lavoro (lunghezza vibrante 0,33 cms; a-435 Hz)
Come si può osservare, il profilo delle tensioni di lavoro dei campioni di corda presenta un andamento quasi perfettamente scalare, così come ci si doveva aspettare, decisamente coerente con le informazioni storiche sopravissute e risulta praticamente sovrapposto al “set” di Ruffini, in voga nel tardo Ottocento.
Conclusioni
Indipendentemente dal fatto che le corde in esame siano appartenute o no al grande violinista esse sono con tutta probabilità gli unici esemplari risalenti per certo al primo Ottocento. Esse, confermando gli studi, vanno ancora una volta a confutare l’opinione radicata che vuole che i violini del tempo utilizzassero montature assai leggere rispetto ad oggi. Le corde sono poi realizzate con un sapiente grado di torsione: non così “spinto” per i cantini (guadagnando pertanto in resistenza tensile e allo sfilacciamento), più elevato per la seconda e soprattutto terza corda le quali, lavorando soltanto ad una frazione del loro carico di rottura abbisognano invece della massima elasticità possibile al fine di ottenere da loro la migliore resa acustica: da qui l’elevata torsione. Questi reperti sembrano documentare che il Paganini utilizzò anche corde con diametri consueti per il tempo; non sappiamo se fabbricate a Napoli, ma certamente con grande perizia. Il significato della richiesta epistolare “li desidero sottilissimi” risulta per certi versi oscuro poiché sembra andare a contraddirsi con l’affermazione che vuole che siano allo stesso tempo “di quattro fila per resistere”. Non va comunque escluso che anche il Paganini, come qualunque musicista di oggi abbia ‘giocato’ un po’nel corso della sua carriera artistica a sperimentare calibri diversi con l’unico materiale a sua disposizione e da lui giudicato il migliore: il budello di Napoli.
Bibliografia
(1) Il materiale è stato ritrovato e si trova tuttora presso l’Archivio di “Palazzo Rosso” di Genova.
(2) L’arco in questione porta affisso per mezzo di un nastrino di seta verde e un sigillo di ceralacca rossa un foglietto con la seguente scritta: “Arco di Nicolò Paganini, che adopero [sic] durante tutta la sua carriera artistica. Rottosi l’arco a Newcastel (Inghilterra) in otto frantumi, lo fece rimettere insieme dal celebre liutista [sic] Vuillaume di Parigi, ne cessò di valersi di quest arco esclusivamente. In attestato di verità. (Achille Paganini figlio del celebre Nicolò’)
La rottura dell’arco potrebbe essere avvenuta durante il giro concertistico del 1833, quando il violino dell’Artista, affidato al cocchiere della sua carrozza subisce una brutta caduta rompendosi.
Esso ven
ne riparato forse assieme all’arco in Parigi da Jean-BaptisteVuillaume (1798-1875) (cfr. Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p. 313)
(3) Il dorso in cartone della confezione presenta la seguente scritta: “Vuillaume, rue…..Paris”.
(4) Le corde si presentano avvolte a rotolo tutte assieme e tenute strette da due nastrini di seta rossa.
(5) Si presume che tale lascito possa essere stato consegnato in allegato al violino al Comune di Genova da Achille Paganini, figlio di Nicolò, nel Luglio del 1851 (cfr. Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p.313)
(6) Edward Neill: Nicolò Paganini: Registro di lettere, 1829, Graphos, Genova 1991, p.80. Lettera scritta a Breslau, il 31 Luglio 1829 indirizzata al “signore profre Onorio de Vito, Napoli”.
(7) Edward Neill: Paganini: epistolario, Comune di Genova, Genova 1982, p. 49.
(8) Carl Flesch: The art of violin playing, 2 vols., Fischer, New York 1924-30 (original edition, Die Kunst des Violinspiels, 2 vols., Ries, Berlin 1924-8).
(9) Mimmo Peruffo: Italian violin strings in the eighteenth and nineteenth centuries: typologies, manufacturing techniques and principles of stringing Recercare IX 1997 p. 176.
(10) George Hart: The violin: its famous makers and their imitators, Dulau and Co., London 1875, section 3 p. 54.
(11) Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p.27.
(12) Edward Neill: op. cit 6, p. 67: Milano 28 Giugno 1823 “… colà mi restituirò a Milano per li tuoi violini, e ti farò fasciare delle quarte di filo d’argento”.
(13) Edward Heron- Allen: Violin-making as it was and is […], Ward, Lock & Co. London 1884, Chapter XII, The strings p. 213: “I always obtain my covered strings [i.e. the fourth, n.d.r.] for violin or viola from Mr. G. Hart, who covers them with alternate spirals of gun-metal and plated copper”.
(14) Francesco Galeazzi: Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino […], Pilucchi Cracas, Roma 1791, p.74: Non sarà, cred’io, discaro al mio lettore, che io qui gli descriva una picciola semplicissima macchinetta, e l’uso glie ne additi per filarsi, e ricoprirsi d’argento da sé i cordoni”. (It will not, I believe, be unwellcome to my reader if I descrive and explaine the use of, a small and very simple machine for threading and covering the fourth string with Silver wire).
(15) William Huggins: “On the function of the sound-post and the proportional thickness of the strings on the violin”, Royal Society proceedings, XXXV 1883, pp. 241-8: 247.
(16) Patrizio Barbieri: ‘Giordano Riccati on the diameters of strings and pipes’, The Galpin Society Journal, XXXVIII 1985, pp. 20-34.
(17) Statute of the Roman string makers’ guild. Roma, Biblioteca Angelica, Camerale II, Arti e Mestieri, Statuti, coll. 312, busta 12, anno 1642.
(18) Francois De Lalande: Voyage en Italie […] fait dans les annèes 1765-1766, 2nd edition, vol. IX, Desaint, Paris 1786, pp.514-9.
(19) Edward Heron- Allen: Violin-making as it was and is […], Ward, Lock & Co. London 1884, Chapter XII, The strings p. 212: “for the first, or E string, 3-4 fine threads …”.
(20) Edward Neill: Nicolò Paganini: Registro di lettere, 1829, Graphos, Genova 1991, p.80. Lettera scritta a Breslau, il 31 Luglio 1829 indirizzata al “signore profre Onorio de Vito, Napoli’: ‘Quantunque tanto sottili [i cantini, n.d.r.] devono essere di 4 fila per resistere”.
Intervista di ERMANNO BOTTIGLIERI ad "AQUILA CORDE ARMONICHE"
di ERMANNO BOTTIGLIERI
FROM, "GUITART" - ITALY AND "GENDAI GUITAR" - JAPAN, 2002 YEAR.
In occasione della mia tournee in Italia con il Moisycos Guitar Duo, in un giorno di pausa, sono andato a Vicenza dove ho incontrato Stefano Grondona ed insieme siamo andati nella sede della ditta "Aquila corde". Qui ho incontrato Mimmo Peruffo che, assieme al suo socio, ha fondato la ditta. Ne è scaturita una interessante chiacchierata che vi scrivo qui di seguito.
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EB - Prima di tutto vorrei ringraziarla, signor Peruffo, per aver accolto la richiesta di fare questa intervista. Ultimamente le corde Aquila stanno entrando in modo prorompente nel mercato, ci vuole dire come nasce la Sua ditta?MP - Questa ditta nasce dal fatto che si cercava di dare una spiegazione ad un segreto irrisolto.
EB - Ci vuole spiegare quale?
MP - Volentieri, ma prima sarebbe il caso di fare una panoramica sulla storia delle corde e di come siamo arrivati ai risultati di oggi.
EB - Bene. Qual'è stata e quando è stata la svolta decisiva riguardo alle corde? Anticamente si usava il budello.
MP - La chitarra ha subito due rivoluzioni estremamente fondamentali tanto da renderla irriconoscibile da ciò che era prima. La più squisita rivoluzione è avvenuta con Torres, perché mentre negli strumenti ad arco c'erano si' dei cambiamenti, ma erano sempre riconducibili a ciò che c'era prima, con Torres le cose cambiano completamente, lui ha agito sul legno della chitarra, sul corpo, rivoluzionandolo completamente. E questo lo si capisce quando si suona una Panormo e quando si suona una Torres. La seconda rivoluzione è avvenuta con Segovia. In quegli anni il problema corde era peggiorato a causa degli eventi bellici, le corde di budello andavano tutte ad uso chirurgico per poter curare le migliaia di feriti. Le attività cordaie erano sottoposte a regime di top-secret da parte della MP americana e i villaggi italiani, dove ancora si facevano corde, erano destinati a produrre esclusivamente il budello ad uso chirurgico.
EB - In mezzo a questa crisi Segovia come è intervenuto?
MP - Segovia non faceva il soldato, faceva il concertista. Era andato negli Stati Uniti, nel sud America proprio negli anni in cui ci fu una scoperta fondamentale per opera di un ricercatore della Dupont americana: il nylon. Bisogna che tutti sappiano che con il nome nylon si intendono una serie di prodotti con delle caratteristiche molto simili, il nylon non è uno ma sono "i Nylon". Segovia era a New York a cena con degli ambasciatori e si lamenta della difficoltà di reperire le corde per chitarra. Un generale li' vicino sente tutto e gli promette di mandargli dei campioni di fili di questo nuovo materiale, il nylon, che era utilizzato principalmente per uso bellico. Segovia lo prova e, anche spinto dal fatto di avere una certa acredine verso i problemi che il budello dava, unita alla difficoltà di trovare corde nuove, accoglie questa novità in modo del tutto positivo. In quel momento Segovia era il massimo, una sua parola faceva muovere i monti ed è stato, ovviamente, una notevole forza propulsiva affinchè il nylon si sviluppasse.
EB - Segovia, da chitarrista, avalla la possibilità di utilizzare le corde di nylon invece di quelle di budello. In pratica, però, chi si è fatto carico della costruzione delle corde?
MP - Uno dei tanti liutai che Segovia conosceva: Albert Augustin. Segovia era venuto a conoscenza che anche Augustin aveva fatto degli esperimenti con questo filo, lo tallona a tal punto che Augustin, modificando delle macchine per lucidare gli occhiali, riesce ad ottenere i primi fili per la chitarra. Augustin è stato seguito a ruota da Daddario, sicchè l'industria cordaia americana, che non era intesa come quella europea, si è appropriata della novità e praticamente il nylon dall'America è arrivato in Europa, negli anni cinquanta.
EB - Quali sono gli effetti positivi e quali quelli negativi con l'avvento del nylon?
MP - Oggi per l'effetto di questo passar di mano da una tradizione artigianale ad una cultura di massa, asettica, dove tutto è fatto dalle macchine e tutto è perfettamente riproducibile, c'è l'ovvio vantaggio dell'abbassamento dei prezzi, e poi possiamo reperire con estrema facilità le corde da per tutto. Purtroppo però c'è una standardizzazione del materiale ma, non dimentichiamolo, il budello ha l'anima della voce umana, i materiali di sintesi no. La voce umana perché la si associa al budello? perché il budello è della stessa natura delle corde vocali.
EB - Possibile che gli effetti positivi del nylon sono stati solo rivolti al fattore economico? Indubbiamente ci sarà stato qualche cambiamento anche per la parte tecnica della costruzione delle corde, vero?
MP - Per le tre corde più acute non c'è stato un cambiamento notevole, per quanto riguarda i bassi, invece, c'è stata una vera rivoluzione. Se parliamo dei cantini, il cambiamento è che le corde di nylon oltre a non essere costose, sono affidabili, riproducibili e non c'è più il problema che ad un certo punto magari non le si trovano più. Ma il suono rispetto al budello ha perso qualcosa, dovuto al fatto che il nylon possiede un peso specifico inferiore a quello del budello. Come dicevo, la rivoluzione reale è avvenuta invece nei bassi, perché il nylon usato in forma di fiocco, ha la caratteristica di avere una resistenza alla tensione molto superiore della seta, unico materiale utilizzato fino ad allora per le anime dei bassi. La rivoluzione consiste nel fatto che adesso si riesce a ottenere una corda in cui il filo metallico prevale maggiormente rispetto al core sintetico. Il cambiamento quindi è radicale, il suono diventa per certi versi più persistente e brillante. Quindi con l'uso del nylon nelle tre corde più acute si è perso e nelle tre più basse si è acquistato: c'è stato un rovesciamento, ma nessuno ne ha mai parlato di questo cambiamento. Il passaggio da uno strumento usato da Segovia o da Pujol, con il budello ed i bassi di seta, a quello con i cantini ed i bassi di nylon ha comportato una cosa incredibile, tant'è vero che chi ascolta le registrazioni degli anni venti, e non sa queste cose, rimane per certi versi sconcertato e cerca di capire come mai si ha quel suono ma non sa darsi una spiegazione. Oggi la sappiamo.
EB - Il budello di quale animale veniva usato per fabbricare le corde?
MP - Il budello che si utilizzava, e che si utilizza tutt'oggi, per fare le corde, mediante raffinamenti, è il budello di agnello.
EB - Uno dei problemi molto sentiti dai chitarristi è la durata della corda. Una corda di budello, in genere, che vita ha?
MP - La corda di budello ha una vita variabile perché dipende da un lato come è stata costruita e dall'altro dalle condizioni di chi la utilizza. Ad esempio se chi la utilizza la suona molto e ha un sudore di un certo tipo la vita si accorcia. Inoltre anche la temperatura influisce molto, ecco queste sono giornate tipiche per cui una corda non dura molto: molto caldo e molta umidità (l'intervista è stata fatta il 19 giugno 2002); viceversa trovandosi nelle condizioni in cui si suda poco e non c'è molto caldo e umidità, le corde hanno una vita più lunga. Per dare un esempio, negli anni '20 si sapeva che un cantino di violino durava un giorno e mezzo (Carl Flesh). A quel tempo le corde erano soltanto trattate con un po' di olio d'oliva e in modo più semplice rispetto ad oggi. Oggi si riesce a superare questa durata, se nel 1924 duravano in media un giorno e mezzo oggi si riesce ad avere una durata, in media, di un mese. Ciò nonostante gli esecutori dicono che è troppo poco, ma si dimenticano di dire che le corde di una volta costavano dieci volte di più di quelle di oggi.
EB - In concerto è preferibile usare le corde di budello, quindi un avvicinamento alla voce umana, o corde sintetiche di nylon o carbonio con un attacco più netto e brillante?
MP - Il risultato finale di una esecuzione si avvale di diversi elementi apparentemente eterogenei. Diversi cervelli che lavorano per uno stesso risultato: il compositore, l'esecutore, il liutaio e il cordaio. Naturalmente l'elemento più visibile è l'esecutore e a lui spetta la scelta ultima, ma tutti dimenticano che il punto di partenza di ciò che fa il suono è la corda. Lo strumento è semplicemente uno mezzo, l'essenza generatrice del suono è la corda, è lei che da la vibrazione primigena, lo strumento non fa altro che elaborarla. Se prendo una corda e la metto in vibrazione da sola essa taglia l'aria e non non possiamo sentirne il suono, ci vuole, quindi, un sistema che permetta di amplificarla ed elaborarla, ed ecco che abbiamo lo strumento. In cambio lo strumento chiede qualche cosa. è come se dicesse alla corda: io ti faccio questo servizio ma tu in cambio, nel suono che produci, ci metti i miei cromosomi, la mia personalità cioè.
EB - L'Italia che ruolo ha avuto, da un punto di vista storico, nella fabbricazione delle corde?
MP - Dal punto di vista storico l'Italia è stata la culla del perfezionamento della produzione delle corde, seguita a ruota dalla Francia; anzi la Francia stessa deve molto all'Italia, basta ricordare che una delle ditte più famose, e precisamente la Savarez, deve il suo nome ad un cordaio italiano, abruzzese, emigrato in Francia nel settecento, che si chiamava Savaresse. La stessa Pirastro deriva dal nome Pirazzi, che era un italiano. Negli anni prima della guerra, e subito dopo, alcuni cordai, soprattutto abruzzesi, emigrarono negli Stati Uniti e sono divenuti i Daddario e i La Bella-Mari di oggi, ma erano tutti di origine italiana e cosi' c'è stato un certo travaso della nostra cultura nel nuovo continente.
EB - Ed oggi c'è anche Aquila corde con all'origine un segreto da scoprire...
MP - Si', come dicevo all'inizio dell'intervista, questa ditta nasce dal fatto che si cercava di dare una spiegazione ad un segreto irrisolto. La società è fatta da me e da un socio. Tanti anni fa io costruivo degli strumenti per hobby, dei liuti. Sugli strumenti costruiti montavo delle corde di budello che suonavano bene, i bassi però erano completamente rigidi e sordi. Negli anni ottanta, insieme ad altri collaboratori, si è cominciato a cercare di dipanare il mistero. Non era possibile che Monteverdi ed altri musicisti si accontentassero di un suono che è assolutamente tonfante e con corde enormi. In quegli anni, sia noi che altri ricercatori e costruttori di corde, si pensava che il problema era dovuto alla rigidità della corda e che noi non sapevamo come fare le corde di un tempo. Questa teoria ha spopolato per una decina d'anni, dopo di che è stata soppiantata da una mia nuova teoria, e dei miei collaboratori, in maniera anche brutale, perché ci si avvaleva per la prima volta di alcune prove. Tutto è partito quando ci si è accorti che nei liuti di un tempo i fori per le corde nel ponticello, dalla parte dei bassi, erano molto sottili. Una corda di budello che passasse per quei fori, messa alla tensione dovuta per ottenere il suono basso, risultava essere completamente molle. Tutti i trattati, invece, dicevano che tanto i cantini quanto i bassi avevano lo stesso feeling di tensione. L'intuizione è stata che loro probabilmente conciavano il budello con dei metalli pesanti aumentando il peso specifico, quindi la corda rimaneva sottile ottenendo i chili giusti. tant'è vero che nei quadri i bassi si vedono scuri mentre il budello è giallo.
EB - Quando è cominciata questa ricerca?
MP - è cominciata a Firenze nell'82-83, e in sette anni di ricerca ho fatto 1500 esperimenti, ho letto una infinità di volumi alla ricerca di una qualche ricetta. I 1500 esperimenti, dove tentavo di appesantire il budello con tutto ciò che mi capitava sottomano, sono tutti catalogati finchè ad un certo punto, casualmente, mi è capitato di fare un tentativo diverso da prima, e ho potuto verificare che si poteva effettivamente aumentare il peso del budello.
EB - Che cosa ha fatto Aquila corde di innovativo rispetto alle corde già esistenti in commercio?
MP - Il nylon ha regnato incontrastato fino agli anni 70, dopodiche è apparso il carbonio, alla fine degli anni settanta. Il carbonio è stato la prima alternativa al nylon, come la prima alternativa al budello è stato il nylon. Se mettiamo il budello al centro e alla sua sinistra mettiamo il nylon, che è più leggero, alla sua destra mettiamo il carbonio che ha un peso specifico superiore al budello stesso. Noi sappiamo che più il materiale è pesante e più il suono diventa brillante. Dei materiali che vengono utilizzati normalmente oggi abbiamo da un lato il nylon, dall'altra il carbonio ed in mezzo niente. Ancora non si è recuperata la vocalità. Solo di recente la ricerca ha permesso di scoprire dei materiali che possono restituire il suono del budello, e sono materiali che hanno una recentissima applicazione, si sono manifestati soprattutto per le corde del liuto, e cominciano da poco a manifestarsi anche per la chitarra pur avendo essi alcuni problemi, per esempio stranamente oltre a restituire il suono del budello sono anche teneri come il budello, al chitarrista di oggi può sembrare strano che una corda si segni, al chitarrista di un tempo non sembrava strano, perché il budello era cosi'.
EB - Questi materiali di cui Lei parla quali sono?
MP - Il materiale ha un nome commerciale chiamato "Nylgut", è un prod
otto sviluppato qua in Italia ed è una scoperta fatta in un mio studio, io sono chimico. Da ex suonatore, oltre che cordaio, m'ero posto il problema se fosse possibile trovare un materiale che restituisse il suono del budello ma con i vantaggi del nylon. Trovare qualcosa che abbia insieme i vantaggi delle due cose lasciando fuori i difetti. Oggi posso dire di si', e la cosa fantastica è che questo materiale usato nei bassi in forma di fiocco, presenta una resistenza tensile a sua volta superiore allo stesso nylon. Sicchè anche qui, per la prima volta, si è potuti sforare un limite. Questo materiale permette a sua volta di avere meno anima e più metallo con le prestazioni dei bassi che possono superare di molto pertanto quella dei bassi tradizionali con anima in nylon.
EB - Quindi adesso c'è una possibilità in più di scelta per i fruitori delle corde?
MP - Adesso le possibilità sono tre: il nylon, che è migliorato, adesso c'è una versione che si chiama crystal; dopo c'è il carbonio, che spinge ai massimi livelli la prontezza dell'attacco e la brillantezza; e c'è questo materiale chiamato nylgut che restituisce il suono dell'antico budello e c'è...... il budello!.
EB - Per fare una corda ci vuole tanto tempo?
MP - Per fare un corda moderna il tempo è breve, però bisogna essere estremamente precisi, ma noi usiamo dei materiali e macchinari di nostra invenzione che permettono di ottenere un filo di materiale sintetico estremamente preciso nelle rotondità tale da superare gli standard esistenti. Bisogna sapere che il nylon e il carbonio soffrono del fatto che non possono avere una rotondità uniforme lunga tutto il filo, perché questi materiali vengono fusi e dopo l'estrusione fatti ritornare allo stato solido. Quindi avere una corda perfettamente rotonda è un grande problema, perché si parte da un materiale fuso che può essere soggetto a dei moti turbolenti all'interno della massa molle mentre si raffredda in forma di filo rotondo. Ottenere una corda di materiale sintetico è una cosa relativamente semplice. Ottenere una corda partendo dal budello richiede molti giorni di fatica, perché si piomba istantaneamente nel passato, l'unica modernizzazione è la rettifica che permette di ottenere la corde perfettamente rotonde, ma quella sta all'ultima fase della produzione. Tutto quello che viene prima è come una volta o quasi, sicchè per ottenere una singola corda ci vogliono almeno 15 giorni. Naturalmente non se ne fanno una per volta. Poi si deve tenere conto della situazione metereologica, se piove o fa sole non è la stessa cosa per un cordaio.
EB - Quanti tipi di set di corde producete nella vostra ditta?
MP - Abbiamo due tipi di set (anno 2002, n.d.r.): il primo si chiama Alchemia, dove le prime tre sono fatte di budello sintetico, e i bassi, essendo il fiocco di budello sintetico molto robusto, hanno una elevata percentuale di metallo. Per non avere diametri grossi si è passati per la prima volta all'argento quasi puro. Quando i cordai dicono che i bassi sono rivestiti in argento non dicono quasi mai che percentuale sia. L'argento che usiamo noi sfiora il 100%, avendo un vantaggio nel suono innegabile. La cosa interessante è la scalarità, cioè per un effetto acustico naturale l'uomo ha una percezione minore sui bassi che sugli acuti, per cui se suono la quarta, la quinta e la sesta corda con la stessa intensità avrò la sensazione che via via il suono diventi più debole. Per ovviare a questo problema noi usiamo una percentuale di metallo diversa sui bassi, dando cosi' una percezione uguale alle tre corde; in quanto la percezione minore è compensata da una potenza maggiore. Questo è un criterio nuovo che nessuno ha mai utilizzato. Quindi questo set presenta criteri nuovi per i tipi di cantini, per i tipi di bassi metallo e per i criteri progettuali. L'altro set, Perla, per certi versi segue la tradizione: abbiamo il nylon crystal nei cantini e nei bassi abbiamo lasciato il rame argentato.
EB - Vuole dirci qual'è la tensione delle sue corde?
MP - Quando si parla di tensione bisogna fare un distinguo: la resistenza tensile di un materiale è una cosa e la tensione delle corde è un'altra, che si risolve nella scelta dei diametri. La capacità del materiale di resistere alla tensione molto più di un altro, si ripercuote nel fatto che puoi usarne di meno a parità di prestazioni. Il fatto di usare meno materiale vuol dire che tu il suono lo liberi meglio. Più una corda è grossa e più il suono, a parità di chili di tensione, ne risente. Ad esempio un filo da pesca che ha un certo diametro, più o meno 1 mm, ha una certa prestazione acustica. Il suo equivalente di ottone è molto più sottile e a parità di tensione e di frequenza, ha il suono molto più vivo e ricco di armonici. Però c'è un limite, il limite è l'estetica. Noi da sempre cerchiamo, implicitamente o no, di imitare la voce umana. La vocalità è fondamentale sempre.
EB - Cosa si può dire riguardo al problema "tensione" sulle corde per chitarra?
MP - Il problema di tensione sugli strumenti come la chitarra nasce all'inizio del 900. Al musicista interessa il feeling sotto le dita, che sembra la tensione ma è un'altra cosa. Il feeling è la sensazione tattile di rigidità. Quando monto le corde su una chitarra, soggettivamente dico: questa corda sembra troppo tesa o troppo molle. Questa è una questione soggettiva, quindi ognuno ha la sua opinione. Quello che è interessante, e che va assolutamente recuperato, è che quando si parla di corde montate su uno strumento si va a recuperare la sensazione soggettiva di corretta rigidità: "nè troppo tesa, nè troppo molle" scriveva J. Dowland nel 1600. Questo potere di "nè troppo tesa nè troppo molle" viene oggi mistificato con la tensione in chili, ma sono due cose diverse. Facciamo un esempio: mentre i chili sono chili, la sensazione tattile di rigidità è soggetta a molte variabili. Ne dico una: se io ho due corde dello stesso diametro che montate su uno strumento sono poste agli stessi chili, ad esempio 5 chili, se la lunghezza vibrante è di un metro avremo una certa sensazione di rigidità, se la lunghezza vibrante è di due metri, quegli stessi 5 chili mi sembrano più molli perché la corda è molto lunga. Quando faccio un test di tensione e schiaccio le corde con le dita, non faccio altro che richiederne un allungamento ma loro tendono ad opporsi. Se la corda è molto lunga quei 5 chili sono disposti nei due metri ed io la sento più molle. Normalmente uno pensa, tastando le corde, che se le sente omogenee sono corde con gli stessi chili di tensione. Non è vero, perché le corde più spesse si oppongono maggiormente alla pressione delle dita. La tensione dei set di chitarra moderni, che derivano da quelli del violino dell'800, sono pertanto a tensione scalare intanto per le prime tre, che sono omogenee per materiale, e a tensione a scalare anche per le seconde tre che sono filate. Per le prime tre si va dai 9 e 1/2 Kg del cantino, se non 10 e 1/2 Kg, andando giù fino a 7 Kg e giù ancora a 6 Kg circa fino ad arrivare al sol. è una cosa incredibile ma è cosi'. Anche la quarta, la quinta e la sesta corda seguono questo criterio. Tu le senti rigide uguali ma in realtà hanno una tensione a scalare. Se io mettessi le corde con gli stessi chili mi troverei, premendole, a sentirle sempre più dure. Con la scalarità io riprendo i criteri che erano tipici del rinascimento e del barocco. Non si parla mai degli stessi chili nei liuti, ma dello stesso omogeneo feeling sotto le dita.
EB - Chi si è fatto promotore della vostra ricerca montando direttamente sul proprio strumento le corde che producete?
MP - Per le corde del liuto lo sviluppo è stato rapidissimo ed è stato quando il liutista Jacob Lindberg ha montato corde basse in budello trattato sul suo strumento, e dopo ha telefonato alla casa produttrice del disco che stava preparando dicendo che adesso si poteva fare un disco veramente filologico, in quanto in Italia avevano inventato un procedimento per ottenere le corde con il budello pesante come una volta. Quando ha fatto il disco per la prima volta è apparso il nome del cordaio: non era mai stato fatto prima. Lui ha citato il mio nome e da li' abbiamo avviato una notevole produzione di corde per liuto ed altri strumenti. Per la chitarra, invece, ci siamo avvalsi dell'aiuto dell'amico e professionista Stefano Grondona. Abbiamo sperimentato per qualche anno (Stefano oltre che essere un bravissimo chitarrista ha anche una notevole intuizione), fino ad arrivare ai risultati di oggi.